riflessione

di Fabrizio Uderzo

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L’umanità tutta, che abita la terra e che vediamo malata gravemente, si può curare soltanto con continui impacchi d’amore.

Noi, in generale, parliamo molto dell’amore. La parola “amore” , in tutte le sue molteplici accezioni, è un termine abusato a tal punto che se n’è logorato il significato, se ne è perduta l’essenza autentica, e la si cita ormai impropriamente in un qualunque contesto. È come sognare una festa sull’aia mentre piove. D’ogni erba se ne fa un fascio, includendovi finanche il suo contrario, E lo si fa allegramente, senza alcuna discrezione, partendo da ogni moto del cuore e da ogni minimo palpito che ce lo fa sentire in bocca.

Martellante, adrenalinico, vivificatore.

Senza adrenalina non riusciamo più a vivere e ci pare che così, se non ci diamo una “mossa di vita”, tutto venga appiattito sulla mediocrità dell’uomo qualsiasi, che consideriamo un autentico morto che cammina (detto anche “zombi”). E, ovviamente, inventiamo di “tutto”, sperando che questo inimmaginabile “tutto” abbia la capacità di farci trasalire e palpitare anche soltanto una volta, ci accontentiamo. “Una dose adesso, subito, e domani si vedrà”. Ciascuno va a cercare nel campo che gli è più vicino, ma tutto ciò che inventiamo lo bruciamo in un  attimo ed è naturale che ogni mattina si abbia bisogno nuovamente di qualcosa di inedito e di sempre più folgorante per avere la forza di arrivare a sera, trascinandoci sulle nostre grucce malandate, ormai prive di una qualunque energia esistenziale e creatrice, ormai incapace di accendere un qualsiasi moto profondo dell’anima, ammesso che (parlando in termini convenzionali) l’anima esista.

In realtà l’uomo è in apnea perché se da una parte egli si dibatte in una solitudine desolata e senza confini, dall’altra mi auguro che stia finalmente comprendendo che per alleviare la sua condizione e per sconfiggere la sua ancestrale solitudine non basta qualche social app sullo smartphone e ticchettare ad ogni fermata di cane (scusate la volgarità).

Ma se gli togliamo anche la virtual life, cosa mai gli rimane?

Povero, piccolo uomo, prigioniero delle sue stesse paure! Povera, piccola donna, che tanto lotta per i diritti del suo genere contro mostri di pietra.

Povero piccolo uomo abbandonato a sé stesso … Così inerme davanti alle spietate regole di una società in mano a gente senza scrupoli che insegue solo quello che considera il proprio tornaconto e che si perde sempre più negli abissi bui  degli idoli che egli stesso, disperatamente, si fabbrica. Stiamo qui sulla terra a pestarci i piedi l’un l’altro per conquistare quel poco di calore che basta a farci sopravvivere durante quell’istante che costituisce la nostra vita: sì, perché abbiamo ridotto la nostra vita ad un istanteche come meteora passa inosservata nel cielo. Abbiamo perduto qualsiasi alito di luce, qualsiasi sottile soffio di infinito.

Quello che ci manca, affermiamo tutti, è la “sicurezza”: la sicurezza fisica, economica, affettiva. Vorremmo un governo centrale che ci faccia uscire dai pasticci, che ci aiuti quando siamo malati, o quando ci manca il lavoro, o quando ci sentiamo abbandonati, anche se ben sappiamo, in fondo in fondo, che siamo nati abbandonati, che abbiamo vissuto da abbandonati e che sicuramente moriremo da soli, in uno stato di abbandono che per alcuni forse sarà un tantino malinconico. Siamo venuti al mondo nudi e moriremo nudi. Non c’è scampo con siffatta ignoranza che ci portiamo addosso..

Caro, caro piccolo uomo, la cui unica dimensione conosciuta è la dimensione della sofferenza, del dolore, della solitudine e della mancanza di sicurezza  a tutti i livelli. Tu non conosci più la gioia. Ti sei smarrito in un centro commerciale, e come un bambino che non trova la mamma,  hai perduto la speranza di ritrovare la realtà ancestrale che personifica e vivifica ogni tua sicurezza. Non ridi più come ridevi a otto anni, quando nessun senso di discrezione o di ritegno ti impediva ridendo di mostrare i denti mancanti. Oggi scopri come il “piacere” sia l’unica cosa “positiva” alla tua portata, e ti ci tuffi con tre avvitamenti carpiati, pregustando il sapore e l’estasi del godimento. Ed è vero, il piacere di fatto ti permette di lenire la tua miseria interiore.  Ma forse ti è permesso di fuggire la tua sofferenza per un  attimo, uno solo: poi, tutto ritorna come prima, e purtroppo, peggio di prima. I palliativi e le sostanze inebrianti, invero, aprono le porte delle stanze ove regnano depressione e sconforto. Ah se tu fossi capace di rendertene conto! Ma affidandoti alpiacere ti sei allontanato in tal misura dalla tua condizione senza tempo che vivi distratto in cerca di continue distrazioni che ti facciano dimenticare te stesso e la tua condizione. Chiudi gli occhi e ti lanci nell’orrido, sia quel che sia: tutt’al più morirai e tutto sarà finito, finalmente.

Eri troppo lontano dal tuo cuore e così non ti sei accorto che ciò che ti mancava e ti manca, è in realtà  l’energia che tutto muove e trasforma, la forza che tutto vivifica nella gioia, la sostanza di cui è fatto l’intero universo, umanità compresa, ti manca semplicemente la levezza del vivere. E tutto questo ha un solo nome: si chiama Amore. L’hai perso di vista da tanto tempo e con l’Amore hai perso di vista la Libertà, anche se credi di essere libero e te ne vanti al cospetto di tutti, gonfiando il petto e soffiando truce dalle narici come un toro che carica durante la corrida.

L’Amore non ha bisogno di nulla per esistere, c’è e basta, è. Non chiede nulla, è silenzioso e lontano da ogni attaccamento, lontano da qualsiasi passionale e irrefrenabile  desiderio e necessità di possedere, di far proprio il proprio oggetto d’amore. L’Amore non ha bisogno di un oggetto da amare, è uno stato dell’esistere che accoglie la nostra sofferenza e la vede svanire con la sua sola presenza. L’Amore non è appagamento di un sogno, è una sostanza che genera la realtà. Ma, soprattutto, l’Amore illumina tutto, inondando di gioia e di calore perfino il sole.