Cambiano ancora le regole della flat tax. Dimezzato lo sconto alle imprese

Stesse due aliquote (15 e 20%) anche per partite Iva e società. Si punta sulla pace fiscale per le coperture. In salita il reddito di cittadinanza: non sarà varato fino al 2020. Prima serve la riforma dei centri per l’impiego
ANSA
PAOLO BARONI ROMA
 

All’ultimo giro di boa la messa a fuoco del meccanismo della flat tax dimezza lo sconto alle imprese. Nell’ultima bozza di accordo chiusa mercoledì sera i dettagli della riforma fiscale del futuro governo giallo-verde erano infatti ancora segnati in rosso come tutti gli altri punti ancora da sottoporre «a vaglio politico primario». Ieri mattina Di Maio e Salvini hanno dato semaforo verde, ma il paragrafo sulla flat tax è stato riscritto introducendo una penalizzazione a carico delle società, in pratica equiparate alle famiglie, che nella versione precedente del contratto non c’era. 

Due aliquote per tutti  

Da due aliquote fisse al 15 e 20% per persone fisiche, partite Iva e famiglie e una fissa al 15% per le società, si passa infatti a un meccanismo uguale per tutti: sia le persone fisiche che le famiglie, le partite Iva e le società verranno infatti assoggettate al doppio regime 15/20%. In questo modo per le imprese, che oggi sono assoggettate a una aliquota Ires del 24%, lo sconto si riduce in maniera significativa e in alcuni casi si dimezza quasi. Resta invariata invece la previsione di assegnare una deduzione fissa di 3 mila euro sulla base del reddito famigliare allo scopo di introdurre un elemento di progressività che la riduzione delle aliquote rispetto all’attuale regime di fatto riduce in maniera consistente. Tant’è che secondo una analisi di lavoce.info questa «quasi flat tax» dovrebbe premiare soprattutto i redditi medio-alti a cui andrebbe la metà delle risorse che verrebbero liberate.

Stralcia e paga  

Quanto alle coperture, nel primo anno il grosso (35 miliardi) dovrebbe arrivare dalla cosiddetta «pace fiscale» che sa tanto di condono: si tratta dello «stralcia e paga» che dovrebbe prevedere la possibilità di saldare le pendenze col Fisco versando il 6, 10 o 25% del dovuto, a seconda della situazione economica in cui versa il contribuente. In realtà nel contratto di governo questo meccanismo non viene esplicitato anche se la bozza chiusa l’altra sera con la dicitura «(Mettere la proposta?)» lasciava esplicitamente ai due leader la possibilità di farlo.  

Assegno a termine  

Vista la mole degli impegni economici un po’ tutti i grandi progetti del tandem Lega-M5S sono destinati a essere diluiti nel tempo. E questo vale anche per il reddito di cittadinanza per la semplice ragione che prima occorre mandare in porto la riforma dei centri per l’impiego, «assolutamente necessaria perché non funzionano più» come ha spiegato l’altra sera a «Porta a Porta» la deputata 5 Stelle Laura Castelli. «Se non si fa questa riforma non si può partire col reddito di cittadinanza». Per questo il Contratto prevede 2 miliardi di fondi per una operazione che dovendo però passare attraverso un accordo con le Regioni si presenta tutt’altro che semplice.  

Non decollerà certo in tempi rapidi ed è ottimistico anche ipotizzare che il sussidio parta nel 2020. Intanto nel tira e molla su come dettagliare il provvedimento ha avuto la meglio la Lega: nel testo finale del Contratto resta infatti confermato il limite dei due anni (durante i quali ricevere 3 proposte di lavoro) richiesto dal partito di Salvini per evitare gli effetti assistenzialistici. Il resto del provvedimento resta confermato: dai 780 euro mensili per persona di soglia di rischio povertà, calcolati tenendo conto sia del reddito del singolo o del nucleo famigliare che dei relativi patrimoni (casa compresa) ai 17 miliardi di stanziamento annuo.  

Maxispesa pensioni  

Confermata anche l’analoga misura destinata al sostegno di chi ha smesso di lavorare e si trova a rischio povertà: anche la «pensione di cittadinanza» avrà infatti una soglia di 780 euro, «secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza». Di questa seconda misura si è parlato poco, ma ieri è circolata una stima destinata a far lievitare ulteriormente il costo della manovra di M5S e Lega. In base agli ultimi dati dell’Inps, infatti, a seconda che l’integrazione interessi le sole pensioni sociali (che sono oltre 850 mila) o che venga estesa a tutti gli assegni di importo inferiore a 780 euro mensili (4,5 milioni di persone) il costo oscilla tra 4,7 e 20 miliardi. Mica bruscolini.