Il Papa

Il vaticanista Usa Allen: si è tornati allo status quo del secolo scorso

LAPRESSE

da: http://www.lastampa.it/ Pubblicato il 22/12/2017

PAOLO MASTROLILLI INVIATO A NEW YORK

«Come Benedetto, Francesco è frustrato per il blocco delle riforme della Curia. Con queste parole vuole spiegarne i motivi e superare gli ostacoli». È la lettura che il vaticanista Usa John Allen fa del discorso tenuto ieri dal Papa. 

Da dove vengono le critiche lanciate alla Curia?  

«Immagino nascano dall’esperienza dei tentativi di riforma, che durante l’anno passato si sono fermati. Il Papa sta cercando di spiegare i problemi che lo hanno ostacolato, e li ha individuati nell’atteggiamento di alcune persone nella Santa Sede che cercano vantaggi finanziari, potere, e altre cose materiali, invece del bene della Chiesa e della comunità. Sono riflessioni su un anno in cui il progetto di riforma del Vaticano non è andato a buon fine».  

Sembra di risentire Benedetto. Non è cambiato nulla in 5 anni?  

«Sì, è vero. L’impressione è che come Papa Benedetto, anche Francesco sia partito con l’intenzione di pulire la Curia romana, riformarla, ma nel corso degli anni ha incontrato diverse resistenze e problemi. Mano a mano ha capito che c’è un gruppo nella Curia, che non solo non vuole le riforme, ma le ostacola. Secondo me il Papa è anche un po’ risentito con alcune figure della Curia che si sono allontanate quest’anno, come il cardinale Mueller o Libero Milone. Sono usciti dicendo di essere stati vittime di manovre sporche, non dando esattamente la colpa a Francesco, ma dicendo che forse non è ben informato sulle vicende. Il Papa è un po’ risentito con queste persone e ha voluto rispondere. Il suo discorso va visto nel contesto della situazione delle riforme, paralizzate nel 2017. Ci sono diverse interpretazioni sul perché, e questa è quella di Francesco». 

A quali riforme tiene di più?  

«Soprattutto quella finanziaria. Il Papa ha creato tre nuovi organismi per guidare le riforme, e due non hanno ancora un capo. Il cardinale Pell è in Australia per le accuse di abusi sessuali, Milone è uscito in circostanze misteriose, la segreteria e l’ufficio del direttore generale sono senza leader. Nel frattempo il potere reale sulle finanze vaticane è riconcentrato nelle mani della Segreteria di Stato. Non siamo tornati allo status quo precedente a Francesco, ma a quello del secolo scorso. La riforma voluta dal Papa non è avvenuta, e lui vuole spiegare il perché». 

All’epoca delle dimissioni di Benedetto era stata denunciata la presenza di una «lobby gay». È ancora un problema?  

«Il Papa non ha usato questa frase. È evidente che pensa ci sia una lobby che non vuole le riforme e cerca gli interessi personali invece del bene comune. Ha parlato di piccole cerchie di potere. Come Benedetto, Francesco pensa che in Vaticano ci sia una lobby nera e pericolosa. Nessuno dei due, però, ha fatto i nomi». 

Nel discorso aveva in mente anche le critiche teologiche ricevute?  

«Sono due questioni diverse. Ci sono vescovi in Vaticano contrari alla linea teologica e politica di questo Papa, ma è una cosa separata dall’opposizione alle riforme della Santa Sede, dei sistemi finanziari e del management. L’ironia sta nel fatto è che molti dei vescovi americani più contrari a temi come l’esortazione apostolica “Amoris laetitia” e l’apertura ai divorziati risposati, tipo Dolan, Di Nardo o Chaput, sono anche i più favorevoli al progetto di riforma della Curia, soprattutto quella finanziaria. Un altro esempio è Pell, conservatore tra i conservatori quando si parla di teologia e dottrina, ma impegnato sulla riforma. In sostanza, diversi amici di Francesco sul versante teologico sono almeno potenzialmente suoi nemici sulla riforma, mentre i suoi nemici sulla teologia sono in molti casi anche i suoi alleati sulle riforme. Una situazione assai complessa per il Papa, e nel suo discorso abbiamo sentito il riflesso di questa frustrazione».