Intervista al poeta e scrittore Marcello Comitini

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di Pier Carlo Lava

Alessandria today è lieta di presentare in esclusiva per il blog un intervista tutta da leggere, al poeta e scrittore Marcello Comitini, che ringraziano per la sua cortese disponibilità

Marcello ciao e benvenuto su Alessandria today. È veramente un piacere ospitarti. Ci vuoi raccontare chi sei, cosa fai nella vita oltre a scrivere e qualcosa della città dove vivi?

Grazie del benvenuto, Pier Carlo. Sono io che ti ringrazio di questa ospitalità che mi permette di far conoscere anche ai vostri numerosissimi lettori quali realtà si muovono nella mente di chi scrive poesie per mestiere, il mestiere che ha sempre desiderato in cuor suo, anche se, come tutti i lavori o mestieri, richiede fatica. 

Non so cosa faccio nella vita, come non so cosa faccio io della mia vita perché non sono mai stato in grado di coniugare ciò che avrei voluto essere e ciò che sono stato costretto a fare. Ho svolto diversi lavori ma non l’insegnamento che era il solo che avrei voluto svolgere.

Sino al mio ventinovesimo anno di età il posto di insegnante mi ha tenuto in una condizione di precarietà. Le situazione economica della mia famiglia non poteva consentirmi quell’incertezza. Così sono stato costretto a dirottare su altri lavori che hanno assicurato a me, ma soprattutto alla mia famiglia, la sicurezza economica. In cambio il lavoro ha preteso che io mi allontanassi dalla mia città natale (Catania), dalla famiglia e dalla poesia. Una condizione dolorosa che mi ha spinto a sentirmi estraneo in qualunque città abbia lavorato e affetto da bipolarismo contrastante con processi ideativi che occupavano il mio intimo e quelli che dovevo mettere in atto per svolgere il mio lavoro.

Per trent’anni ho vagato per tutta Italia, con una permanenza di tre anni ad ogni tappa, ivi inclusa una a Montecarlo. Infine ho deciso di smettere di lavorare. Mi sono stabilito a Roma, dove già si era trasferita la mia famiglia (nella speranza di avermi vicino) e ho iniziato il mestiere del poeta.

La città dove vivo dunque è Roma, ma nel mio cuore vivo ancora a Catania, dove ho dovuto abbandonare tutto il mio vissuto, le mie tradizioni, le mie passioni, i miei amori.

Dovrei essere felice di vivere in una città bellissima come Roma. E lo sarei se la sua vastità, il suo traffico, le difficoltà che si incontrano per superare una qualsiasi distanza non la rendessero faticosa e non spingessero ciascuno nel guscio delle mura del proprio quartiere. La Roma che tutto il mondo conosce è la città dei turisti.

Quando hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Non sono mai riuscito a focalizzare il quando abbia iniziato a scrivere. So per certo che ho iniziato ascoltando tutte le opere dei poeti della classicità italiana che mio padre leggeva a voce alta.

Lo ascoltavo mentre declamava le gesta cantate da Ariosto e da Tasso, il patriottismo di Carducci, gli amori di Petrarca e di Dante, le malinconie di Gozzano, la sofferenza di Leopardi  – che mi tornava in mente in quei pomeriggi tristi, quando ragazzino rannicchiato in un angolo, mi abbracciavo al mio gatto e gli confidavo i miei smarrimenti e il mio senso di solitudine. Mi commuoveva la sua pazienza che non lo faceva fuggire infastidito dai miei abbracci.

Fra questi autori cercavo, come tutti i ragazzini, il mio eroe da imitare (tra i candidati non c’era mio padre a causa del suo carattere e della sua età avanzata). Scelsi Leopardi perché mi sembrava il meno “antico” e il più vicino alla mia sensibilità.

Ma quando cominciai a vagheggiare d’amore per le mie coetanee, allora iniziai mentalmente ad attingere al Canzoniere del Petrarca, attratto soprattutto da quel gioco di parole che il Poeta creava con il nome dell’amata Laura. Credevo che il gioco di parole potesse affascinare la ragazzina di turno.

