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Alessandria: 17 anni per gli amministratori Solvay, da 11 a 16 anni per i dirigenti chiesti da Paola Dezani, Procuratore della Repubblica, nel processo in Corte d’Assise d’ Appello a Torino, per gli imputati di avvelenamento doloso della falda di Alessandria. Nella sua memoria (clicca qui) depositata alla Corte presieduta da Fabrizio Pasi, Lino Balza ha evidenziato  due testimonianze  emblematiche del dolo diretto, cioè della piena conoscenza –diretta- degli Amministratori.

Essi sapevano che sotto lo stabilimento c’è la gigantesca falda acquifera di Alessandria, sapevano che la falda serve per l’alimentazione, sapevano per conoscenza diretta che la stavano (la stanno) avvelenando con un cocktail di 21 tossici cancerogeni, nascondevano e falsificavano. (La stanno avvelenando perché i veleni  sono ancora tutti lì, dopo i palliativi delle cosiddette barriere idrauliche,  come confermano le recentissime analisi Arpa).   

La prima è la lunga testimonianza di Lino Balza  resa il 5/5/14. Da ormai 50 anni, Balza scrive articoli sui giornali locali e nazionali in merito al polo chimico Montedison/Solvay (ne è il massimo biografo), una quantità imponente di articoli che  raccolti formano ben tre libri (Ambiente Delitto Perfetto, coautrice Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia, pagg. 518, e L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza volume primo e secondo).

I più attenti lettori di questi articoli, ovviamente, sono stati i Dirigenti e gli Amministratori, ovviamente perché gli articoli denunciavano all’opinione pubblica le discariche abusive e  gli inquinamenti dell’azienda, la quale sugli stessi organi di informazione replicava come poteva. Fra gli inquinamenti per decenni denunciati: l’oggetto di questo processo: la massa di rifiuti tossici e cancerogeni sotterrati che percolavano in falda (es. sui giornali migliaia di bidoni fotografati da Balza.). Dunque, dimostra Balza nella sua testimonianza del 5 maggio (J’accuse interamente riportato su Ambiente Delitto Perfetto da pag. 97), che gli Amministratori non possono dire che non sapevano. O che sottovalutavano i fatti, delegandone la soluzione ai sottoposti (peraltro tutti sedicenti “consulenti”, consulenti di chi?). Gli Amministratori non sottovalutavano  che la bonifica, la vera bonifica e non palliativi tipo barriere, sarebbe costata milioni e milioni. La “catena di comando” sapeva assai e valutava assai, al punto che hanno sottoposto Balza ad una odissea di rappresaglie e processi (7 cause in pretura, 4 in appello, 2 in cassazione) fino al licenziamento (da Cogliati), fino alla Cassazione, tutti processi vinti da Balza e con grande rilievo mediatico. [Vol. 2 L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza]. 

Nella testimonianza, Balza dimostra che gli Amministratori sapevano sia delle sue diffusissime denunce che delle ancora più pericolose sue proposte di controllo pubblico del polo ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale , cioè delle 10 rivendicazioni dell’Osservatorio ambientale della Fraschetta, di cui Balza è l’autore. Tanto sapevano, al punto che il presidente Cogliati teneva conferenze stampa per contestare Balza, così violente che Piero Bottino il direttore locale de La Stampa sbigottito le ha descritte anche di recente nella recensione di un libro di Balza. [pag. III L’avventurosa.. ]

Tutta la “catena di comando” Ausimont (poi passata a Solvay) sapeva. Gli stessi Presidenti belgi sapevano. A parte il fatto che le alte colline di rifiuti nella piana di Marengo erano evidenti alle loro frequenti visite   (sono visibili ancora oggi), nella sua testimonianza, Balza ha esibito il 5/5/14 una lettera aperta, all’epoca pubblicata dai giornali,  consegnata con allegati via fax al presidente Bernard De Laguiche  mentre, nel dicembre 2002, era presente ad Alessandria in pubblica conferenza, lettera aperta centrata sull’Osservatorio ambientale della Fraschetta: del quale uno dei punti rivendicati era proprio la bonifica dei veleni che stavano percolando in falda.

Nella stessa testimonianza, per esperienza diretta Balza conferma la conoscenza da parte degli amministratori, sia di Ausimont che di Solvay, degli archivi citati dal Pubblico Ministero, archivi che non erano “segreti” ma “blindati”a fianco dell’ufficio dell’Amministratore prima italiano e poi belga: scheletri negli armadi “inaccessibili” a sindacati e Enti .

La seconda  testimonianza da sottolineare è quella di Chiara Cattaruzza: è resa  il  22/5/13 (è anche ripresa da Balza nella sua testimonianza).  Cattaruzza, peraltro teste della difesa, a.d.r. conferma testualmente: “Ricordo che il cartello era nella palazzina uffici, ad una riunione ero andata in bagno, e c’era nel bagno questo cartello di acqua non potabile”.  L’acqua prelevata dall’azienda dal pozzo 8 (illegalmente situato sotto lo stabilimento e addirittura in regime di bonifica per un cocktail di 21 veleni), e somministrata ai lavoratori e ai cittadini,  dunque non era ritenuta potabile dall’azienda. Peccato che il cartello era affisso solo nei servizi igienici dei dirigenti esclusivamente frequentati da Carlo Cogliati, Bernard de Laguiche, Pierre Jaques Joris, Giulio Tommasi, Francesco Boncoraglio, Luigi Guarracino, Giorgio Carimati, Giorgio Canti. Nessun cartello era appeso altrove: “la catena di comando” sapeva che l’acqua era avvelenata e lo nascondeva agli altri (tra cui Balza, operato per tumore) [il reato va perfino  oltre l’art. 439]. Tanto lo sapevano che alla responsabile laboratorio  Valeria Giunta ordinavano di produrre analisi in doppia versione, una pubblica e l’altra segreta: è agli atti. Valeria Giunta non aveva certo rilevato dalle analisi che l’acqua risultava non potabile per la presenza di inquinamento organico: d’altronde sfido qualunque organismo vivente a sopravvivere in un cocktail di 21 veleni tossici e cancerogeni.

Lino Balza