Fca, il dopo Marchionne è una terra straniera

Gli operai davanti ai cancelli, i sindacalisti davanti ai microfoni, gli analisti nei report, i titoli sui mercati: il filo conduttore è un grande senso d’incertezza

By Giuseppe Colombo
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Fiat Chrysler Chief Executive Sergio Marchionne and Fiat Chairman John Elkann enter the auditorium for the FCA Investors Day at Chrysler World Headquarters in Auburn Hills

REBECCA COOK / REUTERS

“È come avere Cristiano Ronaldo e poi ritrovarsi tutto ad un tratto senza”. Passare, cioè, dalla migliore condizione possibile e desiderabile a uno scenario di incertezza. Nelle ore travagliate che sta attraversando Fca, stretta tra il dolore per Marchionne e il cambio non indolore dei vertici, emerge in modo prepotente un elemento: la grande incognita per il futuro. Il parallelismo tra l’uomo che ha salvato la Fiat dal fallimento e il campione portoghese – confidato a Huffpost da una fonte – è l’immagine emblematica di uno spiazzamento inatteso, maturato all’improvviso, che ha portato con sé un imprevisto senso di smarrimento. La bussola ora fatica a segnare una direzione stabile.

L’incertezza è il sentiment che caratterizza i diversi piani su cui si innesta la vicenda Fca, precipitata dopo la notizia delle condizioni di salute del suo manager di punta. A partire da quella per il destino degli stabilimenti italiani di Melfi, Pomigliano, Cassino, Mirafiori, Grugliasco e Modena. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, lo dice in modo chiaro: “I lavoratori sono molto preoccupati. Chi sarà ora il garante?”. Federico Bellono, segretario generale della Fiom torinese: “I nostri timori sono rafforzati dal cambio al vertice così improvviso e dall’arrivo di un manager legato a un brand americano”.

I sindacalisti riflettono le paure degli operai. A Mirafiori e Pomigliano, come riporta l’Ansa, l’incertezza deflagra. “Sono grato a Marchionne, ci ha salvato. Speriamo che il nuovo amministratore delegato vada avanti sulla stessa strada e arrivi il nuovo modello. Qualche paura ce l’abbiamo”, spiega Gregorio, 25 anni in carrozzeria. “Marchionne ha fatto il massimo per Mirafiori. Manley? Non so, speriamo bene”, dice un altro operaio. “Manca un modello, i volumi non garantiscono la sopravvivenza produttiva dello stabilimento. Si vive nell’incertezza, alla giornata, non c’è un futuro garantito. Erano previste due settimane di ferie ad agosto perché ci doveva essere un aumento dei volumi, nei giorni scorsi le settimane sono diventate tre”, aggiunge Giovanna.

Anche a Pomigliano, davanti allo stabilimento, gli operai si scambiano opinioni sul futuro e sulle condizioni di salute dell’ex amministratore delegato. “Siamo dispiaciuti per le condizioni di salute di Marchionne – dice Aniello Guarino – ci aspettavamo che fosse lui a venirci a comunicare il nuovo modello di auto da produrre. Manley? Non è italiano, e questo ci preoccupa, ma ha fatto un ottimo lavoro con la Jeep”. Gerardo Giannone, carrellista, ricorda la prima visita di Marchionne. “Lavoravo al montaggio dell’Alfa 147 – spiega – all’improvviso decise di deviare il suo percorso e si diresse agli spogliatoi, ai bagni, su vecchie linee in disuso. Quando tornò era furioso, e urlava, diceva che non dovevano nascondergli le criticità. Ci sono state stagioni conflittuali e continui rinvii per il rilancio del nostro sito, ma ad ottobre avremmo dovuto avere la certezza sul nuovo modello, speriamo che il nuovo ad non stravolga tutto e non ci porti alla deriva”.

Non mancano i commenti critici, come quello di Mimmo Loffredo: “Si dovrebbe evitare la santificazione di Marchionne. Pomigliano era stato uno dei pochi stabilimenti a tenere durante la crisi con produzioni di successo, ma fu disegnato come il peggiore per poter imporre le nuove regole”. Qualcun altro crede che Manley “cambierà tutto il piano”. “Siamo tornati in cassa integrazione – afferma Antonio – quale sarà la nuova vettura nessuno al momento lo sa. Marchionne nel 2008 voleva chiudere questo stabilimento, e ora con l’inglese cosa succederà?”.

