pi

di Pasquale De Falco 

La guerra di Piero (anno 1966) è uno dei più celebri brani di Fabrizio De Andrè, un cult non solo nella sua discografia, ma nell’intero panorama musicale italiano.

L’autore canta non di una guerra in particolare, ma della guerra in sé, attraverso le voci del narratore prima, e dello stesso protagonista poi.

La guerra di Piero è dunque una vicenda metastorica e quando il giovanissimo De Andrè racconta di Piero, si riferisce più in generale a tutti i soldati morti, sotto qualsiasi bandiera e in ogni tempo, per una causa che non li riguardava, per volere di altri.

L’umanità di Piero accompagna l’intero svolgersi della storia, e ne diventa anzi l’argomento principale, spingendo in secondo piano i più truci fatti bellicose. Le sue emozioni, i suoi pensieri e le sue paure, sono i veri protagonisti. Il momento della morte non viene raccontato con macabre immagini sanguinolenti, bensì attraverso i suoi ultimi pensieri, dedicati a Ninetta, la sua compagna, assegnando all’amore il primato sulla morte.

La Guerra di Piero non può assolutamente essere considerata una canzone dai contenuti politici, perchè l’empatia di Faber per le “vittime della società”, nella fattispecie i soldati mandati alla morte, è un’emozione che supera qualsiasi contesto, storico o, appunto, politico.

La tematica della guerra non deve dunque ingannare, La guerra di Piero, al pari delle altre, è una canzone perfettamente in sintonia con la poetica del cantautore, sempre rivolta al più debole di turno.

La guerra di Piero

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

“Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati,
non piu’ i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente”

Cosi’ dicevi ed era d’inverno
e come gli altri, verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di “java”
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera

E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra, a coprire il suo sangue.

“E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avra’ per morire,
ma il tempo a me restera’ per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore”.

E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede, ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia.

Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono di ogni peccato.

Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.

“Ninetta mia crepare di Maggio
ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella, dritto all’inferno,
avrei preferito andarci in inverno”.

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro le mani stringevi il fucile,
dentro la bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa, non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.