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https://democraticieriformisti.wordpress.co 16 GENNAIO 2018

Se partiamo dall’assunto che oggi l’economia reale è preda delle scommesse finanziarie – tesi oramai indubitabile – non possiamo che essere d’accordo con Joe Stiglitz su ciò che sarà la sua evoluzione futura: scontata incertezza. Infatti, oggidì non ci resta altro che fare previsioni con gli occhiali della finanza. Purtroppo, quelle lenti c’ingrandiscono segnali contraddittori, difficilmente decifrabili.

Nonostante i tre aumenti consecutivi dei tassi operati l’anno scorso dalla FED (Banca Centrale Americana), il differenziale di rendimento dei Treasury Bond USA (titoli di Stato) che sussiste tra la scadenza biennale e quella decennale è appena di mezzo punto percentuale.  Questo minimo scarto disegna lo stesso appiattimento della curva dei tassi che si rilevò nel 2007 quando il mercato azionario raggiunse il suo vertice massimo, qualche mese prima della grande crisi.

Uno scenario per nulla incoraggiante, da cui si deduce che l’economia si sta muovendo verso la fine del ciclo, inducendo gli investitori ad assumersi meno rischi. Per converso, continua lo sfoggio delle società tecnologiche e di quelle che vendono prodotti di largo consumo.

Statisticamente, tale crescita ci suggerisce che è quasi sempre posizionata nella fase di mezzo del ciclo, e che quindi ci sarebbero ancora margini di miglioramento. Sennonché, le conclusioni di Joe Stiglitz non sono affatto confortanti, per altro del tutto condivisibili.

The Global Economy’s Risky Recovery

Dec 20, 2017 JOSEPH E. STIGLITZ

NEW YORK – Un anno fa, previdi che l’aspetto più distintivo del 2017 sarebbe stata l’incertezza, alimentata, tra le altre cose, dall’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e dal voto del Regno Unito riguardo l’uscita dall’Unione Europea. L’unica certezza, a quanto pareva, era proprio l’incertezza, e che il futuro poteva configurarsi come uno scenario molto disordinato.

Nel corso del 2017, come previsto, Trump si è dimostrato in ogni occasione tronfio e irregolare. Chiunque avesse prestato attenzione solo ai suoi incessanti tweet avrebbe potuto pensare che gli Stati Uniti fossero in bilico tra una guerra commerciale e una guerra nucleare. Trump insultò la Svezia un giorno, l’Australia il successivo, e poi la UE, inoltre sostenne i neonazisti in patria. I membri del suo governo plutocratico si rivaleggiano tra loro in termini di conflitti d’interesse, d’incompetenza e di pura cattiveria.

Ci sono stati alcuni preoccupanti arretramenti normativi, in particolare per quanto riguarda la protezione ambientale, per non parlare dei numerosi atti dettati dall’odio che il bigottismo di Trump potrebbe aver incoraggiato. Ma, finora, la combinazione delle istituzioni americane unita all’incompetenza dell’amministrazione Trump ha significato che c’è (fortunatamente) un divario tra la sgradevole retorica della campagna del presidente e ciò che ha effettivamente realizzato.

[Tuttavia] assai più importante per l’economia globale, [constato] che non è stata scatenata una guerra commerciale. Utilizzando il tasso di cambio come barometro tra il Messico e gli Stati Uniti, i timori per il futuro del North American Free Trade Agreement si sono in gran parte attenuati, anche se i negoziati commerciali sono in fase di stallo. Eppure, le montagne russe di Trump non finiscono mai: il 2018 potrebbe essere l’anno in cui la bomba a mano che lui ha gettato nell’ordine economico globale finalmente esploderà.

Alcuni indicano come prova di un miracolo economico trumpiano i massimi record [raggiunti] dal mercato azionario statunitense. [A parer mio] li considero in parte come prova che la ripresa decennale della Grande Recessione sta finalmente prendendo piede. Ogni crisi – anche la più profonda – alla fine finisce; e Trump ha avuto la fortuna di essere alla Casa Bianca con uno scenario già preparato, traendo così beneficio dal lavoro del suo predecessore.

Ma considero anche la miopia dei partecipanti al mercato, a causa della loro esuberanza, dei potenziali tagli fiscali, del denaro che potrebbe nuovamente affluire a Wall Street, qualora il mondo del 2007 venisse ripristinato. Costoro, ignorano ciò che seguì nel 2008 – la peggiore recessione in tre quarti di secolo – il deficit e la crescente disuguaglianza causati  proprio da quei precedenti tagli fiscali per i super ricchi.

Danno poca attenzione ai rischi di de-globalizzazione posti dal protezionismo di Trump. E non vedono che, nel caso in cui i tagli alle tasse di Trump finanziati dal debito venissero promulgati, la Fed alzerà i tassi d’interesse, scatenando probabilmente una correzione del mercato.

