Di Maria Luisa Pirrone

Ho trascorso la domenica a Genova.

Genova è, per noi alessandrini, come una sorella maggiore.

Vicina, simile, severa.

Integra, forte e fragile.

Proprio come una sorella maggiore, ci fa giocare con il mare e con il sole quando abbiamo bisogno di scaldare le nostre ossa umide, e con i colori e con i profumi quando i nostri sensi assonnati vogliono ribellarsi dopo il lungo inverno.

Proprio come una sorella maggiore, la guardiamo cadere e rialzarsi con tutta la tenerezza di cui siamo capaci. Piange in un’altra stanza, Genova, attenta a non farsi sentire.

Lei non ci insegna nulla, non è Milano né Torino. Lei ci ripara, ogni tanto ci sorride, e ha lasciato un po’ di se stessa nei nostri sguardi, nelle nostre case, nei nostri suoni per ricordarci che c’è, per farci compagnia quando la nebbia cade sulle nostre valli e su queste pianure. A un’ora di strada lei sarà sempre là, quando ne sentiamo il bisogno. Così, senza insegnarci nulla. Solo per farci giocare, ogni tanto, senza prenderci troppo sul serio.

Domenica l’ho voluta fotografare d’istinto, nelle strade battute dai turisti, nei carruggi ombrosi e solitari, a pochi passi dalla folla, ma ai confini di un’altra umanità.

Molti scrittori e artisti ci sono nati o l’hanno visitata e ne hanno scritto, e per ognuna delle mie foto ho voluto cercare un’eco nella storia e nel tempo, la voce e l’emozione di qualcuno, molto più grande di me, che abbia provato le mie stesse sensazioni.


Non aveva mai visto Genova prima di allora. […] Sceso sulla riva, si ritrovò all’improvviso nelle buie viuzze lastricate, strette e meravigliose, con in alto un’esile striscia di cielo azzurro. Lo colpì questa vicinanza tra le case, alte, enormi, l’assenza del rumore delle carrozze, le piccole piazzette triangolari e tra di loro, simili a stretti corridoi, le linee sinuose delle vie

Nikolaj V. Gogol’

Gli occhi, da lassù, vorrebbero penetrare la minuta vita dei vicoli scuri […] viscere péste e bianche teste quasi nello stesso corpo […] rupi abitative cresciute una sull’altra, quasi un’illusione ottica o una vertigine o una minaccia le file di finestre, senza balconi e appigli, che s’affacciano sul sottostante vuoto…

Eugenio De Signoribus

Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia, fresche e maleodoranti, di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra a quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante. Con tutto questo, le note di un organetto, un mestiere pittoresco. Attorno bambini che ballano. Il teatro nella realtà.

Paul Klee

C’è qualcosa di diverso qui da altri luoghi, cosa sarà mai? Forse “lo spiro salino che straripa dai moli”? Ti viene in mente questo verso perché lo “spiro salino” è sicuramente il maestrale o un vento simile: libeccio, mistral, scirocco, comunque un vento del Mediterraneo, e dunque siamo in un paese del Sud, e nei paesi del Sud, con questi venti, ci sono anche i panni alla finestra, lenzuola che schioccano al vento come bandiere. Venti nostri, panni nostri.

Antonio Tabucchi

Carruggi. Moltitudini di bambini giocano attorno a povere donne seminude che si vendono sulla soglia delle loro camere aperte. […] Si cammina nella vita complicata di questi profondi sentieri come si entrerebbe nel mare, nel fondo nero di un oceano bizzarramente popolato. Sensazioni da racconti arabi. Odori concentrati, odori ghiacciati, droghe, formaggi, caffè abbrustoliti… Rapidi passanti sulle lastre segnate dallo scalpello.

Paul Valéry

Genova è la più tortuosa e incoerente delle città […] nelle vie strette e senza sole, la gente si muove di un moto perpetuo, andando e venendo, oppure fermandosi sugli ingressi cavernosi o sulla soglia dei negozi bui e affollati, parlando, ridendo, chiacchierando, lamentandosi, vivendo la propria vita in quel modo fatto di conversazione che è tipicamente italiano.

Henry James

Qui nacque il pensiero dei rudi signori che si battevano o commerciavano sui mari e che poi, col denaro delle loro conquiste o del commercio, costruivano gli straordinari palazzi di marmo che ancora oggi fiancheggiano le strade principali.
Quando si entra in queste magnifiche residenze signorili, che i discendenti dei grandi cittadini della più fiera delle repubbliche hanno dipinto di colori chiassosi, quando se ne paragona lo stile, i cortili, i giardini, i portici, le gallerie, le superbe decorazioni con l’opulenta barbarie delle belle dimore della Parigi moderna, appartenenti a milionari capaci di incassare soldi ma non di concepire e realizzare una cosa nuova e bella, si comprende che nella nostra società democratizzata, composta da ricchi finanzieri senza gusto e da parvenu privi di tradizioni la distinzione data dall’intelligenza, il senso della bellezza delle forme, quello della perfezione nelle proporzioni e nelle linee sono scomparsi.

Guy de Maupassant

Sono partito da Sottoripa, punto cardinale di una città che serba intatto il suo mistero. Che forse la farebbe pensare avara, perché è guardinga, non si concede, non si fida. Ma chi la pensa avara non ha capito la sua generosità: è città medaglia d’oro della Resistenza. Genova si concede quando è necessario.

Antonio Tabucchi

-Piazza Don Andrea Gallo-

Genova per me è come una madre. È dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto. Oggi a me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, le graziose di via del Campo. I fiori che sbocciano dal letame.

Fabrizio De André

A Genova m’arricchii di un nuovo grande amore. Era il primo pomeriggio d’una giornata limpida e ventosa. Con le braccia appoggiate a un parapetto in muratura, e la città policroma alle mie spalle, ammiravo l’ampia distesa turchina gonfia di vita. Il mare! L’eterno, immutabile mare mi si precipitava incontro con voce cupa e misteriosa e con un desiderio incompreso e io sentii che una parte di me si legava indissolubilmente per la vita e per la morte all’acqua azzurra e schiumeggiante.

Hermann Hesse

Mi piace pensare che in una vita precedente non fossi un’aggraziata fanciulla che saliva sulle navi per ammazzare la noia di un’esistenza borghese, ma un avanzo di galera che ne cavalcava le prue seviziando la banalità con il suo atto ribelle da pirata.

Io…