La felicità

di V.R.

È un poco come quando hai finito di pranzare, ma il tuo corpo che ha le orecchie della necessità e non gli occhi della razionalità, non lo sa che tu hai finito di mangiare.
Quindi, praticamente, sì, tu, in realtà, hai finito di mangiare, ma la tua gola e la tua pancia stanno aspettando, non lo so, una seconda porzione di pasta, una crostata, la carne gratinata, le melanzane alla parmigiana della nonna -perché il tuo corpo che ne sa che la nonna non c’è più , ingenuamente e magicamente sempre potrà sperare di mangiarle-.
E mentre il tuo corpo, come un bambino di tre anni a cui si dice “si domani te lo compro” e allora lui si quieta e aspetta l’indomani contando i minuti che in realtà non sa contare, ecco che il tuo corpo fa lo stesso. Ti suggerisce che ha fame, ma rimane lì, docile, confidando nel suo padrone.


Il suo padrone, e cioè la tua testa, lo sa che ha i minuti contati per tenere a bada il corpo. Lo fa alzare, lavare i piatti, asciugarli, prendere un libro, posarlo, uscire di casa, tornare indietro. Poi tenterà pure con la pennichella. Ma ecco che il corpo, in particolare quella sacca mezza vuota che chiamiamo stomaco, ci richiama, come un gatto che miagola per avere i suoi croccantini. E cosa si fa quando il gatto chiede da mangiare la prima volta? E cosa si fa quando la mattina, il giorno dopo, il bambino ti richiede per la prima volta quel giocattolo?
Ignoriamolo, proprio ignoriamolo, giriamoci dall’altro lato, ricerchiamo il sonno.
Bussano, alla bocca del tuo stomaco bussano delicatamente. E tu ti svegli.
Eh quindi no, la presa in giro sta finendo. Il corpo è recidivo, lento a capire, ma alla fine capisce sempre, ogni giorno, direi.
Allora tenti con le alternative: sono le 5, è ora di un tè.
Un tè? Dico, un tè? Ma che se ne fa la pancia di un tè quando vuole bomboloni al cioccolato e pandoro farciti e ricoperti di zucchero a velo, nei freddi pomeriggi di dicembre!
Va bene allora, un poco di frutta.
O, meglio, frutta e un succo.
O per variare, un succo e delle noci.
Si, forse le noci lo riescono a confondere, è già qualcosa di consi… di consistente, tipo, da masticare, forse.
“Ma io non voglio le noci!”, disse la gola.
“Ma io non voglio un quaderno da colorare, voglio il giocattolo!”, disse il bambino.
“Ma io non voglio che mi riempi la ciotola di acqua, avaro umano”, disse il gatto.
“Ma io non voglio un altro uomo…”, disse la testa.
Perché, vedete, anche la testa fa parte di questo gruppetto di elementi che al mondo hanno desideri che non possono sempre essere saziati.
E per quanto la si tenti, ogni volta, di sviarla dalla sua ossessione, accontentarsi non è mai una soluzione definitiva.
È vero, finalmente tu mangi quello che vuoi, eppure il cibo poi finisce; il giocattolo si conserva in uno scatolone da mettere in cantina e il gatto vorrà altri croccantini. Eppure non solo il tuo stomaco, ma anche le tue papille gustative, la tua gola, la tua pelle, la tua ossitocina, quindi il tuo umore hanno goduto tutti di quei biscotti che hai finalmente tirato fuori dalla credenza.
Il bambino avrà un ben ricordo che vorrà far rivivere magari al suo di bambino, un giorno.
Il tuo gatto, per cinque minuti, smetterà di pianificare la tua morte per ereditare tutta la tua casa.
E la tua testa, che avrà dato ascolto per una volta al sentimento, tornando indietro di qualche passo, potrà solo godere del momento di felicità che ne ha ricavato, anche se poi, probabilmente, sarà subito finito.
Perciò, una volta tanto, ragione non hai sempre ragione; perché sai, qualche volta la vita diventa più colorata se ascoltiamo quello che ci dice il sentimento.
Come per esempio diventa possibile arrivare alla felicità attraverso altre vie meno ragionevoli e razionali, anche se si tratta di felicità brevi. Proprio giusto il tempo di mandare giù un pacco intero di biscotti, quelli nascosti nella famosa credenza, tanto per riscaldarci nei freddi pomeriggi di dicembre.

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