Dopo la biografia dello scrittore David Cintolesi, che trovate pubblicata a questo link
https://alessandria.today/2018/12/22/david-cintolesi-scrittore-fiorentino-si-presenta-ai-lettori-di-alessandria-today/

Alessandria today ha il piacere di pubblicarne l’intervista.

Benvenuto, David!

Sono felice d’avere l’occasione di intervistarti e in particolare di presentarti ai lettori di Alessandria today. Loro e io avremo così la possibilità di conoscerti meglio e di conoscere meglio la tua attività letteraria.


David Cintolesi

Ho notato che pubblichi racconti su diverse piattaforme online. Il tuo primo libro però è del novembre del 2018. Hai iniziato a scrivere da giovanissimo? E com’è nata l’esigenza di narrare?

In realtà non nasco scrittore. O meglio… scrittore di narrativa. Mi sono reso conto di nutrire una passione smodata per la scrittura dai classici temi a scuola. Fosse stato per me non avrei fatto altro.
Era l’unica via per far uscire i mostri che avevo dentro ma, la mia prima passione è stata la musica che, ha influenzato profondamente il mio modo di pensare, di approcciarmi alla vita e di vedere le cose. Sin da piccolo ne ho ascoltata tantissima, di tutti i generi, il mio idolo era Elvis. Mi mettevo le cuffie e imitavo le sue movenze. Volevo essere come lui.
Poi a quattordici anni ho scoperto il rap, in particolare Eminem con uno sguardo però proiettato anche verso il panorama italiano, gli Articolo 31 in primis che, parlavano la mia lingua, mi dicevano le stesse cose che pensavo anch’io. Era un po’ come parlare con un amico.
Per un po’ di anni ho provato a fare questo: ho scritto tante canzoni, ho inciso delle demo, ho collaborato con qualche artista e avuto dei gruppi anche non di matrice rap.
Credevo che la mia strada sarebbe stata quella. Non vedevo altre vie.

Poi la vita ti insegna che non è detto che un amore debba durare per sempre, certe volte è solo un passaggio, un momento di transizione, una fase utile a farti capire cosa vuoi veramente. E a un certo punto ho capito che non era ciò che volevo. Così ho scoperto un altro tipo di amore: la scrittura di storie.
Avevo sempre letto tanto fino a quel momento, i libri mi davano la possibilità di estraniarmi, dimenticarmi di me stesso e di tutto ciò che mi circondava. Mi faceva fare esperienze straordinarie che non avrei in nessun altro modo potuto fare. Mi faceva vivere la vita degli altri.
Ecco, l’esigenza di scrivere è nata proprio da questi due fattori: da una parte crearmi un mondo tutto mio e dall’altro vivere la vita degli altri, con la differenza che sei tu a decidere come va a finire.

Esiste un nesso sentimentale o culturale tra il tuo essere scrittore la città dove vivi?

Direi di no. Forse potrei essere nato anche in un’altra città qualsiasi e farei lo stesso. La passione per la scrittura non è nata dal luogo ma, dagli autori che ho letto. Amo la mia città e non la cambierei con nessun’altra al mondo, ma non influenza il mio modo di scrivere. Non c’è un sentimento particolare che la lega a quello che faccio.

Pensi che gli studi in cui sei attualmente impegnato, possano limitare in qualche modo la tua libertà rispetto allo scrivere? Ti sottraggano cioè del tempo che viceversa dedicheresti alla scrittura?

In parte sì e in parte no. Ovvero… per scrivere i racconti di questo libro ci ho impiegato all’incirca due mesi e mezzo intervallati dalla preparazione degli esami universitari. Non è stato difficile unire le due cose, ma parliamo di racconti, richiedono molto meno tempo rispetto alla stesura di un romanzo. Attualmente sono impegnato negli ultimi esami, a settembre massimo ottobre conto di laurearmi, quindi dovrò pensare a questo. La scrittura dev’essere un piacere prima di tutto, se ti sottrae del tempo per tutto il resto a quel punto non lo è più. Diventa la tua unica attività e considerando che non lo faccio per lavoro ma per passione, sarebbe davvero deleterio.

