La redazione di Alessandria today, è lieta di presentare ai propri lettori il Professor Giangiacomo Amoretti, scrittore e poeta, docente universitario di letteratura e filosofia, di Silvia Cozzi
La lirica di Giangiacomo Amoretti è il frutto di uno studio approfondito della metrica. I suoi versi, sempre velati da un alone di mistero, si snodano agili e avvolgenti grazie al sapiente utilizzo dell’enjambement.
E’ inevitabile lasciarsi trascinare da uno stile coinvolgente in un’atmosfera a tratti mistica e surreale.
Lo presento ai lettori di Alessandria Today con una breve biografia e tre delle sue splendide poesie.
La sua silloge “Come un canzoniere” edita da Aracne di Roma, è acquistabile online tramite il seguente link
http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788854839700
Silvia Cozzi
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Giangiacomo Amoretti è nato ad Imperia e vive a Genova, dove ha insegnato per molti anni Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università.
Ha scritto saggi sulla storia della critica letteraria, sulla poesia romantica, sulla letteratura ligure ottocentesca e novecentesca e sulla poesia italiana più recente. Con Giorgio Bàrberi Squarotti e Giannino Balbis ha curato una Storia e antologia della letteratura italiana in sei volumi per i licei (editore Atlas).
Ha pubblicato una raccolta di poesie nel volume Tre poeti (Genova, Zaccagnino, 2004), cui hanno contribuito anche Giorgio Bàrberi Squarotti e Giannino Balbis. Successivamente ha dato alle stampe un volume di liriche: Come un canzoniere (Roma, Aracne, 2011), con il quale ha vinto il Premio Gozzano per la poesia 2015.
Nel 2006, nel 2007, nel 2008, nel 2011 e nel 2012 ha vinto il primo premio del concorso di poesia in forma chiusa organizzato dal Cenacolo studi “Michele Ginotta” nel comune di Barge in provincia di Cuneo.
Altre poesie di Giangiacomo Amoretti sono apparse in diverse riviste in cartaceo e online.
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Tre poesie
Forse guardare non è altro che
scivolare, affondare in uno specchio;
e più si guarda più ci si distanzia
dagli spazi del mondo: e il mare e il porto,
e le navi che oscillano sull’acqua,
e il sole che tramonta e la foschia
color di perla che si adagia ora
sopra i terrazzi e i tetti inargentati
di una Genova tutta ombre, non sono
che le immagini e i volti di colui
che guarda – i suoi ricordi ed i suoi sogni,
il suo passato che sbiadisce e il suo
futuro che lo segna già – il suo stesso
vivere nella pena, il suo morire.
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Si chiede cosa sia
non esser più se stesso – non sapere,
non dire, non guardare – aprire gli occhi
a un cielo senza nubi e non vedere
nulla – non esser più
né ansia né memoria
né desiderio, perché il tempo, come
lo spazio, sarà morto – e vuota la
coscienza, vuota l’anima. Si chiede
che cosa sia il morire
ad ogni cosa e a sé – e lo riprende
uno stupore altissimo, quasi una pena: di
essere e di non essere – di essere se stesso
e di sé, più in profondo, il non essere – il nulla.
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Colui che guarda sa che nulla muove
dal cerchio al centro, dalle nubi stese
tra cielo e mare lungo l’orizzonte
ai lidi chiari quando è l’alba; nulla
che scenda, nulla che risalga – l’attimo
che si chiude su sé come una sfera
di luce e trasparenza – e non un refolo
di vento che la incrini o un velo appena
d’ombra a oscurarla. Sa, colui che guarda,
che il tempo illude e che al domani l’oggi
è identico da sempre. Adesso è mai.
Solo – dall’alto – il volo a precipizio
dell’astore celeste, il guizzo fermo
del lampo nel meriggio.