La discgregazione

Aydin (*) http://www.cittafutura.al.it/

LA CONGESTIONE E IL DESERTO

Come le recenti alluvioni del Sud hanno dimostrato, la degradazione sta toccando livelli insostenibili. La drammatica esperienza statunitense: urbanesimo forzato, desertificazioni sempre più vaste, disoccupazione

Se per tempi lunghi la perdurante rottura degli equilibri ambientali può pregiudicare la stessa sopravvivenza dell’uomo, per tempi brevi è causa di diseconomie indotte, la cui entità diviene insostenibile per il sistema economico.

Un’ulteriore riprova di questa tesi ci è data dal ripetersi, in modo quasi endemico, dei fenomeni alluvionali. “I danni complessivi registrati,  per esempio, nella sola Basilicata- è stato detto dal compagno Chiaromonte- pare si aggirino attorno ai 300 miliardi , la stessa cifra del reddito di un anno della Basilicata, più del triplo di tutti gli investimenti che vengono ogni anno effettuati in quella regione”.

Quest’anno  le alluvioni si sono ripetute nel centro Italia e nel sud, ma potevano avvenire in qualsiasi altra regione. Il nord ha registrato in questi ultimi tempi tassi di precipitazione eccezionalmente limitati e, solo per questo, è andato tutto bene. Ma, come le statistiche degli anni passati insegnano, c’è adesso da aspettarsi un naturale riprendersi della piovosità. Ed allora potrebbe essere il dramma. E’ questa una previsione che non richiede nessuna particolare facoltà divinatoria.

Le zone montane, le valli depresse, che costituiscono i punti di innesco dei fenomeni alluvionali,sono state accomunate da un’identica storia di sfruttamento economico, e di conseguente disgregazione in tutta la penisola. Le situazioni ambientali sono pertanto le stesse. Di fronte a squilibri ambientali così gravi, non c’è da stupirsi se l’emigrazione dalla campagna si trasforma in un esodo disordinato, se la vita del baraccato dai mille mestieri occasionali ai margini delle metropoli e della società, diviene scelta obbligata per decine e addirittura centinaia di migliaia di persone.

Il fenomeno della disgregazione ambientale all’interno dei paesi industrializzati è strettamente legato alla presenza di particolari strutture speculative di sfruttamento delle risorse ed è tanto più avanzato quanto più queste strutture sono andate sviluppandosi in modo incontrollato, al di fuori di interventi di riequilibrio programmato. L’ esempio tipico ci viene dagli stessi Stati Uniti, paese in cui le scelte del capitale si sono da sempre identificate con la stessa politica governativa.

                                                       GLI “SLUMS”

Secondo quanto riferisce  il prof. Mario Pavan “negli ultimi 150 anni sul solo territorio degli Stati Uniti 120 milioni di ettari sono stati intaccati dall’erosione. Si calcola che ogni anno altri 200 km quadrati vengano ulteriormente perduti a causa dell’erosione”. Le conseguenze sul piano sociale risultano analoghe, seppure ad uni stadio più avanzato, a quelle riscontrabili oggi in Italia. La popolazione scacciata dalle zone agricole ormai improduttive si riversa nei nuclei urbani andando ad incrementare gli enormi e super popolati “slums”che sono ormai caratteristica inscindibile di ogni città nordamericana, Il fenomeno,  perdurante ormai da molti decenni, ha assunto caratteristiche macroscopiche: il 70% della popolazione statunitense è oggi concentrata in pochi e giganteschi nuclei urbani. Ma il sistema non è assolutamente in grado di poter garantire un’occupazione stabile, servizi adeguati, in altre parole un livello di vita accettabile. Secondo un saggio di Michael Harrington, un assistente sociale del “Catholic Worker” (associazione cattolica operaia, paragonabile alle nostre ACLI)  e pubblicato in Italia da  Il Saggiatore con il titolo “La povertà negli Stati Uniti”, gli “assistiti”ed i poveri assommano negli USA all’incredibile cifra di 50 milioni di persone, poco meno di un quinto dell’intera popolazione residente. Oggi in Italia stiamo percorrendo la stessa identica strada. Dando per ipotesi che si continui in questa direzione (ma in Italia bisogna fare i conti con il movimento operaio) occorre tener presente un fatto di grande importanza. La capacità di assorbimento degli squilibri e delle contraddizioni che ne derivano, presentata dalle possibilità razionalizzanti del capitalismo italiano, non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che si possono ritrovare in un paese come gli Stati Uniti  che con solo il 6% della popolazione mondiale consuma ed utilizza al suo interno quasi il 50% delle ricchezze del pianeta, di cui si impossessa tramite la propria politica di sfruttamento imperialista. Basta pensare ad un fatto. La sola città di New York  mantiene letteralmente, tramite l’assistenza pubblica il 15% dei propri abitanti (in altre città “più depresse” si arriva anche al 25% ed oltre) e può permettersi, almeno ancora per il momento, un indebitamento superiore a quello di tutti i comuni italiani uniti assieme. Certo, non è pensabile che in Italia si possa posporre nel tempo l’ esplosione dilacerante delle contraddizioni, derivate dal calo occupazionale e dalla conseguente riduzione della domanda del mercato interno, tramite il criminoso artificio di gonfiare a dismisura le spese militari e l’ industria bellica, come da sempre avviene negli USA.

                                                               LA MORTALITA’

Già oggi in Italia, l’industria degli armamenti è stata sviluppata in modo abnorme. Pur essendo il nono paese industriale nel mondo risultiamo essere al quinto posto per l’esportazione di armi, ed in Europa al terzo. Siamo ormai giunti al riguardo ad un tetto difficilmente valicabile. In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un drammatico calo dei livelli occupazionali. Siamo il Paese con la più bassa percentuale di popolazione attiva del MEC (ad eccezione dell’Olanda) con un tasso del 34,7% contro, ad esempio, il 40%della Francia ed il 44% della Germania federale. L’occupazione femminile è calata percentualmente dal 26 al 19,7% in dieci anni. Lo spettro della disoccupazione sta ora assillando anche le categorie un tempo privilegiate come i tecnici, i diplomati, i laureati. E questo è avvenuto nonostante si siano costretti milioni di italiani ad emigrare. Contemporaneamente all’interno delle stesse aree forti, per le quali si è sacrificato l’armonioso sviluppo dell’intero Paese, non è più possibile garantire livelli di vita accettabili. La carenza di servizi, il caos, gli inquinamenti stanno nullificando gli stessi vantaggi che dovrebbero essere connessi con lo sviluppo economico. Incredibilmente, all’interno delle aree forti, la mortalità è più elevata di quella riscontrabile nelle zone depresse. E questo in contrasto con tutti i dettami e gli insegnamenti della letteratura sanitaria tradizionale. Abbiamo infatti nell’Italia meridionale ed insulare una mortalità dell’8,2 e dell’8,8 per mille contro una mortalità del 10,5 e del 9,3 rispettivamente al nord ed al centro Italia. Le attuali scelte politiche ed economiche rischiano di trasformare la penisola in un Paese di megalopoli circondate da aree degradate. E’ proprio contro questo tipo di scelte che i partiti di classe e le forze operaie oggi si battono: non si risolvono i problemi ambientali se non si affrontano quelli economici e politici.

(*)  –  contributo postumo di Guido Manzone    (da “L UNITA’ ” del 28.04.1973)