Quali sono le letture che preferisci? E quali quelle che hanno contribuito alla tua formazione di scrittore?

Generalmente leggo un po’ di tutto, a parte il fantasy che sta spopolando tanto ma che a me non piace.
Leggo romanzi e racconti di narrativa generale, thriller, noir, horror, fantascienza, romanzi di formazione, sia italiani che stranieri e, ovviamente i classici. Da Dostoevskij a Checov, da Svevo a Moravia, da Gogol a Calvino e tutti gli autori del neorealismo che, sia a livello letterario che cinematografico credo rimangano insuperabili. Hanno raccontato l’Italia bellica e post-bellica lasciandoci una testimonianza e un patrimonio incredibili.
Niccolò Ammaniti è stato l’autore che mi ha influenzato più di tutti, il motore che ha fatto scattare la scintilla. Penso soprattutto ai racconti di “Fango”, dove la realtà va a braccetto con il grottesco, il surreale e la commedia, e ci mostra il peggio di ognuno di noi.
Quel libro è stato fondamentale per iniziare a scrivere seriamente, prima avevo scritto qualche racconto, ma erano ancora troppo acerbi. Non funzionavano perché ancora non avevo ben chiaro in mente come si facesse ad arrivare da A a B e a costruire una trama che avesse una logica, che funzionasse dall’inizio alla fine.
Scrivere tutti i giorni e leggere tanto è stata la migliore scuola di scrittura creativa. Grazie ad Ammaniti ho scoperto i minimalisti americani, poi Joe Lansdale e ho cominciato a leggere con più attenzione Stephen King quando ho saputo che lui stesso si era sempre ispirato allo scrittore del Maine. Ultimamente ho fatto delle piacevoli scoperte, una italiana: Silvia Avallone, l’altra giapponese: Murakami.

“Fermo! Che la scimmia spara” è il tuo primo libro. Lo paragoneresti al primo amore, che è quello che fa sentire lo scrittore maggiorenne e rende oggettivi per la prima volta quei pensieri e sentimenti che stavano chiusi dentro la mente e dentro il cuore?

Lo paragonerei alla serendipità, perché così è stato.
Non era nei miei progetti scrivere un libro, stavo seguendo i corsi all’università e uno di questi si è rivelato alla fine una sorta di corso di scrittura creativa.

Era tanto che non scrivevo e volevo tornare a farlo. È stato l’input per tornare in pista in un momento in cui pensavo a tutt’altro. Si vede che doveva succedere. Da lì ho ripreso a scrivere, ho iniziato a pubblicare per riviste, blog, forum, ho partecipato a concorsi fino a quando mi sono chiesto: “Ma perché non provi a scrivere un libro? Vedi come va. Se te lo pubblicano bene, altrimenti ci hai comunque provato e prima o poi qualcuno lo leggerà”. Così è stato. Insieme ad un editor abbiamo lavorato alla correzione per più di sei mesi e dopo un anno il libro è uscito.

In uno dei tuoi racconti parli di una vicenda western. Del resto nel tuo libro la scimmia è armata e il primo racconto narra di due donne emule di “Telma e Louise”. Sono tutti simbolo dell’asprezza dei rapporti fra gl’individui che non possono che regolare i conti soltanto con le armi alla mano?

La scimmia in copertina è armata di una pistola perché l’immagine originale del quadro di Banksy in cui invece impugna una banana non si poteva utilizzare per questioni di copyright, altrimenti avremmo usato quella.
Non so se si tratti di regolare i conti con le armi o meno, io ho scritto le storie che volevo raccontare così come me le sono immaginate. Ho pensato a delle situazioni e mi sono chiesto come potessero fare i personaggi a risolvere il loro conflitto. Volevo delle storie forti, come piacciono a me, in cui non fosse un confronto verbale a risolvere le situazioni ma, fisico.
A me piace la lotta con il corpo, nella fiction è più immediato, colpisce di più rispetto alla parola. Sono un autore che privilegia l’azione rispetto all’introspezione psicologica.
I protagonisti di queste storie sono persone che hanno valicato il punto di non ritorno, quindi spesso non hanno altre alternative che difendersi con gli unici mezzi a disposizione che hanno.

