Blu ultramarino e terra di Siena bruciata, di Devadatta Sk! Valmiki

blu ultramarino bus

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La tracce di questa lettura sono: Radiohead – There, There e Radiohead – I Might Be Wrong 

Non sono riuscito a fare le cose che avevo pianificato per oggi, e siamo solo a metà giornata…

Te lo dico da una terrazza che si affaccia su di una strada trafficata. Te lo dico stringendo in mano un coltello. E una mela, che vorrei mangiare, pur sapendo che non riuscirò a farlo. Non ci riuscirò perché, secondo me, tutti i fumi che escono dalle auto si attaccheranno alla polpa del frutto, non appena lo taglierò, contaminandolo…  

Stanotte avevo deciso che andavo a dormire presto ma, a notte fonda, ero ancora in giardino a fumare e osservare il cielo. Avevo anche deciso che avrei preso un treno del mattino, perché volevo andare a Torino per vedere il mio relatore della tesi. Ma il cellulare, nottetempo, è collassato e non mi ha svegliato.

Mi sono ritrovato a camminare velocemente lungo la città, per cercare di salire sul treno successivo a quello perso. Mi sono ritrovato a piombare a terra e ad infilarmi una pietruzza nell’anulare, perché le Converse scivolano sempre sulla pioggia. Questo accadeva nella piazza antistante la stazione, la piazza del mercato. Con la coda dell’occhio ho visto più persone guardarmi preoccupate e avvicinarsi a me per tirarmi su, ma non avevo abbastanza tempo. Mi sono rialzato rapido, senza guardare in faccia nessuno, ho ricollocato le cuffie a padiglione sulla testa, da dove erano cadute a terra, e mi sono sparato di nuovo verso la stazione. Lì ho scoperto che il treno era in ritardo di venti minuti. L’appuntamento con il relatore diventava sempre più astratto. Fumavo nervoso e mi succhiavo il sangue dal dito. In treno ho cercato di combinarne una giusta, e mi sono messo a studiare, per addormentarmi pochi minuti più tardi.

Arrivato a Torino, i Radiohead cantavano There, There, e schivavo le persone che camminavano in stazione, seguendo la bella linea di basso della canzone, infilandomi fra i loro corpi e bagagli, mentre la fretta montava. I monti, le colline che circondano Torino erano di un bel blu profondo e pieno di nebbia. Mentre mi lanciavo sulla strada e attraversavo come un dannato, pensavo che, in pittura, per rappresentare quel paesaggio con gli acquerelli, quei colori perlomeno, avrei dovuto fare una mescolanza di blu ultramarino e terra di Siena bruciata. Si crea una sorta di grigio blu con un accenno di marrone, perfetto per quegli scenari dove la terra incontra il cielo, o dove il mare si infila nella roccia. Ovviamente il mio relatore se n’era già andato. 

Ho ripensato, ma è stata solo una frazione di secondi, ad un momento passato della mia vita. Ci vorrà più a scriverlo che a immaginarlo, porta pazienza. Ero a Bilbao, in erasmus, due, forse tre anni fa. Per raggiungere il campus universitario bisognava prendere dei bus appositi alla stazione dei bus, e fare mezzora di viaggio in mezzo alle colline, prima di arrivare in un luogo ameno, pieno di palazzi, studenti, aria pulita e monti tutto attorno. Ricordo una corsa che feci ai tempi, per prendere quel bus. Abitavo ad una ventina di minuti di distanza dalla stazione dei bus ed ero uscito in ritardo. Ricordo il bus passarmi davanti, gli studenti guardarmi, mentre mi saliva lo sconforto. Il bus passava ogni mezzora e ci metteva mezzora ad arrivare. Avrei perso troppo della lezione alla quale volevo andare. Avevo deciso dunque di saltare e mettermi a girare la città. Allora avevo Bleach in riproduzione sull’Ipod e, mentre prendevo la metro per andare ad esplorare il centro di Bilbao, Kurt cantava “you are in high school again” e io, forse condizionato dal momento, non riuscivo che a sentire “you’re not at school again”. Da allora, ogni volta che faccio ritardo e che qualcosa mi sfugge sotto al naso, io ho in testa quella frase.

Fatto sta che ho deciso di rifugiarmi sul tetto di una delle palazzine universitarie dove ho lezione, per stare solo. Solo adesso, qui, su questa terrazza, con la mia mela in mano, mi viene in mente che stanotte ti ho sognata. I Radiohead stanno cantando “I might be wrong”, ma io so di non sbagliarmi. Eri tu. Ero io che, nella mia testa, avevo creato te. Ovviamente non eri tu. Tu sei tanto lontana. Sei giunta verso la fine di un lungo sogno. Stavo vivendo un’avventura rocambolesca il cui unico scopo era prendere un treno. Buffo che, nella realtà, quel treno lo stavo probabilmente perdendo. Ricordo di avere chiesto ad un mio amico un passaggio in automobile ma le cose erano degenerate ed eravamo finiti in un parcheggio all’aperto a fare le comparse in un video rap, circondati da belle ragazze. Ad una certa mi ero ricordato del mio treno e avevo deciso di andarmene. Il rapper mi aveva regalato una macchinina giocattolo e io avevo iniziato a guidarla per andare in stazione. Non so bene, ma mi ero schiantato, avevo abbandonato l’auto e fatto un sacco di cose prima di arrivare alla parte dove ti avevo incontrata. Tu eri in una comitiva di studenti nella quale stavo anche io. Eri fra le mie compagne di corso. Non ti avevo vista subito, stavo parlando con una mia cara collega, mostrandole il resto che mi avevano appena dato in una piadineria. Ne ero giusto uscito, dopo avere mangiato una piadina bruciacchiata e, in cassa, come resto del mio pagamento, mi avevano dato delle monete da 3 e 4 centesimi. Non il loro valore, quanto la loro forma, mi avevano colpito. Ero uscito dalla piadineria ed ero in una piazzola in mezzo al deserto. Davanti a me, sotto una tettoia di quelle che usano i distributori di benzina, c’era un autobus e tutti voi, a terra, in cerchio, a chiacchierare all’ombra. Credo stessimo tutti andando in stazione. Io ero venuto a mostrare le monete alla mia compagna. Erano piccole, belle, sottili, di rame, a forma di stella a otto punte. La mia compagna rideva affettuosamente, stava alla mia destra. Mi sono voltato a sinistra e c’eri tu. Eri molto carina. Avevi i capelli a caschetto invece che la tua lunghezza attuale. Volevi vedere le monete e, quando te le ho sporte, le hai tirate su molto dolcemente dal palmo della mia mano. Penso ce le fossimo sfiorate. Continuavo a guardarti e avevo dimenticato il treno.