Tuscia

Dopo una giornata a camminare nei boschi
tra gli alberi rossi del colore dell’autunno,
tra ruderi etruschi e degli antichi romani
al tramonto mi siedo sfinito
al tavolo al centro di uno spiazzo
davanti a una taverna con gli ulivi intorno
e accanto un campo infestato dai gialli fiorellini d’artemisia
e campanule viola d’atropa bella donna.
Una vecchia con il volto crettato di pietà e dagli anni
con un grembiule bianco legato ai fianchi
versa lentamente un vino
che sobbolle nei tozzi bicchieri da osteria.
Piego il capo sulle mani socchiudo gli occhi attendo che s’acquieti
il suo profumo corposo.

La giovinezza è ancora mio appannaggio?
E lo struggente patimento d’amare la vita
sotto questo carico di anni e d’impalpabili macerie?

Il profumo del vino mi penetra nel sangue
allontana ogni opacità e timore.

Guardo le mani della vecchia ne seguo ogni suo gesto
le chiedo quale sorte
l’abbia condotta nei boschi della Tuscia.
Nessuna nostalgia per la terra abbandonata.
La mia casa – risponde – è ovunque ci sia
uva da vendemmiare, erba selvaggia da cogliere
e un uomo da amare. E mentre parla sorride
d’un sorriso triste pieno di ricordi, alcuni neri
come rondoni senza nido.

Porto alle labbra il bicchiere, gusto il caldo
e aspro sapore del vino che mi solleva
da ogni rimpianto. E penso che in basso mi attende
la mia auto lucida e rossa e l’abitacolo che profuma
delle donne che ho amato del calore dei loro corpi
come tana d’amore .
Per un attimo penso che persino la morte
non riuscirà mai a intaccare il calore del loro profumo.
La vecchia mi guarda dritto negli occhi e senza esitazione
toglie via il bicchiere vuoto