La scimmia armata che compare sulla copertina del tuo libro rappresenta quella parte di umanità che usa le armi per offendere o coloro che sono vittime e si difendono?

Rappresenta semplicemente il titolo del libro e del racconto omonimo. Tutto qua.

Per narrare bene un racconto ritieni sia più importante essere colto, conoscere la realtà o essere dotato di fantasia?

Un po’ tutte e tre.
La cultura è importante perché ti dà consapevolezza, è una bussola con cui orientarti senza la paura di perderti.
La realtà è fondamentale perché è attraverso l’osservazione che nascono le storie. Per scrivere bisogna amare la gente. L’altro. Ci dev’essere curiosità e voglia di stare ad ascoltare, di confrontarsi, in quanto l’esperienza di un singolo può essere un grande materiale da cui attingere per il tuo lavoro ma, anche come arricchimento personale.
Poi ovviamente ci deve essere anche la fantasia. Il compito di un autore è trasformare la realtà e farla diventare fiction. Altrimenti diventa un report. Non ha senso scrivere una storia.

Edgar Allan Poe sosteneva che “nessuno scrittore dovrebbe far figurare il suo ritratto nelle sue opere”. Ritieni che questa affermazione risponda a verità? E cosa ne pensi di tutti quegli scrittori che traggono ispirazione dalle proprie esperienze, se non addirittura mettono in primo piano se stessi e i propri sentimenti ?

Sì, perché a mio avviso ciò che conta è l’opera in sé, non chi l’ha scritta.
Sono d’accordo con quello che dice anche Elena Ferrante, quando afferma che una volta che il libro è uscito non è più dell’autore ma del pubblico. Non è importante conoscerne il creatore. Al pubblico deve o almeno dovrebbe interessare esclusivamente il romanzo. È questo il suo compito: scrivere una buona storia. Punto.
Mettere se stessi in copertina mi sembra un’autocelebrazione insensata. Un desiderio di apparire quando non ce n’è bisogno.
Per quanto riguarda l’altra domanda bisogna vedere il tipo di esperienza; se può essere utile anche agli altri, importante, per metterli magari al corrente di qualcosa di cui non sono a conoscenza o di cui se ne parla poco. Allora in questo caso attingere dal proprio vissuto può anche essere uno strumento d’informazione. Come ad esempio Il diario di Anna Frank. O Se questo è un uomo di Primo Levi. Grazie a loro sono state portate alla luce delle verità prima nascoste. Ma non per raccontare se stessi senza uno scopo.
La letteratura è comunicazione e deve comunicare qualcosa di interessante agli altri. Si scrive per vivere una vita diversa, migliore, se ci basta quella che abbiamo non c’è l’esigenza di crearcene un’altra.
La scrittura e la letteratura in generale ci dà un privilegio unico: toglierci di mezzo per una dannata volta ed entrare nella pelle e nella carne di altre persone. Nella vita di tutti i giorni questo non è possibile.

Ho notato che le donne sono le protagoniste di alcuni dei tuoi racconti. Che rapporto hai con il mondo femminile e come si colloca il tuo pensiero di fronte alle istanze delle femministe?

Le donne ci sono nei miei racconti perché ovviamente sono linfa vitale. Non riuscirei ad immaginarmi un mondo come ha fatto ad esempio Stephen King nel suo penultimo romanzo Sleeping beauties senza donne, anche se quello è un romanzo di fantascienza. Accuserei troppo il vuoto. Mentre se accadesse il contrario probabilmente rimarrei indifferente.

Il mio rapporto con il genere femminile è più che buono. Per un certo periodo ho avuto più amicizie femminili che maschili, e ci sono andato sempre d’accordo. Invidio il loro pragmatismo e la loro resilienza. La capacità che hanno di saper affrontare i conflitti quasi sempre a testa alta. Non si abbattono.

