Sessantotto

di Agostino Pietrasanta. Alessandria

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Siamo già alla scadenza cinquantenaria, ma salvo imprevedibili sorprese non ci saranno celebrazioni di rilievo. Forse qualche rivista, qualche pubblicazione specialistica tenterà di richiamare un evento che, nel breve, ebbe udienza mondiale, ma oggi, almeno in prevalenza, quella che fu chiamata, e non senza qualche ragione, “contestazione globale” viene citata solo saltuariamente e per rimarcarne aspetti discutibili o ritenuti negativi, spesso senza appello: “…tutta colpa del sessantotto”.

Eppure di fronte all’afasia dei social sulla serietà dei problemi in agenda, di fronte all’assenza di ogni confronto dialettico serio, di un dibattito diffuso, di fronte al “vuoto” che oggi ci viene riservato, le denunce di quel periodo riescono a suscitare qualche nostalgia. C’era una voglia (la proposta è altra cosa) di antiautoritarismo che esprimeva in nuce un’istanza democratica ed una esigenza di egualitarismo che finì per richiamare, non senza qualche confusione, ideali marxisti, anarchici e cristiani a supporto di un entusiasmo che si impose sullo scenario del mondo.

Il tutto ebbe anche dei ritorni non privi di significato: contestò la guerra del Vietnam, coinvolse nella percezione pubblica, importanti esperienze di radicalità evangelica e richiamò, sia pure indirettamene, l’urgenza di alcune riforme degli apparati dello Stato; e questo nonostante il rifiuto dichiarato di istituzioni statuali ritenute irrimediabilmente e colpevolmente borghesi e, come tali irriformabili.

Ciò posto però il movimento ebbe tempi e vita brevi e precari; ed i motivi complessi non possono che suggerire un’elencazione schematica.

Intanto si trattò, per l’appunto di contestazione dell’esistente. Per quanto non priva di ragioni, una “pars destruens” non può avere respiro di significativi risultati: alla contestazione mancò un conseguente progetto credibile e realizzabile. La ribellione ad un sistema non si trasformò in “Rivoluzione” perchè ne mancavano i presupposti che la storia anche contemporanea ha validato e la storiografia ha descritto. Non c’erano i presupposti per un cambiamento dei rapporti di produzione, né le condizioni per realizzare un progetto di crescita. Mancava insomma la motivazione economica che anche una matura dottrina marxista avrebbe dovuto mettere in campo. Eravamo in pieno miracolo economico; per l’Italia si trattava di un periodo (1945/1975) detto del “trentennio glorioso” contestuale ad una situazione internazionale particolarmente favorevole.

Ancora. Se mancavano le condizioni storiche, mancava anche la coesione di un protagonista adeguato; quando i movimemnti studenteschi tentarono di coinvolgere gli operai ottennero un netto diniego. Di fronte alle propsettive di crescita economica e di fronte ai processi produttivi in espansione, gli operai organizzarono sì scioperi e movimenti di lotta, ma per ottenere salari migliori condizioni di lavoro più tutelate e diritti più cospicui. Non volevano abbattere le istituzioni, le volevano provocare e coinvolgere nel riconoscimento dei loro diritti. Non per nulla, poco dopo (1970), in Italia fu varata le legge di “Statuto dei lavoratori”. Quale che sia il giudizio di oggi, allora si trattò di una rilevante conquista. Di più. Se il movimento studentesco coinvolse Università e scuola non ne convinse i protagonisti prioritari (docenti e soprattutto personale non docente): ci furono eccezioni anche rilevanti, ma nulla più. E forse fu sull’onda ed in seguito al movimento che si introdussero nella scuola i “Decreti Delegati” strumento innegabile di normalizzazione del sistema e non certo di una sua modifica o riforma. Se mai con un “colpetto” (!) di banalizzazione della didattica e delle discipline formative.

Il risultato fu la rimozione di un tentativo; rimozione persino nel ricordo di alcuni protagonisti, i quali per confermare un’intuizione di Pasolini, accompagnata ad una sua famosa denuncia, fecero persino carriera. Alla faccia di un egualitarismo che li aveva contrapposti, anche nelle scaramucce del sessantotto, ai poliziotti/proletari.

elvio bombonato in 7 gennaio 2018 alle 09:38 ha detto:

Pacate e fondate le considerazioni di Agostino. Aggiungo il fatto che il Movimento Studentesco, l’unico che frequentai da leader non di primo piano a Genova, troppo presto si sciolse in un numero spropositato di gruppi (alcuni comici: Avanguardia Proletaria Maoista a Milano e Roma, Servire il popolo a Milano, Lotta Comunista a Genova, i Situazionisti) i cosiddetti extraparlamentari, i quali attaccavano soprattutto il PCI e i sindacati confederali. E poi la guerra con i fascisti, certo da loro innescata (colsero l’occasione), ma l’errore fu rispondere con la stessa violenza in piazza. Non mi riferisco, è ovvio, agli attentati fascisti, alcuni tuttora impuniti per la connivenza degli apparati dello Stato deviati. Questi gruppi scimmiottavano i partiti oggetto delle loro furiose critiche, salvo riprodurne le dinamiche, peggiorandole, al proprio interno. Ricordo i giornali dell’epoca: il più violento e diffuso fu quello del gruppo con più aderenti, dopo l’adesione del Potere operaio pisano (Sofri ecc.) “Lotta continua”, che infatti degenerò, e fortunatamente fu sciolto, quando alcuni loro membri andarono a rimpolpare i pazzi assassini delle BR e di Prima Linea. Alcuni slogan erano ripugnanti: “La scuola si abbatte non si cambia” “I briogatisti sono compagni che sbagliano”.:definire errori i crimini fu riduttivo: quante centinaia di innocenti uccisi per avere visibilità sui giornali, comprese vicende dolorissime: Calabresi, Tobagi, Casalegno, Croce, Moro ecc. fino agli agenti delle scorte e alle guardie carcerrie (che più proletarie non si può). Anche l’aiuto che Soccorso Rosso (Franca Rame) dava ai carcerati degenerò (e qui taccio, ci tocca troppo da vicino). Quindi, finite le illusioni del Movimento Studentesco e quelle dei gruppi (non dimentico Democrazia Proletaria con Mario Capanna, uno che non ha mai lavorato in vita sua e percepisce, non è il solo, il vitalizio di parlamentare, che difese urlando in TV da Giletti,f acendo una figuraccia), la normalizzazione. Molti sessantottini divennero docenti universitari, comportandosi peggio dei baroni che tanto sbeffeggiarono, riacquistando tutti i privilegi medievali che il Movimento era riuscito a togliere loro. Metà dei leader, grandi e piccoli, di “Lotta Continua” divennero berlusconiani: dirigenti nelle sue TV (il genio che glieie riorganizzò, il mio amico e compagno di corso, Carletto Freccero), giornalisiti dei suoi giornali, parlamentari o consiglieri di Forza Italia negli Enti Locali. Berlusconi scese in campo (aveva 3000 miliardi di lire di debiti con le canche “craxiane”) per “salvare l’Italia dai comunisti” accogliendone le teste pensanti convertite tra le sue file (Ferrara il capostipite). Una sana ed efficace opera di proselitismo corroborata da stipendi all’uopo. Che dire? Ogni movimento rivoluzionario,anche quello più fragile e velleitario, ha il suo riflusso. Vico.docet.