Passando dalla base al piano più alto, l’incertezza assume sfumature diverse, ma c’è un comune denominatore: la sostituzione di Marchionne con Mike Manley e l’uscita di Alfredo Altavilla dal ruolo chiave di guida delle attività europee del gruppo suscitano critiche e preoccupazioni. Che direzione sarà intrapresa? Il piano industriale presentato un mese e mezzo fa a Balocco, che mira a investire 9 miliardi nel settore dell’auto elettrica e a usare il marchio Jeep come testa d’ariete in Cina, resterà uguale? Ma soprattutto: sarà capace Manley di reggere l’eredità di Marchionne? Dopo “il migliore”, per dirla con l’espressione usata da John Elkann nella lettera ai dipendenti del gruppo, riuscirà il neo amministratore delegato a ripetere i risultati dell’ultimo decennio?

Su quest’ultimo interrogativo nascono e si alimentano i dubbi e i timori non solo del management, del mondo sindacale e degli operai, ma anche dei mercati. Nella seduta odierna la galassia Agnelli ha bruciato oltre 2,3 miliardi di euro, con i titoli in caduta libera a Piazza Affari: Ferrari -4,88%, Exor -3,2%, Chn -1,7%, Fiat Chrysler -1,5 per cento. Copione identico a Wall Street. Movimenti bruschi che per gli analisti della banca d’affari Morgan Stanley sono destinati a durare finché Manley non svelerà le carte. Dal titolo di Fiat Chrysler Automobiles – si legge nel report – bisogna aspettarsi “una maggiore volatilità fino a quando la nuova direzione non comunicherà chiaramente la propria posizione sulle priorità strategiche”. Pesa non solo l’uscita di Marchionne, ma anche l’addio di Altavilla, uno dei quattro competitor per la successione, che ha deciso di lasciare anche per dedicarsi al suo nuovo ruolo di consigliere d’amministrazione in Tim. Un’uscita, quella di Altavilla, che ha innestato altre preoccupazioni, specialmente tra i sindacati, che guardavano al manager tarantino come a una garanzia sul fronte della produzione in Italia. Ancora Palombella: “Altavilla era il numero due di Fca e soprattutto era un italiano, non solo: era un uomo del Sud. Era una garanzia”.

Il mondo degli analisti conferma le preoccupazioni legate al mandato affidato a Manley. Con l’eccezione di Standard&Poor’s, secondo cui rating e prospettive di Fca restano invariati perché con Manley non ci sarà “alcuna deviazione” dalla strategia annunciata il primo giugno, il coro di scetticismo è unanime. Manley come capo di Jeep e responsabile di Ram ha dato un “contributo chiave alla storia di successo di Fca nel corso degli ultimi anni, ma il mercato “rimarrà probabilmente dubbioso sul fatto che il nuovo ceo possa essere all’altezza di Marchionne”, sottolineano gli analisti di Ubs. Banca Akros: “È possibile che le speculazioni sull’M&A (le operazioni che portano alla fusione di due o più società ndr) ricomincino, ora che la leadership aziendale si è indebolita in modo così brusco”. Ancora il report di Mediobanca Securities: “Da un punto di vista operativo, crediamo che Manley sia la persona giusta per proseguire con il nuovo piano. D’altra parte, questo probabilmente non è abbastanza per gli investitori: Manley dovrà convincere il mercato di essere un ‘deal maker’ di successo poiché l’m&a rimarrà probabilmente uno dei principali driver per il prezzo delle azioni Fca”.

“Sono le persone a rendere la Ferrari speciale”, disse Marchionne per rilanciare la corsa del Cavallino rosso. Aprendo i lavori del Gec di Maranello, l’organismo operativo che riunisce i manager del gruppo, Elkann ha usato le stesse parole. Parole di continuità per provare a tenere Fca sulla rotta giusta.

Giuseppe Colombo
Business editor L’Huffington Post