Al di là degli oceani, di Cecilia Minisci

Al di là degli oceani

E non capimmo di noi cosa sarebbe stato
per quei viaggi pieni di speranza,
sembrò come spiccare un volo in libertà.
Nessuno ci indicò che trucco c’era
dietro alle parole udite e a quelle scienze
che insegnavano tante verità, cadute poi
in un pozzo di menzogne e addosso ci piombò
l’infima sorte e la dolente beffa della vita!
E rimanemmo poi soli e divisi, figli strappati
alla loro madre terra e senza più radici.
Non fummo più capaci di tornare
alle protese braccia
di chi ci aveva con amore generati,
e fummo condannati a misurare il tempo,
a contare gli anni che ci fecero invecchiare,
dimenticando i nostri costumi ormai lontani
senza che altri ci fossero in parte familiari.
Uccelli migratori senza più ritorno,
rimanemmo per secoli di storia separati
da grandi deserti di oceani d’onde scure,
fra origini dimenticate in quelle vaste terre,
lontane e ferite al petto anche di giorno
dal freddo dell’inverno e dell’indifferenza:


oh, quanto straniere e per sempre sconosciute!
Ma amammo ogni tratto piccolo di strada
dove il nostro cammino si perdeva,
voltato l’angolo dell’ultimo isolato
fra i fumi di grandi città cosmopolite;
e amammo pure quegli oggetti usati,
toccati e posseduti con benevolenza,
dove l’anima dentro resta, e ancora vive il tempo.
E un giorno forse Cristo venne a consolarci,
poggiandoci la mano sulla fronte
per calmare ogni nostra sofferenza
e ad annullare tutte le distanze.
E guardammo con più saggezza il tempo,
ci accorgemmo che non era mai passato,
ma era solo un testimone fermo in ogni punto
che da sempre silenzioso se ne sta a guardare
tutto ciò che accade e tutto ciò che passa.