Generazione Z, se i bambini si comportano come i robot

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Secondo una serie di esperimenti inglesi chi gioca con le macchine, dopo un po’ di tempo, inizia a imitarne i movimenti. E in Asia sono in vendita degli umanoidi per far compagnia ai più piccoli

AP

Un bambino osserva un robot durante l’evento più importante del settore tecnologico a Pechino

VITTORIO SABADIN LONDRA

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Tutti sanno che lasciare i bambini per ore davanti alla tv, all’iPad o alla playstation non è l’ideale per la loro crescita intellettuale. Ma molti genitori troppo indaffarati fanno oggi anche di peggio: li affidano a un robot. A lanciare l’allarme, in una conferenza che ha trovato vasta eco sui giornali inglesi, è stata la dottoressa Kathleen Richardson, insegnante di etica e robotica alla De Montfort University di Leicester. «I bambini che trascorrono molto tempo con robo-toys o con baby sitter digitali – ha detto – cominciano prima o poi a muoversi e a parlare come un robot, perdendo la capacità di comunicare come un essere umano».  

Richardson ha condotto una serie di esperimenti su numerosi bambini che giocavano con robot e ha osservato una tendenza comune: dopo un po’ di tempo i bambini imitavano le macchine, anche nel riprodurre i suoni che queste producevano. In molte strutture sanitarie robot umanoidi sono usati con i bambini autistici, per insegnare loro semplici movimenti. Un robot che spiegava ai piccoli come salutare agitando la mano non ha ottenuto alcun risultato, ma è stato perfettamente imitato nel rumore dei suoi meccanismi e nell’andatura.  

 

In Cina  

I genitori che osservano i loro bambini giocare con i semplici robot che si trovano in commercio penseranno che le preoccupazioni della dottoressa Richardson siano esagerate, ma la ricerca tecnologica è già andata molto più avanti. In Cina è in vendita iPal, un robot umanoide che è in grado di raccontare favole e di rispondere ai continui “perché?” dei bambini. Prodotto da Avatarmind, è stato progettato per aiutare i genitori che hanno un figlio unico a intrattenerlo durante la giornata. Il risultato, avverte Richardson, sarà catastrofico: come le famose oche dell’etologo Konrad Lorenz, i bambini lo scambieranno per il loro tutore e mentore, e impareranno da lui a muoversi e a comunicare.  

 

«È ormai provato – ha detto Richardson – che se mettiamo una macchina vicino ai bambini loro cercheranno di imitarla. Meno contatti umani hanno e più emuleranno il comportamento di chi è davanti a loro, specialmente se le macchine mimano segnali di amicizia o di interazione sociale». Secondo l’esperta della De Montfort University queste mutazioni sono rapidissime: «Già l’esperienza di tutti i giorni ci dice che i bambini che stanno a lungo in contatto con dispositivi digitali hanno difficoltà a dialogare. Dicono cose intelligenti, ma lo fanno brevemente e ritornano subito allo smartphone».  

 

In Giappone  

In un futuro non lontano i robot che interagiscono con gli esseri umani saranno molto presenti nella nostra vita. In Giappone, dove manca personale sanitario e il numero di anziani è in continua crescita, un robot chiamato Paro si occupa dei malati di Alzheimer e ad altre macchine umanoidi viene insegnato a capire l’umore dei ricoverati negli ospizi, in modo da consolarli con un gioco se sono tristi.  

 

Una società nella quale bambini ed anziani saranno custoditi e intrattenuti da robot per permettere ai parenti di dedicarsi al lavoro o ad altre attività sembra avere molti aspetti positivi. Ma gli esperti avvertono che nessuna macchina può per ora imitare l’empatia e l’altruismo che sono alla base di una efficace assistenza infermieristica e nessun baby sitter digitale potrà mai sostituire i genitori come punto di riferimento delle cose che bisogna imparare sulla vita e sulle relazioni fra le persone. «Gli esseri umani – ha concluso la dottoressa Richardson – erano abituati da millenni a riunirsi, a discutere e confrontarsi guardandosi negli occhi. Oggi rischiamo di perdere una delle abitudini sociali che ci hanno permesso di evolvere, e di diventare quello che siamo».