Pace fra Di Maio-Tria, uniti contro l’Inps

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Salvini torna alla carica e chiede le dimissioni del presidente dell’Istituto di previdenza “nominato da Renzi”

ANSA

Il vice premier e ministro del Lavoro, Luigi di Maio. Sullo sfondo il ministro dell’Economia, Giovanni Tria

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ALESSANDRO DI MATTEO  ROMA

Tutti contro Tito Boeri, la maggioranza Lega-M5s cerca di chiudere così la polemica sul cosiddetto «decreto dignità» che ha quasi provocato un cortocircuito tra il vice-premier Luigi Di Maio e il ministro dell’Economia Giovanni Tria.

Si prova a voltare pagina mettendo nel mirino il presidente Inps «nominato da Renzi continua a ripetere che la legge Fornero non si può toccare e che gli immigrati pagano le pensioni degli italiani. Io penso che sbagli e che si dovrebbe dimettere», attacca il leader della Lega Matteo Salvini.

Per la maggioranza giallo-verdeSarebbe solo «colpa» sua se nella relazione al decreto è stato inserito un passaggio che ipotizza una perdita di 8mila posti di lavoro all’anno a causa della riduzione della durata dei contratti a termine sancita dal provvedimento.

Previsione che ha scatenato le opposizioni e che Luigi Di Maio, infuriato, ha subito disconosciuto, spiegando che non era stato il suo ministero a inserire quei numeri nella relazione. Fonti M5s, poi, parlavano di una «manina» da cercare nelle stanze del ministero dell’Economia o in quelle della Ragioneria generale.  

Uno scontro pericoloso nel governo che andava disinnescato. Ieri, all’ora di pranzo, è arrivato un comunicato congiunto di Di Maio e Tria per provare a chiudere, almeno pubblicamente, l’incidente. Di Maio ha negato di avere mai lanciato accuse al ministero dell’Economia o alla Ragioneria, mentre Tria ha a sua volta preso le distanze dalla stima degli 8mila posti di lavoro in meno ogni anno, sottolineando che si tratta di cifre di «fonte Inps, prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili». Non abbastanza, però, per chiudere il caso. Il presunto «colpevole» andava indicato con chiarezza e Di Maio ha voluto precisare, nella stessa nota congiunta, che bisogna capire da dove provenga quella «manina» che, si ribadisce, «non va ricercata nell’ambito del Mef».  

Tra i sospettati, alla fine, restava appunto proprio l’Inps di Boeri, non a caso già sabato sera era finito nel mirino di Matteo Salvini. Anche ieri, dopo la nota congiunta Di Maio-Tria, il leader leghista è tornato alla carica: «In un mondo normale se non sei d’accordo con niente delle linee politiche, economiche e culturali di un governo e tu rappresenti politicamente, perché il presidente dell’Inps fa politica, un altro modo di vedere il futuro, ti dimetti». Concetto ribadito anche su twitter: «Io penso che sbagli e che si dovrebbe dimettere». 

Troppo, per Boeri, che a quel punto ha deciso di passare alla controffensiva: «Le dichiarazioni contenute nella nota congiunta dei ministri Tria e Di Maio rivolgono un attacco senza precedenti alla credibilità di due istituzioni nevralgiche». Due istituzioni, dice Boeri, perché oltre all’Inps, a suo giudizio, il comunicato del governo mette sul banco degli imputati anche la Ragioneria che «ha bollinato una relazione tecnica che riprende in toto le stime dell’Inps». Tagliente la conclusione: «I dati non si fanno intimidire». La stima dell’Inps, anzi, è «relativamente ottimistica. Quanto al merito, siamo ai limiti del negazionismo economico». 

Immediate le reazioni dei partiti. Le capigruppo di Forza Italia Mariastella Gelmini e Annamaria Bernini chiedono a Luigi di Maio di riferire in aula sulla vicenda. La Bernini condanna lo «scontro intimidatorio con i tecnici del Mef e l’ipotesi di un brutale spoil system per avere osato dire la verità sugli orrori del decreto dignità». Il senatore del partito democratico, Dario Parrini, renziano, attacca invece Salvini per «l’atteggiamento autoritario e intimidatorio, del tutto incompatibile con lo stato di diritto e con un corretto funzionamento della democrazia liberale e costituzionale». il vice-prsidente di Fi Antonio Tajani, poi, chiede l’intervento della Corte dei conti.