Il percorso

di Antonietta Fragnito

Il percorso dell’uomo, nella sua drammaticità, ha dell’incantevole. Noi nasciamo predefiniti, secondo alcuni, pilotati dal “destino”.
Di fronte ad eventi ineludibili ci si appella a questa parola che rappresenta lo stop,
l’ abbassare la testa.
Può essere un lutto, una malattia incurabile, una catastrofe, una devianza.
Le persone religiose chiamano in soccorso il concetto di croce, che sarebbe
dosata in base alla forza che uno ha per trasportarla in spalla.
La vita però, aldilà dall’ essere un evento istantaneo se rapportato al concetto di eterno, secondo me, è viziata dal colore che le facciamo indossare,
una sorta di profezia che si autoavvera.
Questo perché in certe dimensioni essa è assolutamente infinita.
Prendete ad esempio l’ infanzia, dove tutti gli spigoli sono fagocitati dalla visione pura. E perfino giocare in una discarica diventa una grande occasione ludica.
Prendete la dimensione dell’ innamoramento. Lì non esistono più le noie esistenziali, anzi diventano lievi.
La morte si annulla, si entra nella nicchia dell’ amato bene e si diventa immortali. Prendete la dimensione della follia dove la realtà diventa una sorta di archetipo, a volte un arcobaleno.
Io credo che alla vita non bisognerebbe mai sottrarre il bambino, l’ amore e nemmeno quel tocco di indispensabile follia.