LA CAPRA, di UMBERTO SABA, recensione di Elvio Bombonato

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Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

(“Casa e campagna”, 1909)

Poesia giustamente famosa, scritta nel 1909, per cui “il viso semita” (verso visivo: Saba), metafora, allude alla barbetta della capra e quindi alla diaspora plurisecolare del popolo ebraico, non alla Shoah. 

Ci sono 3 strofe diseguali, con 7 endecasillabi, 5 settenari e il quinario che le chiude. Raffinata l’assonanza della 1° quartina: apra/ata/ata/ava. I 5 enjambement rallentano i settenari, mentre le rime (1 baciata, 3 alterne) li legano agli endecasillabi. 

“Capra” è la mot-clé (4 presenze); altre parole iterate, con funzione di richiamo: “era”; ininterrotto “belato”, figura etimologica; “dolore”; “voce”; “sentiva”, imperfetto arcaico; “ogni”. 

Protagonista di nuovo, dopo “A mia moglie”, un animale impoetico, domestico, come la gallina leopardiana e quelli pascoliani, umile (“belava”), non arcadico né per l’infanzia (“Heidi”). Saba giocando – bella l’idea – le rifà il verso, ci pensa, si pente, e scopre nella capra, legata e bagnata, il dolore universale, che sollecita la solidarietà (Leopardi), il quale “ha un’unica voce”.

Incipit perentorio e sorprendente; explicit connotato dal “querelarsi” (lamentarsi) latinismo forte. “Ha una voce/Questa voce” e “In una capra solitaria/In una capra” riprese sintattiche.

La lirica è solo in apparenza ingenua e infantile, perché i dati descrittivi e realistici sono trasfigurati (Basile) in simbolo della sofferenza immanente negli uomini e nella natura.