Fu allora che cominciai a scrivere? Non lo so. L’esito dei miei amori era tale che accartocciavo e buttavo via tutto quel che avevo scritto. Pensai che i miei insuccessi fossero colpa del Petrarca. Iniziai a frugare nella biblioteca di mio padre in cerca di un suggeritore più scaltro e fui attratto dalle strisce rosse e nere che caratterizzavano l’edizione del 1946 dell’Alcyone di d’Annunzio. Il suo lessico mi apparve affascinante ma aveva una carica emotiva e un senso dell’eroico molto distante dal mio carattere. Ripiegai su Leopardi. E col suo aiuto buttavo giù versi che inesorabilmente accartocciavo.

Se è vero che “scripta manent et verba volant” i miei scritti di allora volarono tutti via. Sarà per questo che nutro il dubbio sulla data di inizio del mio scrivere? 

Ci sono ore che prediligi nella giornata per scrivere, oppure no e cosa provi quando scrivi?

Scrivo quando pensiero, sentimento e parola fanno ressa nel mio cervello. Seguendo il suggerimento del poeta Philippe Soupault di tenere un taccuino sul comodino, porto con me sempre il moleskine che i miei amici mi regalano a ogni compleanno. Scrivo per acquietare l’esuberanza di quella ressa, pur sapendo che ben poco di ciò che annoto arriverà, senza rimaneggiamenti, ad assumere le sembianze interne ed esterne della poesia. 

Quelle che superano l’esame a cui le sottopongo, le ricopio al computer in un unico file di word dal titolo “Senza Titolo” e butto via il Moleskine ormai colmo. Anche quelle trascritte sul file non smettono mai di essere bozze. Come non smettono mai di esserlo quelle raccolte in volume e pubblicate.

Dovrei dire che quando scrivo dimentico il mondo, che sono trascinato dalla mia ispirazione, che sono invaso dall’amore, che sono soffocato da quella ressa a cui accennavo prima. Eppure non riesco mai a dimenticare il mondo in cui vivo. Fa parte del mio pensiero dei miei sentimenti e le mie parole vanno a lui e a coloro che stanno ai suoi margini. Come posso dimenticarlo?

Dunque scrivo, cancello, riscrivo e mi sento poco soddisfatto del risultato raggiunto. Mi sento anch’io ai margini del mondo.

Ci vuoi parlare dei libri che hai pubblicato?

Ho pubblicato cinque libri di poesie e tre di traduzioni.

In quelli di poesia c’è il mio tentativo di raggiungere, all’interno di ciascuno di essi, quell’unità che caratterizza la struttura del Canzoniere.

In realtà vado prendendo sempre più coscienza che il Canzoniere non si compone spostando qua e là i componimenti nell’intento di creare un fil rouge tematico che lega fra loro le poesie. L’unità sta dentro chi scrive ed è un’unità di coerenza morale ed estetica tra il vissuto e quel che si esprime in poesia. Questa frase potrebbe richiamare l’idea di note dannunziane nelle mie poesie, ma in me manca, come minimo, il concetto di “eroe” che si è riflesso sulla vita e sull’arte di d’Annunzio.

Il primo volume che s’intitola “Un ubriaco è morto“, edito nel 1974, è quello che può essere definito l’opera giovanile in cui, proprio per quel tentativo di comporre un canzoniere, i componimenti sono suddivisi in sezioni sulla base del medesimo motivo ispiratore. In esso ho inteso ordinare le poesie in modo da creare un flusso che partendo dal mio intimo conduca alla visione del mondo lungo un cammino costane di apertura all’altro, attraversando sentimenti di amore, di delusione, di rabbia sociale e di pietà.

Il secondo volume dal titolo “Formule dell’anima” non ha alcun criterio di collegamento tra una poesia e l’altra se non quello cronologico, anche se non rispettato rigorosamente . Edito dopo 35 anni dal primo è il segnale di un uomo che è già stato abbondantemente indottrinato dalla vita su ciò che accade e su quanto di atroce ci si può aspettare.

