Ragione

di Marco Ciani. Alessandria

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Sul numero di dicembre della rivista “Le Scienze” è possibile leggere un interessante articolo, “Le radici del rifiuto della scienza”, di Katharine Hayhoe. L’autrice canadese è uno dei massimi esperti a livello mondiale di clima e di atmosfera.

Il saggio si occupa soprattutto degli Stati Uniti e del rifiuto di affrontare in termini oggettivi questioni di importanza cruciale per la vita delle persone, come il riscaldamento globale, a causa degli influssi nefasti di frange radicali politiche o religiose.

L’accusa non è generica. Si riferisce alla destra americana, anche se ammette una speculare tendenza da parte della sinistra ad accettare per evidenti le tesi che si contrappongono alla visione conservatrice.

Sappiamo che l’amministrazione Trump ha deciso di uscire dagli accordi di Parigi sulla riduzione delle emissioni inquinanti, così restando l’unico Paese a non aderire. Ma gli Usa da soli producono circa un sesto di tutto il biossido di carbonio.

Non si tratta di un problema isolato. Possiamo utilizzare esempi diversi e più vicini a noi. Pensiamo all’assurda polemica contro i vaccini, accusati di generare l’autismo nei bimbi. Con conseguenze pericolose per la salute di soggetti deboli o immunodepressi.

Un tempo simili affermazioni  avrebbero condannato chi le proponeva allo stigma sociale e alla conseguente etichetta di ignorante o eccentrico.

Oggi non più. Come ho tentato di argomentare anche nei miei ultimi due articoli (Il castello di carte e Senza parole), la distinzione tra i fatti (oggettivi) e la valutazione (soggettiva) di carattere politico, etico, religioso, estetico o altro ancora è ormai andata a raméngo.

La Hayhoe sottolinea questa difficoltà e avvalora l’idea che il deficit model, la tesi secondo cui la trasmissione delle informazioni tecniche da parte degli esperti sia sufficiente per modificare le opinioni degli schierati, non funziona.  O comunque produce risultati modesti.

Come mai? Sembra che l’attaccamento all’ideologia superi le obiezioni di merito. Uno degli esempi che corredano il brano consiste nel fatto che i tradizionalisti preferiscono negare il cambiamento climatico generato dall’anidride carbonica (noto, in realtà, dalla fine del XIX secolo), piuttosto che dare ragione indirettamente ai democratici Al Gore e Barack Obama e alle loro battaglie.

Chi tra gli scienziati sostiene la tesi del nesso di causalità diventa spesso vittima di campagne d’odio della destra alternativa.

Non è sempre stato così. La società si è polarizzata negli ultimi decenni. Prima le distinzioni tra opzioni diverse risultavano meno marcate. Basti pensare che l’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti fu creata nel 1970 da un presidente repubblicano: Richard Nixon. Evidentemente la coscienza collettiva, che possiamo semplicemente tradurre come la visione generale del mondo, era molto più forte delle distinzioni di parte.

Ora invece è come se il pensiero fosse diventato incapace di concepire l’oggettività. Tutto è soggettivo.

Le accelerazioni impresse dai cambiamenti (pensiamo all’uso dei social network e alla endemica diffusione delle fake news) aggiungono consistenza per strati crescenti della popolazione all’impossibilità di sviluppare in modo adeguato i propri apparati critici. Inutile per l’argomentazione il riferimento a informazioni accreditate da fonti autorevoli e riconosciute.

E’ evidente che se nel processo che porta alle decisioni politiche, ad esempio le scelte elettorali, non si distinguono più i dati dalle valutazioni ma la realtà diviene essa stessa opinione (tanto da sdoganare il vocabolo “post/verità” inteso come assenza di correlazione tra enunciati e fenomeni), allora la ragione corre un serio pericolo e con essa il nostro futuro.

In ogni caso questo è un aspetto di cui non si può non tenere conto. Pertanto, come sostiene la studiosa canadese, quando vogliamo comunicare ad un pubblico dovremo farlo consideranfo i suoi valori, che ne determinano l’identità, e partire da questi per diffondere un messaggio scientificamente fondato.

Ad esempio, per convincere un conservatore dell’opportunità di ridurre l’inquinamento bisognerà far leva sui vantaggi fiscali associati alle energie rinnovabili, alla loro economicità perché il ruchiamo mercato costituisce parte della sua identità. Per analoghi motivi ad un evangelico integralista bisognerà ricordare la responsabilità che Dio assegna all’uomo nella salvaguardia del creato. Sono due casi nei quali, parlare di riscaldamento globale senza ulteriori puntelli, risulterebbe inefficace.

Bisogna inoltre convincere la maggior parte dei prudenti e non schierati a uscire dalla congiura del silenzio nel quale spesso si auto/esiliano. Viene in mente il fenomeno dell’astensionismo. Persone che “non sanno che cosa pensare su quello che va fatto ma sono aperti al dialogo”.

In sostanza, per vincere il rumore di fondo sempre più disorientante prodotto da soggetti interessati che sfidano le evidenze, per motivi ideologici o di convenienza, non basta contrapporre argomentazioni empiriche. Bisogna far leva in via propedeutica su istanze di ordine culturale, politico, psicologico.

Diversamente vince il sempre più marcato tribalismo che tende a dividere la società in portatori di dogmi contrapposti. Sono molti i casi che confermano questa teoria. Come le situazioni in cui gli elettori votano anche contro i loro stessi interessi abbacinati da messaggi fuorvianti (basti pensare alla Brexit).

Purtroppo il sonno della ragione produce mostri. Tentare un risveglio difficile ma necessario è un dovere per ogni persona di buon senso.