Di Maria Luisa Pirrone

Alessandria Today ha intervistato Claudia Pessarelli, autrice del blog “Un’alessandrina in America” (https://unalessandrinainamerica.wordpress.com), con cui da qualche tempo abbiamo iniziato una di quelle belle amicizie tra bloggers, fatta di collaborazioni e arricchimenti reciproci.

Claudia vive negli Stati Uniti da oltre 20 anni. Farmacista nella sua vita italiana, si è trasferita per seguire il lavoro del marito, prima a Pittsburgh e poi a Milwaukee.

Hanno in seguito avuto una figlia, che Claudia definisce “bilingue e bi-cultura”, e lei ha iniziato ad insegnare italiano all’università, “divertendosi un mondo”.

Benvenuti nel mondo di Claudia.

D_Ciao, Claudia, e benvenuta su Alessandria Today. Non vorrei parlare troppo del tuo blog per lasciare ai lettori la curiosità di visitarlo. Il nome, Un’alessandrina in America, è già intrigante…dacci una definizione che ne condensi l’anima e le intenzioni.

R_Ciao e grazie!
Il blog è nato per caso. Non pensavo neanche di poter scrivere e trovare le parole giuste per raccontare. Non scrivevo dagli anni del liceo e anche allora lo facevo solo per i temi.

Il blog ha origine da un nucleo di articoli che avevo scritto per le “Opinioni” di Alessandria News: mi avevano chiesto di scrivere le mie impressioni di vita quotidiana dagli USA ed erano stati loro a definirmi “alessandrina in America”…da qui il titolo! Per loro ho scritto costantemente per 3 anni, e ancora collaboro saltuariamente, ma a poco a poco scrivere solo una volta la settimana di argomenti che interessassero gli alessandrini mi era cominciato a stare stretto.

Ho creato il blog proprio per riempire quegli spazi con consigli personali a chi come me abitava all’estero o ci si volesse trasferire, con un viaggio nella scuola e nel mondo dell’educazione statunitensi, con post personali ed altri irriverenti. Uno dei più letti è stato quello sulla differenza tra le mamme italiane e le mamme americane!

Insomma, ci sono mamme blogger, travel blogger, cooking blogger, political blogger: io sono un po’ di tutto. Il blog è la storia della mia vita.

D_Sotto al nome, quasi come una sorta di sottotitolo, ci sono tre parole-chiave: “…impressioni, scoperte e vita quotidiana…”

R_Aggiungo una parola: attitudine. Il segreto del vivere all’estero, e in un paese così variegato come gli USA, è abbandonare i preconcetti ed affrontare tutto con un’attitudine positiva.

Allora, si comincia a capire. Si comincia, ma non si finisce mai. Vivo negli Stati Uniti da 23 anni ma non mi considero un’esperta perché se vivessi in un’altra zona del paese sarebbe diverso. Le mie sono impressioni, mai oro colato. Si basano su ciò che conosco e che ho vissuto io. Lungi da me mettermi su un piedistallo a blaterare che quello che dico sia la verità.

Forse per questo molti mi leggono: quando sono in crisi di idee e vorrei lasciare tutto, i lettori ci tengono a ricordarmi perché scrivo, definendo il blog “una piccola casa arredata bene, pulita, solare e molto accogliente…..”.

Scoperte? Ne faccio tutti i giorni, sono parte della mia vita quotidiana. Vorrei ricordarne alcune che potranno sorprendere, nonostante ci si immagini sempre gli USA come il paese delle armi e delle sparatorie (che ci sono, purtroppo), e quindi un luogo pericoloso: la gentilezza e i sorrisi, i complimenti tra sconosciuti, il rispetto, la pulizia.

D_Chiederti cosa ti manca di più di Alessandria può suonare banale, ma forse può aiutare noi alessandrini a rivalutare aspetti della città che non vediamo più e a cui, magari, ripensiamo solo quando siamo lontani…

R_Di Alessandria mi mancano, ed è scontato, famiglia e amici. Con loro sembra che il tempo non sia passato.

Della città mi manca la sua dimensione e la possibilità, camminando, di arrivare da ogni parte.