Ha imparato che in poesia la rabbia va messa da parte e tuttavia non riesce ad accettare la realtà che gli sta d’intorno, cerca di stigmatizzarla in versi che rimpiangono, con profondo dolore, l’amore perduto, le delusioni cocenti, la pietà verso un mondo che non riesce a rispettare il diverso e il debole a qualunque sesso e razza appartenga.

Tralascio la descrizione degli altri libri per non trattare la tua pazienza , caro Pier Carlo, come ho trattato quella del mio gatto quand’ero ragazzino. Mi permetto solo ricordare la mia ultima pubblicazione “Quarto giorno” che nel titolo allude al giorno in cui Dante, varcata le soglie del Purgatorio, descrive le condizioni del cammino, che lo condurrà a visitare quei luoghi. : “Noi salivam per una pietra fessa / Che si moveva d’una e d’altra parte / Sì come l’onda che fugge e s’appressa“.

I versi di questo mio ultimo volume, mettono in luce, senza più alcuna ombra di rabbia, la precarietà del terreno che siamo costretti a calpestare per tutta la vita. La versificazione si è addolcita anche nella cadenza del verso e la suddivisione delle poesie è intesa a sottolineare proprio l’idea che il canzoniere si compone principalmente con la coerenza interiore dell’autore, delle sue convinzioni, dei sentimenti e delle sue azioni. 

Il primo libro è come il primo amore non si scorda mai, ci puoi raccontare quali difficoltà hai incontrato per pubblicarlo e quale è stato il tuo primo pensiero dopo averlo pubblicato?

È vero quel che dici: il primo libro non si scorda mai come non si scordano mai tutte le ingenuità che accompagnano il primo amore e lo espongono a cedere alla violenza di tutto ciò che intorno è pronto a ferire a morte il sentimento ingenuo che nutre quell’amore.

Pubblicare un libro non è difficile: ci sono tanti editori pronti a pubblicare. La vera difficoltà sta nel promuovere il libro pubblicato. Ed è questo ciò che rimprovero agli editori: pubblicano un libro di poesie come se fosse una cortesia che l’editore fa all’autore. E dopo averlo stampato? Tocca all’autore e solo all’autore promuovere la propria opera come se  avesse le capacità del venditore o peggio, del piazzista.

È quello che è accaduto a me con la pubblicazione del primo libro “Un ubriaco è morto”. Avevo ventinove anni. Era l’ultimo anno in cui insegnavo e facevo il pendolare tra la mia città e il paese in cui andavo ad insegnare. Ogni giorno prendevo il treno delle tredici colmo di ragazzi che dall’università tornavano in provincia. Ogni giorno, con la borsa zeppa di copie del libro, percorrevo il treno in cerca di acquirenti. Erano ragazzi qualche anno più giovani di me e sono stati loro a tributarmi i primi riconoscimenti. Era una gioia incontrarli e vederli che mi sorridevano e mi facevano i complimenti. Avevo imposto un prezzo che, anche a vendere tutte le copie, non avrebbe mai ricoperto quanto l’Editore mi aveva chiesto per stamparlo. I ragazzi lo compravano agevolati dal prezzo che andava incontro alle loro possibilità economiche

Ci vuoi parlare delle tue traduzioni di diversi autori di lingua francese?

Fra i libri pubblicati di cui non ho parlato c’è anche la traduzione del canzoniere di Baudelaire “I fiori del male”. Tra abbandoni e riprese ho impiegato quasi trent’anni per tradurlo. È stato lui ad aiutarmi a alleviare le sofferenze del mio bipolarismo, permettendomi di rimanere legato al mio sogno di scrivere versi. 

Nel 1977, subito dopo aver abbandonato l’insegnamento ho iniziato a tradurre il testo del pensatore rivoluzionario francese di fine ‘800 Fernand Pelloutier dal titolo “Arte e rivolta” poi inserito nel volume “Lo sciopero generale e l’organizzazione del proletariato” opera dello stesso Pelloutier, pubblicato a cura di Enzo Sciacca e adottato dalla facoltà di Economia e Scienze Politiche dell’Università di Catania. 

