24 nov

di fabrizio centofanti

Sei venuto a suonare come niente fosse, mentre stavo recitando le Lodi. Mi hanno bruciato, hai detto. Era il ventiquattro novembre del millenovecentonovantasei.
La vita è fatta di contrasti. Le nostre cene alla Nuova Capricciosa, i colloqui interminabili all’EUR, le vacanze nella tua Sicilia, erano angoli di paradiso dove appresi ad amare una vita che mi aveva ferito dal giorno della nascita: pericolo di morte, medici agitati che facevano di tutto per salvarmi, ma che io consideravo estranei, ostili, perché mi avevano strappato alle braccia di mia madre; la lunga teoria della falsa identità, circoscritta in un corpo piacevole e una parola facile, sempre persuasiva, il demonio che godeva delle mie trasgressioni da bohemien.
A un tratto, sei comparso tu: mi bastava vederti accendere la Marlboro, ascoltare e parlare con la voce bassa, pacifica, per uscire dal labirinto di paure che mi tenevano in scacco.
Poi, di nuovo, la diffidenza, i tradimenti, l’altalena di odio e amore, di grazia e di peccato.
Quel ventiquattro novembre, prima della messa di Cristo Re, sembrava tutto perduto, tra rimorsi e speranze spazzate via da una tanica di benzina e un fiammifero lanciato a taglio.
E invece, da quella mattina, da quell’ora, Cristo cominciò a regnare, fino a prendere il posto del Nemico.

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