Noi uomini siamo più deboli. Ci piangiamo addosso più facilmente. Rimango sempre affascinato da una mente femminile brillante, intelligente. Una donna dotata di una grande testa può essere pericolosa.
L’uomo, di fronte ad essa diventa meno di zero, perché non riesce a competere.
Sulle femministe non so cosa dire, le seguo poco. Oggi purtroppo c’è questo fenomeno assurdo del femminicidio che sembra sia diventato quasi una moda. Se ne parla come una notizia di gossip. Vero è che gli uomini continuano ad uccidere spesso senza una reale motivazione, a volte basta un litigio o una risposta data male per compiere una tragedia.
Forse è anche colpa della nostra società: non sappiamo più controllare i nostri istinti, non abbiamo più stimoli, siamo frustrati e ci sfoghiamo con la persona che dovremmo amare e proteggere. Sono molto sensibile a questo tema ma, ci vuole una legge forte che condanni questi assassini davvero, e ancora non c’è.

Ci puoi raccontare quali difficoltà hai incontrato quando hai deciso di pubblicare e quale è stato il tuo primo pensiero dopo averlo pubblicato?

La difficoltà maggiore è stata riuscire a trovare una casa editrice tra le migliaia esistenti di cui potessi fidarmi.
Inizialmente avevo pensato al Self Publishing perché non credevo che un’opera prima fosse pronta per una pubblicazione. O forse ero io a non crederci abbastanza. Ma non la trovavo una scelta corretta né nei confronti miei né verso il libro su cui avevo speso tempo, versato sudore, messo tutto l’impegno e la mia passione, pagare per pubblicare.
Così mi sono posto un obbiettivo: entro un anno dovevo riuscire a trovare una casa editrice a cui piacessero i miei racconti e che non mi chiedesse nessun contributo economico. Così è stato. Ho firmato con una collana che dipendeva da una piattaforma di Self Publishing ma, che lavorava e selezionava i manoscritti in maniera indipendente. Ero felice. Ce l’avevo fatta.
Poi dopo poco mi arrivò la notizia che le due responsabili della CE non erano più in grado di far fronte alla mole di testi che arrivavano loro e mi dissero che non avrebbero più potuto pubblicarmi il libro. Mi sono ritrovato di nuovo all’ultimo momento a dover cercarne un’altra. Non era facile. Anche perché le case editrici hanno tempi di lettura molto lunghi, minimo quattro-sei mesi, e a quel punto non ero più disposto ad aspettare tutto quel tempo. Fin quando mi venne in mente una casa editrice indipendente fiorentina gestita da un autore di cui avevo letto alcuni libri. Inviai loro il mio manoscritto e fortunatamente i tempi furono più brevi del previsto; dopo qualche settimana mi risposero, andai ad incontrarli per firmare il contratto e a novembre “Fermo! Che la scimmia spara” è uscito.
Il mio primo pensiero è stato: questa è la ricompensa perché non ti sei mai abbattuto, non hai mollato, ci hai creduto fino alla fine e adesso il tuo libro eccolo lì. Devi essere orgoglioso. E infatti lo sono.

Sei soddisfatto di come le case editrici pubblicizzano le tue opere o questo compito è affidato a te?

Il problema delle case editrici indipendenti, almeno la maggior parte, è che non hanno i mezzi per poter supportare un autore come una Big. Fanno poca promozione, a volte anche nulla, ed è tutto affidato all’autore che, da solo deve pubblicizzarsi e far conoscere la propria opera. Per quanto mi riguarda, finora ho fatto quattro presentazioni organizzate da loro che sono andate abbastanza bene, ma in cui mi sono reso conto di quanto sia difficile attirare del pubblico.
Gli eventi letterari non interessano, perché nessuno legge e se riesci a presentare il tuo libro a dieci persone puoi già considerarti fortunato.
La promozione più intensa anche nel mio caso è affidata interamente a me: io devo organizzare le presentazioni, io devo promuovermi su social e mezzi a disposizione.

Ritieni che la tua presenza sui social, tipo facebook, google o instagram, o pubblicare i propri pensieri in un blog sia utile alla tua attività di scrittore?

Non ho esperienza sui blog quindi non ti so dire, i social oggi sono un ottimo strumento di promozione per farsi conoscere e ottenere contatti. Alcuni autori hanno cominciato così e sono arrivati alla grande casa editrice, quindi che dire… incrociamo le dita.

Cosa consiglieresti ad un giovane o a una giovane che iniziano a scrivere?