Al termine di quella traduzione ho tradotto e pubblicato nel 1978 il volume “Le Panique ” che rappresenta il manifesto del Movimento Panico di Arrabal, Jodorowsky e Topor. Un libro ricco di ironia, di humour e di immagini poetiche con testi e disegni di diversi autori “panici”. Ma non erano versi quelli che traducevo.

Sentivo dentro me un vuoto che mi procurava un senso di disagio incolmabile. Cercavo rimedio leggendo poesie di autori italiani senza riuscire a goderli appieno perché gli impegni del lavoro reclamavano la mia attenzione. Così decisi che l’unico modo per costringere la mia mente a distogliersi da quei pensieri sarebbe stato quello di impegnarmi nella traduzione di poesia.

Baudelaire era un autore che amavo e che avevo letto già in diverse traduzioni tutte purtroppo dal tono barocco e superato. Solo Raboni era riuscito a svincolare Baudelaire dagli orpelli con cui i traduttori appesantivano i suoi versi. La sua seppur bella versione mi sembrava eccessivamente buonista e non adatta alla crudezza e all’amarezza con cui Baudelaire aveva affrontato e subìto la vita. Così ho deciso di tradurre I Fiori con un linguaggio fedele all’animo del Poeta e di corredare la traduzione con uno studio sul testo originale del 1857, cioè antecedente  alle varianti apportate da Baudelaire a seguito della condanna subita per offesa alla morale.

Le traduzioni degli altri autori francesi quali  – per la poesia –  Jean Mambrino “La penombra dell’oro”, Guy Goffette “Il pescatore d’acqua”, Pascal Hermouet “Linee di fuga” e – per la prosa – Philippe Delerm “ Il volo”, sono traduzioni di molto successive a quella de I Fiori, e sono iniziate negli anni in cui ho vissuto a Montecarlo e che porto avanti per la mia passione verso questa lingua che non ammette sbavature né imprecisioni e che molto insegna sulla proprietà di linguaggio per esprimere un’idea o immagine che sia.

Leggendo la tua biografia sembra che tu non abbia mai ottenuto riconoscimenti nei concorsi di poesia

I concorsi appartengono a un mondo che non mi interessa, anche se vi ho partecipato classificandomi primo in uno e con menzioni d’onore in altri due o tre.

Di solito mi astengo dal partecipare.

Quando l’ho fatto è dipeso solo dall’aver ceduto a quel senso di vanagloria che serpeggia più o meno silenziosamente in tutti.

Solitamente quali canali usi per pubblicizzare i tuoi libri e perché?

Per rispondere a questa domanda ricorro ancora una volta a quanto è dichiarato nella mia biografia circa l’assenza in me della “logica dell’apparire né quella del vendere”. Per me conta soltanto la gioia che altri condividano il mio lavoro.

Proprio per permettere questa condivisione, “pubblicizzo” ogni mia poesia sui diversi social che frequento (Facebook, Instagram, WordPress) oltre che nel mio sito www.terracolorata.com.

I libri che stampo sono più per me che per gli altri. Giovano ad aiutarmi a mettere un punto fermo al passato, a lasciar cadere abitudini interiori , a permettermi di dare inizio a un’epoca nuova .

Ed è questo il motivo per cui stampo avvalendomi delle prestazioni offerte dal sito della Feltrinelli che mi consente di stampare anche una sola copia.

Cosa consiglieresti ad un giovane o ad una giovane che iniziano a scrivere?

Oggi si è soliti rispondere con parole colme d’incoraggiamento a scrivere come se svolgere questa attività fosse le panacea di tutti i mali che affliggono l’individuo o come se fosse facile entrare nel mondo della pubblicazione. Io non ho alcuna intenzione di condividere questo pensiero e non esorterò mai nessuno – vecchio o giovane uomo o donna – a prendere la penna in mano senza essermi prima assicurato che abbia preso in mano i libri dei migliori autori, li abbia letti, vi abbia riflettuto a fondo e li abbia trasformati in proprio patrimonio culturale. E poi abbia iniziato a scrivere.

Non ha senso incoraggiare i giovani a farlo, spesso avallando la loro ignoranza per farne così degli illusi prima e degli infelici dopo.

