di Mauro Calise www.cittafutura.al

Sembra ci sia una maledizione vichiana sulla – povera – politica italiana. Con la leadership di Renzi costretta a rincorrere – ricorsare – la parabola che fu del ventennio (pardon, venticinquennio) berlusconiano. Con una serie di scese in campo, discese ardite e – tentativi di – risalite che sono state il tratto distintivo del coriaceo tycoon di Arcore. E che il segretario Pd – ex premier ed ex sindaco – sta provando a replicare. Ovviamente, con personalità e contenuti molto diversi. Ma con la stessa determinazione a non mollare – mai – la scena. Se qualcuno sta aspettando sulla riva il cadavere – politico – di Renzi, è bene che si armi di pazienza. Moltissima.

I duellanti

E’ questo il messaggio – duro e puro – della Leopolda. Confezionato con le armi migliori del repertorio proto-renziano: la freschezza dei contenuti ancorati, al tempo stesso, a una solida radice identitaria, e la capacità di comunicare e appassionare il segmento oggi più vitale e dinamico dell’opinione pubblica italiana. Si, agli occhi del vecchio – e nuovo – establishment il segretario Pd potrà pure apparire alquanto malconcio e per lo più sulla difensiva. Ma non si intravede nessuno capace di strappargli lo scettro di innovatore riformista, che lo differenzia – e avvantaggia – nettamente nella competizione interna. E lo contrappone aspramente all’identikit di Berlusconi o di Di Maio. Entrambi o troppo vecchi o troppo nuovi per essere credibili agli occhi di quell’Italia che vuole davvero «cambiare verso».

Certo, è improbabile che la sortita di ieri di un Renzi – un po’ – meno arrogante basti a fargli risalire la china di quel «disamoramento mediatico» che è stata, per l’ex-premier, una amarissima legge del contrappasso. Affossandolo – secondo le inflessibili regole della democrazia del leader – con la stessa rapidità con la quale lo aveva innalzato sugli allori. Però, non va sottovalutato il cambio di registro – ideale e concettuale – registrato in questi ultimi mesi e sancito dalla performance di ieri. L’apertura alla galassia di sinistra, la profferta di ponti e seggi è difficile che – sul piano politico – sortirà grandi risultati. Con tutta la abilità mediatrice di un gladiatore come Piero Fassino, la partita degli accordi tra le sigle si presenta in erta salita. Ma Renzi sta guardando altrove. Sta cercando di riconquistare alcuni archetipi del patrimonio genetico della sinistra che possono convivere – anzi, diventarne il volano – con il mondo della modernizzazione accelerata che è stato il marchio di fabbrica della Leopolda d’antan.  Diritti e tecnologia, scolarità e flessibilità, solidarietà e doveri.

Su questo fronte, il discorso del Cavaliere, invece, è suonato più vago, interessato soprattutto a non urtare suscettibilità tra gli alleati. L’opposto del Berlusconi degli esordi, così fervido di nuove idee. E lontanissimo dal difensore oltranzista di alcuni capisaldi del moderatismo italiano. Oggi, il suo obiettivo principale è riuscire a rimanere a galla, in questa insperata riemersione al centro del centrodestra e – di risulta – della scena politica italiana. O meglio, di ciò che ne rimane. La grande differenza tra la prova straordinaria di resistenza riuscita a Silvio Berlusconi e quella che Matteo Renzi vorrebbe – a suo modo – emulare, è che si è ristretto lo spazio di visibilità della leadership. E dell’intera sfera pubblica. Viste le doti – che sembrano comunque superiori ai suoi molti difetti – Renzi ha buone ragioni di sperare di continuare a essere un perno del nostro sistema dei partiti. Alla guida del Pd o, chissà, di una nuova formazione macroniana. Ma quanto – nel futuro del paese – resterà importante quel sistema, e i perni intorno ai quali ruoterà, è una domanda sulla quale, oggi, c’è poco da essere ottimisti.

Come sempre suggerito da Franco Livorsi. Pubblicato su “Il Mattino”, 27 novembre 2017.