“La violenza sulle donne- prevenzione e contrasto nel territorio” di Maria Lisma

… mi hanno chiesto di pubblicare il mio intervento all’incontro su “La violenza sulle donne- prevenzione e contrasto nel territorio” tenutosi a Marsala lo scorso giugno per iniziativa dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani”. lo faccio con umiltà nella sola speranza che possa fornire qualche spunto di riflessione. la lettura richiede qualche minuto….

10 minuti son pochi e per questo velocemente, ma non meno intensamente e sinceramente, ringrazio chi stasera mi ha voluta qui.
“10 minuti sono pochi” ho pensato con presunzione quando ho letto la e mail dell’avvocato Alabiso che stabiliva i tempi degli interventi, e non perché siano particolarmente interessanti le cose che avrei da dire ma perché la psicologia della vittima d’abuso, e di riflesso quella dell’abusante, sono così complesse che davvero 10 minuti son troppo pochi per parlarne.

Subito dopo ho riflettuto: 10 minuti bastano ad una donna per morire accoltellata da un uomo, bastano per essere strangolata picchiata a morte; bastano perché un uomo le fracassi il cranio con un colpo d’accetta, bastano perché la cosparga di benzina e le dia fuoco. Per morire no, in quel caso , purtroppo, ci vuole più tempo.
10 minuti al giorno di telefonate, messaggi, appostamenti, fanno di una donna la vittima di uno stalker. 10 minuti , anche solo a giorni alterni, di squalifiche, vessazioni, insulti, disprezzi…possono distruggere ogni autostima e ogni rispetto di sé. Assistere per 10 minuti al padre che picchia la madre, espone un bambino al trauma di violenza assistita ( che rientra a pieno titolo fra le ESI – Esperienze Sfavorevoli Infantili che lo rende vittima di maltrattamento come se lui stesso l’avesse subito)… chieda aiuto,e forse proprio adesso, in questi 10 minuti che io sto riempiendo di parole, una donna vicina o lontana da noi, sta morendo per mano di un uomo.

Ho molto apprezzato l’indicazione fornita dagli organizzatori di non limitarsi all’indignazione ma di proporre azioni concrete. Ma l’indignazione è condizione necessaria poiché nessun intervento sarà mai efficace se prima ciascuno di noi non si sarà personalmente ferito dalla barbarie della violenza ferito nella propria intima umanità. Ma non è condizione sufficiente: qualsiasi iniziativa deve partire dalla FORMAZIONE. Gli operatori ( anche legali) che con diversi ruoli e funzioni entrino in relazione con le donne vittime d’abuso, e quasi sempre anche con i loro figli, non possono essere solo persone di buone volontà. La loro volontà deve essere formata e supportata poiché davanti al dolore e alla devastazione che la violenza ( in tutte le sue forme) comporta, l’operatore può oscillare dall’onnipotenza all’impotenza, proiettando i propri vissuti, identificandosi pienamente con la vittima, rischiando di assumere un ruolo pedagogico o giudicante, sostituendosi ad essa….
Dunque la mia proposta è : Formazione qualificata autentica che sia anche portatrice di Tras-formazione dell’operatore.

La donna abusata, maltrattata, violentata, non sempre chiede aiuto, soprattutto quando la violenza è intra familiare: sappiamo infatti, come già accade per l’abuso sui minori, che è più semplice reagire quando l’azione violenta è extra familiare. In questo caso, infatti, la famiglia è considerata fattore protettivo.
nelle famiglie in cui si consumano violenze, scattano delle dinamiche che determinano un vincolo così forte che molto difficilmente può essere spezzato dall’interno.

Chiunque abbia avuto a che fare con una donna maltrattata sa che se c’è una possibilità che questa chieda aiuto, ciò avviene nella fase dello scoppio della violenza che è una delle tre fasi che caratterizzano i rapporti su base maltrattante:

la prima fase è quella che viene riportata in letteratura come “camminare sulle uova” o aumento della tensione: è la fase in cui la donna si adatta completamente all’uomo, vive in un continuo stato d’all’erta, cerca di prevenire ogni suo bisogno e di eliminare ogni fattore che potrebbe turbarlo o adirarlo … .è la fase in cui si sente dire “ ma tu devi saperlo prendere … cercagli il verso … non dargli scuse …”