Secondo te cosa pensa la gente dei poeti e degli scrittori?

Quello che pensa la gente dei poeti e degli scrittori lo dice l’editoria e le librerie che rispettivamente producono e mettono in mostra libri scritti, o forse è meglio dire confezionati, per essere letti e buttati via.

Poiché la poesia per sua natura non può prestarsi a questo gioco di usa e getta, editori e librai non curano la sua diffusione se non in modo molto marginale.

La gente peraltro pensa che i libri di poesia non sono frutto del lavoro del Poeta ma sono lo sfogo personale di un infelice o, nel peggiore dei casi  sono un modo per l’autore di passare piacevolmente il proprio tempo dilettandosi nella composizione di versi. Del resto da sempre il poeta, per suscitare interesse nei contemporanei, deve essere in grado di far divertire. Deve, come dice lo stesso Baudelaire

come un ragazzo del coro scuotere l’incensiere,

cantare quei Te Deum ai quali non credi,

o, saltimbanco a digiuno, mostrare le tue attrattive

e il tuo riso, bagnato da un pianto che non si vede,

per far esplodere il volgo con crasse risate.

Solo allora l’editore prima e qualche lettore poi verserà il proprio obolo nella ciotola del poeta.

Qual è la tua opinione sulla politica italiana relativamente alla cultura in generale?

Se per cultura si intende la formazione della persona che vada oltre l’accumulo di nozioni, cioè una cultura che miri a tradursi in elaborazione personale con conseguente formazione di una personalità consapevole del proprio ruolo e critica di fronte agli stereotipi che gli impone la società, devo purtroppo concludere che la politica (credo non solo italiana– visti i tempi che corrono) ignori, per non dire che ostacola, la creazione di una vera cultura. Gli attuali modelli politici, privi essi stessi di quella cultura critica che si interroga e cerca orizzonti di senso, non fa che acuire tutte le contraddizioni tra struttura sociale e vita delle persone cercando di nasconderle dietro una cortina di paura e di odio nazionalistico. 

Stai già scrivendo il tuo prossimo libro e nel caso ce ne vuoi parlare?

Potrei rispondere a questa domanda soltanto con un frase del tipo “il mio libro lo scrivo ogni giorno vivendo, perché la poesia è come la vita che viene alla luce tentandola e non prospettandola”.

Tutti scriviamo il proprio libro vivendo. Però nessuno ha la spudoratezza di parlarne: è una scrittura sofferta che scaturisce dal proprio intimo. E soltanto quando vengono a cadere certe abitudini interiori e qualcosa di quella vita viene a mancare, allora è possibile narrarla, fissare sulla pagina, cogliendoli dal proprio brogliaccio interiore, i termini di quanto vissuto. Solo allora è possibile parlare del libro.

In fondo la vita, da cui prende spunto ciò che si scrive non è quella, come dice Gabriel Garcia Márquez, che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda.

Progetti per il futuro e sogni nel cassetto?

Progetti e sogni secondo me coincidono. Per certi sogni c’è però il problema insormontabile che io sogno il premio Nobel ma non sono io che ne progetto la realizzazione. Qui mi si permetta d’inserire un emoticon faccina-sorridente per sottolineare questa battuta spiritosa.

Prima di salutarci potresti dirmi come sei diventato follower di Alessandria today?

Metto in vetrina ciò che scrivo ma non sono abituato a chiedere ad altri di mettere in vetrina i miei versi. Tu lo hai fatto spontaneamente e io ne sono stato molto favorevolmente colpito.

Ho visto inoltre in che misura il tuo sito sia capace di ospitare le più diverse opinioni, dalla politica allo spettacolo, dalla scienza all’arte. Ritengo che questo sia dovere ontologico e professionale di un qualsiasi mezzo di diffusione che si possa definire serio e valido strumento d’informazione. Fatte queste considerazioni, è stato naturale iscrivermi per diventare follower del tuo bolg e seguire i numerosi e variegati articoli che pubblichi.

Grazie caro Marcello e complimenti per l’intervista, lasciatelo dire a chi ne negli anni ha fatte tante… Pier Carlo