di Luigi La Spina. http://www.lastampa.it

I campanelli d’allarme, a Torino, sono così forti e ripetuti che nessuno, ormai, può dire che non li abbia sentiti. Da una parte, le aziende che annunciano chiusure e licenziamenti, dalle più grandi, come l’Embraco e l’ex Seat Pagine Gialle, a molte altre più piccole. Dall’altra, un significativo contrasto tra il clamoroso successo su tutto il territorio nazionale del M5S e il netto arretramento dei consensi torinesi, a soli due anni dal varo dell’amministrazione Appendino.

Con un altrettanto significativo travaso di voti che dalle periferie, bacino fondamentale dell’elettorato che la fece trionfare contro Fassino, si è spostato alla Lega. Nella capitale subalpina, economia e politica preoccupano anche chi, come il presidente degli imprenditori torinesi, Dario Gallina, aveva dimostrato nei confronti di Appendino e della sua giunta un atteggiamento tutt’altro che ostile.  

Di fronte all’emorragia di industrie che lasciano Torino e il Piemonte, sono davvero poche le aziende che decidono di insediarsi in questo territorio. Eppure, se si allarga lo sguardo alle altre realtà del Paese, si intravedono con sempre maggiore insistenza segnali di una ripresa, non travolgente, ma indubbia.  

È certamente sbagliato indulgere a un pessimismo che trascura le potenzialità di risorse umane, intellettuali, imprenditoriali, di una cultura industriale e manageriale che non è sicuramente scomparsa, all’improvviso, negli ultimi anni. Ma l’esigenza di quella che retoricamente si battezza “una svolta” è ampiamente sentita. A partire dalla politica, ma non solo. 

Il pericolo più grande è la sottovalutazione, da parte della sindaca e dei suoi più stretti collaboratori, del pericolo dell’immobilismo, di quella paura di scelte coraggiose che pure potrebbero alienarle il consenso di una parte dei suoi sostenitori. Con il consueto alibi di tutti gli sconfitti, la magra consolazione di chi ripete «poteva andare peggio», nella speranza di poter contare, passata la bufera, che torni il sereno.  

«Continuare così», del resto, non si potrà, neanche volendo. Torino è alla vigilia di scelte che non si possono più rinviare, a partire dalla decisione sulla candidatura della città alle Olimpiadi invernali. Un’opportunità che, anche simbolicamente, potrebbe restituire ai cittadini un obiettivo comune tale da indurre anche la società civile, perplessa da una attesa che sembra incomprensibile, a uno slancio di impegno solidale che, negli ultimi tempi, sembra non aver trovato molti motivi per dimostrarlo. 

Un’illusione va subito fugata. Quella di dire di «sì» alla candidatura, ma con tali condizioni e tali cautele da pensare che si possa, poi, addebitare al Coni, al governo o al Cio, comunque ad altri, la responsabilità di una eventuale bocciatura. Senza una forte convinzione, senza un entusiasmo mobilitante di tutte le forze cittadine non sarà possibile vincere. E la colpa non sarà sempre degli altri.