Tap e Tav, scontro nel governo

La ministra M5s Lezzi contro Salvini che difende le grandi opere “se i benefici superano i costi”. “L’Italia aspetta investimenti su strade, ferrovie, scuole, ricerca, università, anti-dissesto idrogeologico”

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Un ispettore controlla le tubature per la Tap a Durres, in Albania

http://www.lastampa.itNICOLA LILLO ROMA

Prima è stato Alessandro Di Battista dal Messico a lanciare un messaggio per dire no a Tav e Tap. Ora è direttamente un ministro del governo, la Cinque Stelle Barbara Lezzi, a prendere posizione e a smarcarsi dalle parole del leader della Lega Matteo Salvini, favorevole alla grandi opere perché «i benefici sono superiori ai costi».  

«Caro Matteo Salvini», scrive Lezzi su Facebook. Un messaggio diretto, che approfondisce il solco tra i due partiti di maggioranza. Il tema del contendere in questo caso è il Tap, il gasdotto che dovrebbe arrivare a Melendugno, proprio nel Salento, che ha votato in massa il M5S, e da cui viene il ministro del Sud.  

Per il leader della Lega si tratta di un’opera importante, da portare a termine, «che ridurrebbe del 10% il costo dell’energia per tutti gli italiani», come Salvini ha spiegato ieri in un’intervista a La Stampa in cui si è detto favorevole alla realizzazione di Pedemontanta, Terzo Valico e appunto Tap. Per i Cinque Stelle però non è così. 

 

«Sono opere inutili. Torniamo a fare il Movimento», ha attaccato Di Battista scuotendo il suo partito. Lezzi invece è più cauta con le parole, ma il messaggio è comunque chiaro: «In Italia servono le infrastrutture ed in particolar modo ne hanno estremo bisogno il sud e le aree interne del Centro-Nord. È la carenza di questo genere di investimenti che ha provocato una perdita ulteriore di posti di lavoro al Sud di 300 mila unità durante gli anni della crisi». Per questo secondo il ministro M5S gli investimenti che l’Italia aspetta sono «strade sicure, ferrovie, scuole, ricerca, università, bonifiche, anti-dissesto idrogeologico, energia pulita». Una lista in cui non compare il gasdotto che parte dalla frontiera greco-turca, passando per la Grecia e l’Albania: un’opera che serve a completare il corridoio meridionale adriatico del gas. Un dossier internazionale su cui sono puntati gli occhi di diversi partner. 

 

Un messaggio a Conte

Il messaggio del ministro non è solo diretto a Salvini – che preferisce non replicare per evitare di alzare il tono dello scontro interno, ormai chiaro – ma anche e soprattutto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. La scorsa settimana il premier ha infatti incontrato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che spinge per realizzare l’opera in funzione anti-Russia. Una posizione che Conte, dopo il faccia a faccia alla Casa Bianca, ha finito per condividere, ribadendo nei giorni successivi in un incontro con il sindaco di Melendugno che «ci sono impegni giuridici da rispettare». E soprattutto che il gasdotto è «strategico per diversificare le fonti di approvigionamento energetico». Una presa di posizione che fa pensare che l’incontro con Trump abbia avuto il suo effetto. 

 

Un’assicurazione alla realizzazione dell’opera è arrivata anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che a metà luglio ha incontrato Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan, a cui ha assicurato che «c’è il comune impegno a portare a compimento il corridoio meridionale». 

 

I costi del no

Tra i due partiti di maggioranza è ormai netta la divisione sulle grandi opere: Tav, Tap, Terzo Valico, Pedemontana, Ilva. Ma i no hanno dei costi, che (in totale) vanno dai 25 ai 60 miliardi. 

 

In particolare rinunciare alla costruzione del Tap (cosa che sembra ormai difficile) avrebbe un costo salato: le penali sono stimate tra i 15 miliardi, secondo i calcoli del governo, e i 40, per la Socar, l’ente energetico azero. In pratica un costo maggiore a quello di una Finanziaria.