la seconda fase è quella dello scoppio della violenza ed è la fase in cui, malgrado tutte le precauzioni precedentemente prese, la donna SBAGLIA. Inesorabilmente, inevitabilmente, sbaglia. Una volta è una camicia stirata male, un’altra una forchetta fuori posto o troppo sale nella minestra o una telefonata o una gonna troppo corta o troppo lunga o anche solo il tempo che cambia … la donna sbaglia .e dopo che viene picchiata molestata, fratturata, annientata, quando e se sopravvive e se non è da sola, la donna abbozza una reazione: il Pronto Soccorso, una denuncia forse, una fuga verso casa di sua madre con i bambini ( e spesso la stessa madre le chiede “ cosa gli hai fatto … perché gli hai fatto sicuramente qualcosa per portarlo a fare questo …). E la donna si chiede subito dove ha sbagliato perché questa è una cosa che le donne fanno quasi sempre e gli uomini quasi mai…

la terza fase è la riconciliazione o “luna di miele”: l’uomo, spesso per intervento di qualcuno chiede scusa o mette in atto dei comportamenti che la donna vuole leggere come pentimento. E allora gli crede non perché all’improvviso lui sia diventato più credibile o affidabile ma perché lei ha bisogno di credergli per non confrontarsi finalmente col proprio fallimento e gli concede così l’ennesima “ultima possibilità”, salvo poi non avere più nemmeno il tempo di capire che quella è l’ultima possibilità per lei. Mentre nella seconda fase la donna, spesso col supporto di qualcuno può chiedere aiuto, nella terza fase ritira la richiesta d’aiuto, minimizza il danno subìto. “sta cambiando, mi ha chiesto perdono, me l’ha giurato sui bambini….”

Se la motivazione non è anche della donna, si rischia di andare incontro a dei fallimenti. La donna deve essere motivata e partecipe del progetto di tutela di sé e dei propri figli.

Questa assemblea è convocata dall’Unione Giuristi cattolici: ho letto il vostro statuto e l’ho molto apprezzato e ho messo in discussione un mio vecchio pregiudizio e cioè che difficilmente la giustizia terrena potesse muoversi sulla base dell’ispirazione della giustizia divina.

Lo dico perché credo che per tutte le donne sia difficile ma per quelle cristiane lo sia un po’ di più.

Allora lascio gli ultimi due dei miei dieci minuti alle parole di una donna cristiana maltrattata.
“oggi 23 luglio, è la terza volta. Signore, io lo perdono anche questa volta, ma quante volte ancora? Perché Tu hai detto: non vi dico fino a 7, ma fino a 70 volte 7.
Signore mi ha schiaffeggiata, mi ha picchiata, che faccio? Perché Tu hai detto : a chi ti schiaffeggia, porgi l’altra guancia..
Signore, mi tratta male, mi umilia, mi mortifica, mai ha per me una carezza, un’attenzione. Io credo di amarlo ancora ma lui non mi ama e forse già mi tradisce. Ma Tu hai detto: se amate soltanto quelli che vi amano, che merito ne avrete? Non fanno così anche i pagani?”
Ecco , credo che per una donna cattolica sia più difficile e lo dico da donna cattolica.
Alcuni sacerdoti a cui le donne maltrattate si rivolgono, le esortano a sopportare in nome della sacralità del matrimonio, a tollerare e ad offrire tutto in espiazione dei propri peccati, appellandosi alle parole di Paolo : voi mogli siate sottomesse ai vostri mariti e omettendo il versetto successivo: e voi mariti, amate le vostre mogli. E questo senza considerare le conseguenze non solo sulle donne ma anche, e soprattutto, sui figli.

Bisogna che si torni alla DIGNITA’ di figli di Dio, alla sacralità del corpo e dell’anima per ritenere che Nessuno ha il diritto di calpestarla,
ricordando che lo stesso Cristo che ha insegnato il perdono, urla contro coloro che sono di scandalo per i bambini (Mt.18,6-11).

Infine credo che noi come donne e come madri dobbiamo interrogarci se davvero stiamo facendo il possibile per creare e far crescere figli capaci di amare, e lo dico da madre di una figlia femmina e di due figli maschi.

Grazie.

Maria Lisma