Fernando-Pessoa

di Elvio Bonbonato. Alessandria

FERNANDO PESSOA

AUTOPSICOGRAFIA

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore. (1° aprile 1932)

” Una sola moltitudine”, Adelphi, trad. A. Tabucchi

O poeta é un fingidor.
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.
E os que lêem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Não as duas que ele teve,
Mas só a que eles não têm.
E assim nas calhas de roda
Gira, a entreter a razão,
Esse comboio de corda
Que se chama coração.

E’ la più celebre lirica di Pessoa. Il tema è la finzione nelle poesie (e nelle canzoni). Pessoa afferma che sempre il poeta finge che sia vero ciò che ha scritto: emozioni sentimenti affetti sensazioni, se poeta lirico; concetti riflessioni giudizi se poeta concettuale. Entrambe le cose se si chiama Cavalcanti, Dante, Leopardi, Montale. Con la scrittura il poeta riesce a estraniare da sé il proprio dolore, a staccarlo; separandolo lo contempla.

Il lettore partecipe prova non il proprio dolore, ma questo che è stato cosalizzato (tenicismo marxiano di Lukàcs: la reificazione/ alienazione propria dell’operaio alla catena di montaggio, diventato un pezzo della macchina: vedi un capolavoro di Chaplin “Tempi moderni”).

Si tratta di capire se il trovare un dolore altrui serva a calmare o ad accrescere il proprio. Per Pessoa scriverlo, mettendolo fuori da sé, significa raddoppiarlo o sminuirlo? Imperdibile la metafora finale del trenino giocattolo, che gira in tondo, arrivando sempre dove è partito, mentre la ragione si illude.

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