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by Federica Ghisolfi

Voglio rendere partecipe, più gente possibile, della magnifica storia della mia città, partendo proprio dalle origini. E’ molto bello, rispolverare, le vecchie notizie, inerenti la città dove uno abita.

La nascita di Novi, secondo gli storici, risale al X secolo d.c., “a seguito del processo di disgregazione della corte imperiale di Marengo, e il suo nome sarebbe dovuto al fatto di rappresentare l’ultimo castello, ovvero le nuove terre e le nuove case, sorte per emanazione di quella”. Il nome “Novi”, “Nove”, nei documenti antichi, non deriva dal numero nove, come vorrebbe una leggenda, ma deriva dall’aggettivo “nuovo”, riferito a quei territori non ancora abitati in età imperiale, disboscati e bonificati e resi abitabili, solo a partire dall’Alto Medioevo, quando si creano nuovi insediamenti. Si racconta che un uomo di nome Tolomeo Ancisa, scampato alla distruzione di Antilia (forse Libarna, città romana sorta nel II secolo a.c fra le attuali Serravalle ed Arquata), fugge e si stabilisce con la famiglia in un luogo distante due leghe, dove, dopo aver disboscato, costruisce nove case, una per ognuno dei suoi nove figli maschi. Da queste “nove2 costruzioni avrebbe preso vita la città che dai posteri sarebbe poi stata chiamata “Nove”, dal numero delle case originarie. La realtà storica è un po’ diversa e inizia, con tutta probabilità, alcuni secoli dopo l’abbandono di Libarna, e senza alcuna continuità con questo insediamento. Nel 1135, anno del primo documento storicamente certo nella storia della città, Nove è una realtà ben consolidata, con un castello ed un borgo, governata da consoli. Tortona ha continuato a pretendere dai novesi il pagamento del “fodro”(dal longobardo “foraggio”) e della “colta” e, oltre ai tributi, anche la fornitura di mano d’opera per scavare i fossati. E’ questa la ragione per cui Novi, nel 1135, stringe un’alleanza con Genova e Pavia, contro Tortona: il 12 gennaio 1135, “l’universo popolo di Novi, ricchi mediocri e poveri, nobili e plebei” si riunisce nella chiesa di San Nicolò, dove accoglie “cum magna avidate” i legati genovesi con a capo il notaro Bongiovanni Cainardo. Nel documento redatto in quell’occasione, gli “uomini del castello e del borgo di Novi”, cedono la rocca in proprietà per metà alla chiesa di San Lorenzo di Genova e per l’altra metà alla chiesa di San Siro di Pavia, si impegnano a custodirla ed a pagare ogni anno un censo alle due chiese, a proteggere i beni dei genovesi e dei pavesi, a fare la guerra ai tortonesi. Il documento viene sottoscritto dai consoli, sentito il parere del Consiglio dei Nobili, e dai membri del popolo, dei quali sono indicati i nomi e talvolta la professione. E’ evidente come l’importanza del documento risieda anche nello spaccato di vita politico-sociale di Novi in quel periodo, che ci fornisce: gli uomini “de burgo et de castro” lasciano intendere che esistevano un borgo con case e botteghe, e un luogo fortificato con costruzioni e persone, protetto da una cinta muraria.

Scritto più foto tratte dal libro “La Municipalità di Novi nei suoi simboli”