Non credo di essere in grado di dare consigli, sono un principiante e devo e voglio imparare ancora molto sul mondo della scrittura.
Il consiglio che darei ad una persona che ha voglia di scrivere è lo stesso che do alle persone che conosco: leggete, leggete e leggete.
Forse non garantisce la felicità ma posso garantire che migliora la vita.
A me l’ha migliorata.
Questo vale ancora di più per chi intende approcciarsi alla scrittura, oggi tutti scrivono ma nessuno legge. Non so come facciano.

Secondo te cosa pensa la gente dei poeti e degli scrittori? Qual è il loro peso sulla società, ammesso che debbano averlo?

Dei poeti non mi è mai capitato di discuterne, degli scrittori credo che pensino quello che pensano un po’ tutti: se un autore è valido, scrive delle belle storie, i lettori si affezionano e iniziano a seguirlo. Esprimono il loro giudizio sui suoi libri. Non credo debbano avere un peso, si pubblicano tanti libri anche di pessima qualità solo per vendere, non c’è più la cura e l’attenzione per la qualità che poteva esserci prima.
Molti editori puntano a questo e a fare numero.
Mi piacerebbe tornare a leggere romanzi che lascino un segno, che raccontino il cambiamento di un’epoca o di una società.
Ancora non mi è successo.

Ogni prodotto letterario scaturisce dalla fantasia dell’autore. Quali differenze ritieni che ci siano tra uno scrittore e un poeta, al di là della forma letteraria?

Ti rispondo con una citazione di Josif Brodskij: “Lo scrittore cammina sulla terra, mentre il poeta cammina sull’erba”. Vale a dire che il poeta camminando sull’erba non può limitarsi a vedere la strada che percorre, ha bisogno di sentire la strada che percorre. Fondamentalmente credo che entrambi necessitino di un talento molto forte, ma questo da solo non basta. Ci vuole altro. Molti poeti, penso a Bukowski ma anche a Umberto Saba o Pirandello sono stati anche degli ottimi romanzieri, mentre conosco pochi casi di romanzieri che abbiano scritto grandi poesie.
La poesia va al di là della narrazione, scava nell’io, nell’inconscio, cerca la verità e, per fare questo ci vuole una certa predisposizione che spesso lo scrittore non ha.

Qual è la tua opinione sulla politica italiana relativamente alla cultura in generale?

Non amo parlare di politica. Non credo di essere la persona più adatta.
Penso soltanto che si investa poco sulla cultura che purtroppo almeno in Italia sta morendo.I teatri e i cinema chiudono perché non riescono a sostenere le spese.
E la politica dal canto suo di certo non li aiuta.

Stai già scrivendo una nuova raccolta di racconti? Puoi farci qualche anticipazione?

Sono in fase di riscrittura di un romanzo che non so quando finirò.

Progetti per il futuro e sogni nel cassetto?

Progetto: laurearmi entro ottobre. Sogni: riuscire a pubblicare magari con una grande CE.

Ringrazio Marcello Comitini per questa lunga ma curatissima intervista. Pier Carlo Lava per l’opportunità concessami, e tutta la redazione di Alessandria today.

Credo che i tuoi lettori (noi di Alessandria today compresi ) ti saranno grati d’aver rilasciato questa intervista. Le tue risposte completano i lineamenti dell’immagine un po’ nebulosa che ciascuno si crea dell’autore quando questi è alla prima pubblicazione. Le tue risposte donano linfa ai dialoghi, disegnano l’animo dei personaggi, scendono in profondità, e il lettore percepisce più di quel che ha recepito nella sua “solitaria” lettura.
È come se tu avessi aperto la stanza dove scrivi e ci avessi permesso di entrare nel tuo animo e di vedere il mondo e i personaggi che lo popolano mentre crei i tuoi racconti. Vediamo i fili e le ragioni culturali e umane che li muovono, che li fanno dialogare, che li rendono vivi e a noi vicini.
Ti salutiamo con l’augurio di realizzare tutti i tuoi progetti e di rendere concreti tutti i tuoi sogni. Di donare a noi infine altre possibilità di essere trasportati dai tuoi scritti in quel mondo “diverso, migliore” che intendi costruire con il tuo scrivere.