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Per Mattarella un puzzle che sembra incomponibile, di Federico Geremicca. La Stampa

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 18 aprile ha affidato a Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, un mandato esplorativo per verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra Centrodestra e Movimento 5 Stelle per formare un Governo. Due giorni dopo Casellati ha comunicato al capo dello Stato che il risultato è stato negativo
Federico Geremicca Roma http://www.lastampa.it
Le tessere del puzzle sono ancora tutte lì, incomponibili, sul tavolo di Sergio Mattarella. M5S non combacia con FI. Lega non si unisce con Pd. Le facce di Di Maio e Renzi restano inavvicinabili. E anche la tessera-jolly – governo del Presidente – non trova volti o sigle che, unendosi tra loro, la rendano per ora spendibile. È passato oltre un mese e mezzo dal voto del 4 marzo, e poco o nulla sembra esser cambiato. Il Capo dello Stato alterna pause, riflessioni e accelerazioni. È la sua crisi più difficile: e dentro questa crisi, quella che si apre è la settimana più dura da decriptare. 

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Sergio Mattarella non è un Presidente «tecnico», se si intende l’espressione: a differenza di Carlo Azeglio Ciampi, per dire, viene dalla politica, conosce i riti di Montecitorio e ci ha messo dunque un attimo – appreso il responso elettorale – a capire che la quadratura del cerchio stavolta non sarebbe stata facile. Le tessere sul suo tavolo raccontavano, infatti, di maggioranze numeriche difficili da trasformare in maggioranze politiche (centrodestra più Cinque Stelle o centrodestra più Pd) e di possibili intese politiche (per esempio Pd-Forza Italia) senza numeri capaci di dar vita a un governo.

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Come se non bastasse, l’estrema chiarezza del responso elettorale imponeva necessariamente di partire dai «vincitori», definizione forse troppo frettolosa.

Cioè da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, certamente – tra i leader in campo – i più distanti da lui, per linguaggio, cultura politica e (se si vuole) modo di intendere la responsabilità di fronte alle istituzioni. Questa distanza, infatti, qualche equivoco lo ha creato: soprattutto con la Lega, che la settimana scorsa ha addirittura interpretato come un tentativo di «fregatura» l’idea che un preincarico potesse venir assegnato a uno tra Salvini e Giorgetti. Il solo fatto che lo si sia pensato, è stato naturalmente ritenuto oltremodo offensivo lassù al Colle.

Nulla di facile, dunque, fino a ora. E probabilmente niente di facile anche da adesso in poi. Stamane dovrebbe esser annunciata un’esplorazione di Roberto Fico, con un mandato stringente e chiaro: verificare la possibilità di un’intesa di governo tra Cinque Stelle e Pd. Sergio Mattarella non si fa soverchie illusioni perché sa che è assai probabile che la missione produca lo stesso risultato partorito dall’esplorazione della presidente Casellati. Eppure, né il primo tentativo né l’altro – a ben vedere – possono essere considerati delle perdite di tempo.

Alla fine del doppio giro, infatti, i due presidenti avranno sgombrato il campo da ipotesi fantasiose e impercorribili, da finte piste e da alibi utili solo a prender tempo, mettendo tutti i volti e le sigle del puzzle di fronte a quelle che – ad oggi – appaiono le uniche due vie percorribili. Un governo dei «vincitori», cioè sostenuto dai soli Di Maio e Salvini, oppure un esecutivo del Presidente. Questa seconda ipotesi rappresenta, tradizionalmente, l’ultima carta nelle mani del Quirinale: ma stavolta nemmeno questa sembra essere una mossa vincente, considerata la ripetuta indisponibilità dei «diarchi» a partecipare a «governissimi» o governi tecnici «telecomandati da Bruxelles».

Due sole ipotesi in campo, dunque. La prima richiede ancora un po’ di tempo, perché Salvini – ammesso che alla fine decida di farlo – ha bisogno di far maturare la rottura con Berlusconi e il nuovo patto con i grillini così che non appaia (come forse è) una scelta maturata fin dalla sera del 4 marzo. La seconda – la più gradita al Colle – richiede invece dei radicali ripensamenti: ma perché mai Di Maio e Salvini dovrebbero annacquarsi in un «governissimo», se hanno dalla loro la forza dei numeri (ancora crescenti) e la spinta di un vento che non pare arrestarsi?

È dunque in un quadro così che si apre stamane l’ottava settimana di questo confuso post-voto, ed è inutile tornare a sottolineare la preoccupazione che assedia le stanze del Quirinale. Per altro, l’ipotesi di un governo «populista» suscita timori e perplessità crescenti, a maggior ragione dopo le posizioni assunte dalla Lega all’indomani dei bombardamenti su Damasco.

Le uniche due tessere del puzzle che sembrano combaciare, insomma, sono anche i tasselli di una possibile ricollocazione dell’Italia sullo scenario internazionale? È una domanda dalla risposta non scontata. E una domanda, in verità, della quale Sergio Mattarella non vorrebbe nemmeno arrivare ad ascoltare la risposta. La speranza che maturi una soluzione diversa, infatti, non è stata abbandonata. Ma forse è solo perché un vecchio detto consolatorio ricorda a tutti che la speranza è l’ultima a morire.