Mi mancano il mercato della frutta di Piazza Marconi, Corso Roma e l’Esselunga, dove incontro sempre qualcuno e posso fermarmi a fare due chiacchiere. Mi mancano i bar, la cadenza degli alessandrini e il riconoscere molti visi, anche di sconosciuti, che incrocio da una vita per le strade.

E poi, certi angolini intimi e nascosti del centro: ne immagino le potenzialità, ma mi fa male il cuore vedere in che stato sono.

Mi manca avere il mare a 40 minuti di macchina, la montagna ad un’ora e tante città raggiungibili in giornata per mostre, teatri, concerti e shopping.

Insomma, perchè gli alessandrini non la amano di più?

D_In Italia ultimamente si parla solo di immigrati. Gli italiani all’estero ci piace chiamiarli expat, ma spesso ci dimentichiamo che anche loro sono immigrati per qualcun altro. Non voglio entrare nel merito della questione, ma solo riflettere sulle emozioni che si provano in quella condizione, cioè su quanto, a volte, non sia affatto semplice sentirsi straniero. Come hai vissuto tu questo passaggio? Come sei stata accolta e quali stereotipi o pregiudizi sopravvivono su di noi negli Stati Uniti?

R_Gli italiani che oggi si trasferiscono legalmente negli USA sono molto ben accetti. Nell’immaginario statunitense viviamo tutti in casali restaurati di campagna, siamo eleganti, belli e fortunati a vivere la “bella vita”.

Giocoforza, anche chi si trasferisce per lavoro riceve un ottimo trattamento a livello umano. Io non mi sono mai sentita straniera, anzi: quando sentono il mio accento e mi chiedono da dove venga, appena rispondo “Italia” tutti cominciano a elencare antenati italiani o a sognare ad occhi aperti definendola in cima alla lista dei paesi da visitare e dove vorrebbero vivere. Nessuno mi ha fatto mai sentire diversa o malvoluta, semmai il contrario!

È anche vero che ormai l’immigrazione italiana negli USA è molto selezionata: le regole sui visti sono restrittive e si può rimanere solo se si hanno requisiti difficili da trovare in un cittadino americano, o per studio, ricerca, meriti personali, investimenti, o matrimonio con un cittadino americano ( ma anche lì i controlli per evitare matrimoni fittizi sono esagerati!).

Quindi, il numero di immigrati italiani è minimo. Gli expat pagati dalle loro compagnie per vivere un periodo là, finito il contratto devono uscire dagli USA, a meno che non ottengano la carta verde. Noi siamo tra quegli expat che sono rimasti, ma ormai non siamo più expat, siamo immigrati anche noi.

Gli stereotipi “gli italiani sono sporchi, puzzano, si sposano tra di loro, vivono tutti insieme come bestie, ma costano meno degli irlandesi e lavorano più dei negri quindi vanno bene per fare i lavori che gli americani non fanno”, non ci sono più. Però, c’erano! Eccome! Ci sono volute tre generazioni di grandi lavoratori e sacrifici per cancellare quest’idea.

Non c’è neanche più il pregiudizio “italiani tutti mafiosi”, cosa che, invece, mi sono sentita dire a Parigi.

Quello che descrivi tu, adesso lo provano sulla loro pelle i messicani e gli altri centro-americani che scappano da povertà e repressione politica….gli americani, come gli italiani in Italia, si sono dimenticati di essere stati nelle stesse scarpe di chi ora arriva attraversando un deserto o il mare mediterraneo.

D_Chiudiamo con una domanda forse un po’ provocatoria: ci vuole più coraggio a lasciare l’Italia o…a rimanere?

R_Ci vuole coraggio sia a partire che a restare. Senza il coraggio di mettersi in gioco uscendo dalla propria comfort zone (il luogo dove si è a proprio agio senza grandi sforzi), si fallisce in entrambi i casi.

Ringraziamo Claudia per la disponibilità. Siamo sicuri che alcune di queste risposte ci faranno riflettere.

Continueremo a seguirci reciprocamente da lontano, noi sognando l’America, e lei, forse, sognando un po’ di Alessandria.

 

Link al blog:

https://unalessandrinainamerica.wordpress.com

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