CERENDERO  E  LA  CHIESA  DI  SAN  RUFINO, di Lorella Torti e Elvio Bombonato

CERENDERO  E  LA  CHIESA  DI  SAN  RUFINO

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Raccontiamo la storia, affascinante e assurda, emozionante e irragionevole, di una chiesa antica, crollata agli inizi dell’ ‘800;  ricostruita, solenne e maestosa, alla fine del secolo, e di nuovo crollata.

Cerendero è un paese della Val Borbera, situato nella valle di Gordanella  sopra il torrente omonimo, noto per  le cascate di Gordena.  Fu abbandonato negli anni ‘60, ma ora viene ripopolato d’estate da una ventina di famiglie, che si sono organizzate per farlo rinascere. 

A poca distanza, nel bosco sotto il cimitero, esiste una chiesa monumentale, quasi una cattedrale, dedicata a San Rufino,  un eremita del VI secolo.  

Il suo documento più antico risale al 1248; divenne parrocchia autonoma (dipendeva già allora da Mongiardino) nel 1647; l’edificio subì gravi danni, causati da una frana, a partire dal 1790; dopo il crollo del tetto nel 1820, il declino irreversibile.

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Nel 1891 il nuovo parroco, originario di Gordena, don Agostino Tambutto, l’anima del paese, volle ricostruirla. L’ingegnere genovese  Luigi Balbi relazionò sulla situazione geologica che aveva provocato il crollo dell’antica chiesa:  fondamenta poco profonde, materiali scadenti, infiltrazioni d’acqua; Il terreno in discesa (spianato senza costruire i muretti in pietra per bloccarlo), non sopportò l’ingente peso dell’edificio, con i muri ormai lesionati, costruito proprio a ridosso della montagna, dalla quale defluiva l’acqua infiltratasi, e iniziò a slittare verso la valle sottostante.

Tuttavia gli abitanti di Cerendero ridiedero vita alla propria “cattedrale”, e la vollero nello stesso luogo;  poste le fondamenta, fu ricostruita in tempi brevissimi:  dal 1898 alla consacrazione nel 1904. Un impegno straordinario, logistico ed economico, incredibile.  Furono trovati i benefattori, l’intera comunità si impegnò;  nel tempo libero, gli abitanti  trovarono e trasportarono le pietre per i muri, lavorando agli ordini del capomastro, che seguiva il progetto dell’ingegnere. 

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La chiesa, imponente e grandiosa, è di dimensioni  spropositate: la navata di m. 14 per 30; alta 14 m.; una grande canonica di tre piani sulla sinistra; il maestoso campanile di 40 m.  Gli abitanti erano giustamente orgogliosi della loro chiesa, una delle più grandi e belle della Val Borbera, luogo di culto e di incontro per le famiglie, i bambini e gli anziani, poco distante dal paese.  C’erano un negozio di alimentari con osteria, e la scuola elementare nella canonica. Dopo l’8 settembre 1943, divenne rifugio di partigiani e di ebrei, assistiti dalla popolazione.

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Eppure di nuovo vinse la montagna. Già nel 1947 si presentarono le prime crepe, causate dagli  smottamenti del terreno circostante.

Ora la chiesa è chiusa, recintata in modo sommario, dichiarata inagibile perché pericolosa.  Sta precipitando pian piano:  il tetto è sfondato, sono comparse fenditure verticali provocate dalle infiltrazioni, i muri sono pericolanti, la facciata e l’abside deteriorati, la canonica anch’essa transennata, il maestoso campanile  ancora integro.  L’interno è un cumulo di macerie, alcuni affreschi sono ancora visibili sulle pareti e sulla volta.

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Gli ex abitanti, e i loro eredi, erano persuasi che interventi di solidificazione avrebbero potuto conservarla, ma probabilmente ne avrebbero solo prolungato l’agonia. Nel 2008 fu fondata l’Associazione “Amici di Cerendero”,  che avviò l’“Operazione San Rufino”, raccogliendo un numero straordinario di adesioni per quantità e qualità: enti culturali e religiosi, la diocesi di Genova (da cui dipende Mongiardino), scuole, giornali, docenti universitari, intellettuali, studi professionali disposti a consulenze gratuite, associazioni pubbliche e private, il Lions di Borghetto Borbera, coinvolgendo la Regione Piemonte e la Provincia di Alessandria.  Nel 2013 fu costituita una ONLUS (66 articoli pubblicati sui giornali) e raccolte 4000 firme per i “Luoghi del cuore” del FAI, risultando primi in Piemonte e in Liguria.

Accertata l’ impossibilità di ricostruire la chiesa, visti i costi elevatissimi e l’inidoneità del posto, hanno proposto  di salvarne una parte da trasformare in luogo, in un paesaggio incantevole, di incontro e di riunioni.  Ipotesi ovviamente abbandonata.  Ora chiedono di conservare il campanile, intatto (fino a quando?) perché costruito staccato dalla chiesa.

Probabilmente la vicenda finisce qui. Lungi dal pronunciare un giudizio negativo, troviamo ammirevole la testardaggine degli abitanti e il loro accanimento, tanto commovente quanto insensato.  Ma, privata di utopia e di speranza, la nostra vita sarebbe più povera.

                                                                           Lorella Torti   Elvio Bombonato