In altre parole, il mercato sta mostrando ancora una volta la sua propensione per l’investimento a breve termine e la pura avidità. Nulla di tutto ciò fa ben sperare per la performance economica dell’America a lungo termine; e ci suggerisce che, sebbene il 2018 sarà probabilmente un anno migliore del 2017, ci sono grandi rischi all’orizzonte.

Ci appare uno scenario simile in Europa. La decisione del Regno Unito di lasciare la UE non ha avuto l’effetto economico sbalorditivo di cui si aspettavano coloro che vi si opponevano, questo dovuto principalmente al deprezzamento della sterlina. Ma è diventato sempre più evidente che il governo del Primo Ministro Theresa May non abbia una visione chiara su come gestire il recesso del Regno Unito, o sulla relazione post-Brexit del Paese con l’UE.

Ci sono altri due potenziali pericoli per l’Europa. Un rischio è che per quei paesi fortemente indebitati, come l’Italia, i quali avranno difficoltà a evitare la crisi quando i tassi d’interesse torneranno a livelli più normali, come è probabile che accada. Dopotutto, è veramente possibile che la zona euro possa mantenere tassi da record per il prossimo futuro, nonostante l’aumento dei tassi USA?

Ungheria e Polonia rappresentano una minaccia più profonda per l’Europa. La UE è molto più che un semplice accordo economico di convenienza. Rappresenta un’unione di paesi con un impegno per i valori democratici fondamentali: quegli stessi valori che i governi ungherese e polacco ora disprezzano.

La UE è in fase di sperimentazione e ci sono timori fondati che siano insufficienti. Gli effetti di questi test politici sulla performance economica del prossimo anno potrebbero essere di minuta importanza, ma i rischi a lungo termine sono chiari e scoraggianti.

Dall’altro lato del mondo, l’iniziativa Belt and Road del presidente cinese Xi Jinping sta cambiando la geografia economica dell’Eurasia, mettendo al centro la Cina e fornendo un importante stimolo per la crescita di quell’area.

Ma la Cina deve affrontare molte sfide, in quanto subisce una transizione complicata che va dalla crescita guidata delle esportazioni alla crescita trainata dalla domanda interna; da un’economia manifatturiera verso un’economia basata sui servizi; da una società rurale a una società urbana. La popolazione sta invecchiando rapidamente. La crescita economica sta rallentando notevolmente. La diseguaglianza è per alcuni aspetti quasi tanto ampia quanto quella presente negli Stati Uniti. Inoltre, il degrado ambientale rappresenta una crescente minaccia per la salute e il benessere degli esseri umani.

Il successo economico senza precedenti della Cina negli ultimi quarant’anni si è in parte basato su un sistema, in cui un’ampia consultazione e la costruzione del consenso all’interno del Partito Comunista e dello stato cinese, ha sostenuto ogni serie di riforme.

Funzionerà bene la concentrazione di potere di Xi in un’economia che è cresciuta in termini di dimensioni e di complessità?

Un sistema di comando e controllo centralizzato è incompatibile con un mercato finanziario tanto grande e complesso quanto quello cinese; allo stesso tempo, sappiamo dove i mercati finanziari non sufficientemente regolamentati possono condurre un’economia.

Ma questi sono tutti rischi essenzialmente a lungo termine. Per il 2018, la scommessa sicura è che la Cina farà strada, anche se con una crescita leggermente più lenta.

In breve, mentre la recessione post-2008 delle economie avanzate svanisce nel lontano passato, le prospettive globali per il 2018 sembrano un po’ migliori rispetto al 2017. Il passaggio dall’austerità fiscale a una posizione più stimolante sia in Europa che negli Stati Uniti ridurrà il bisogno per politiche monetarie estreme, che quasi sicuramente hanno avuto effetti distorsivi non solo sui mercati finanziari ma anche sull’economia reale.

Ma la concentrazione del potere in Cina, il fallimento dell’eurozona (finora) per riformare la sua struttura imperfetta e, cosa più importante, il disprezzo di Trump per lo stato di diritto internazionale, il suo rifiuto della leadership globale statunitense e il danno che ha causato alla democrazia, tutte queste considerazioni pongono rischi più profondi. In effetti, minacciano non solo di ferire l’economia globale, ma anche di rallentare quello che, fino a poco tempo fa, sembrava essere una marcia inevitabile verso una maggiore democrazia in tutto il mondo. Non dovremmo permettere che il successo a breve termine ci culli nel compiacimento.

Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, è professore universitario presso la Columbia University e Chief Economist presso l’Istituto Roosevelt. Il suo libro più recente è Globalization and Its Discontents Revisited: Anti-Globalization in the Era of Trump.

https://www.project-syndicate.org/onpoint/global-economy-risky-recovery-in-2018-by-joseph-e–stiglitz-2017-12