“Il branco uccide: caccia spietata al Drago Giallo”, di Marina Crescenti

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BREVI NOTE SUL “BRANCO”

Oscar e il suo branco affrontano il mondo con il piglio di chi ogni giorno deve fare i conti con la propria anima spietata, sfasciata da abusi subiti e sofferenze patite, “pane quotidiano” della loro infanzia.

La crudeltà gocciola da ogni pagina, ma in questa seconda avventura il branco si trova ad affrontare un nemico altrettanto feroce: il Drago Giallo.

Nulla placherà la furia del drago, se non la vendetta. Il pericolo, però, potrebbe giungere anche da molto più vicino… I protagonisti del romanzo si muovono all’interno di una storia dalla doppia faccia, che strizza l’occhio a una narrazione cruda e brutale.

Non a caso vi si respira il clima di un certo cinema poliziesco – quello italiano degli anni Settanta e Ottanta – che si insinua prepotente fra le righe e prende a calci i sentimenti.

A volte capitola e lascia la scena all’amore, cede il passo all’amicizia. Nel branco si riaffacciano, così, speranze e buoni propositi, ma c’è da chiedersi se non siano solo fantasmi pronti a sgretolarsi alla successiva, imminente sequela di calci…

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Le Recensioni:

RECENSIONI AL LIBRO MILANO NERA

Sconvolgente e spietato, due degli aggettivi che meglio descrivono Il branco uccide. Caccia al Drago Giallo l’ultimo romanzo di Marina Crescenti. L’autrice, con una penna tagliente e brutale, racconta la nuova avventura del branco, un gruppo formato da giovani di entrambi i sessi, carnefici e vittime allo stesso tempo, costretti negli anni ad abusi e sofferenze quotidiane difficili da dimenticare. La vita ha dato loro duri colpi dal momento in cui affrontano ogni giorno sfide insormontabili; il dolore li ha portati a vivere in simbiosi, se anche solo un componente decidesse di andarsene il branco non avrebbe più senso di esistere, soprattutto se ad allontanarsi fosse Oscar, un ragazzo troppo spesso sotto stupefacenti ma che sa sempre cosa fare. È lui la colla in grado di tenere unito il tutto. Questa volta il gruppo si ritrova a fronteggiare una questione dalle conseguenze terribili e inaspettate, una situazione di alto tradimento, faccia a faccia con un nemico senza precedenti: il Drago Giallo, la cui crudeltà e cattiveria non lasciano scampo. Solo la vendetta può essere la soluzione definitiva. I protagonisti sono coinvolti in un incubo ad occhi aperti, dove l’unico modo per sopravvivere è rischiare il tutto per tutto; è una lotta senza tregua tra carnefici, in cui il più forte prevarica sugli altri. Il risultato: una lenta e inarrestabile rovina, che non risparmia i membri del branco, corrosi da tradimenti, paure e sentimenti sbagliati. Il Drago Giallo è portatore di morte e disgrazie, il suo obiettivo infatti è quello di estirpare il gruppo come se fosse inutile erbaccia, partendo dai suoi componenti più deboli. Riuscirà ad ottenere ciò che vuole o i ragazzi saranno in grado di ostacolare una fine quasi ovvia?Marina Crescenti realizza un romanzo tagliente, crudo in cui a volte le descrizioni sono talmente vive, il ritmo talmente incalzante e ricco di cambi di scena da provocare e confondere il lettore. Tutto questo incrementa la curiosità e l’immedesimazione, agevolata anche da dialoghi quotidiani e personaggi comuni, problematici e reali. Le immagini, così crude e brutali, invocano e richiamano il cinema poliziesco italiano degli anni settanta  e le radici della letteratura noir. Siamo di fronte a un poliziesco tagliente e di una ferocia che lascia un segno indelebile.
Il branco uccide. Caccia al Drago Giallo è una storia di sangue in cui la rabbia e la vendetta lasciano spazio, ma solo raramente, a sentimenti positivi. L’amore è in fondo un sintomo di debolezza e la vita di questi giovani si trasforma, giorno dopo giorno, in una serie di false speranze e disilluse felicità.

IL MANGIALIBRI

Notte fonda. All’interno di un capannone abbandonato Enrico e Rebecca tengono per le braccia, immobilizzandolo, Gino. Oscar, il capo del gruppo, si gode la scena mentre Genziano ammira la lama affilata del coltello che ha in mano. Gino si trova in questa spiacevole situazione perché si è macchiato di una colpa grave nei confronti del branco: ha rifilato loro per un lavoretto una 84 Cheetah 13 colpi “sporca”, ossia una pistola che in precedenza ha già sparato. In preda ai fumi dell’alcool e alla cocaina Genziano inizia a tagliare a Gino un dito dopo l’altro, distribuendoli poi ai compari esaltati. Successivamente il traditore viene issato per i piedi a una trave e lasciato dissanguare lentamente, tra le risate di tutti. Una fine terribile che genera però l’immediata sete di vendetta di un misterioso personaggio. Dapprima infatti viene accoltellato alle spalle Oscar mentre sta per accendersi una delle sue amate Gauloises senza filtro e poco tempo dopo viene rapita e stuprata Rebecca, salvata dalla morte per un soffio solo dall’intervento provvidenziale di Genziano che la stava tenendo d’occhio. Qualcuno sta tentando di eliminare tutti gli elementi del branco e l’unico elemento di riconoscimento utile per scoprire chi sia è il tatuaggio di un drago giallo che sputa fuoco nero…

Marina Crescenti è un’istruttrice di tennis che è stata anche azzurra under 16 e under 18 e ama il genere poliziesco anni Settanta, i cosiddetti “poliziotteschi” che tanta fortuna hanno avuto al cinema in quegli anni e oggi sono considerati film da culto. Dal 2004 ha deciso di mettere questa sua passione a frutto sotto forma di storie e romanzi, con grande caparbietà. Ha già pubblicato una quadrilogia con i casi del commissario Narducci, 4 Demoni per il commissario Narducci, Joy, È troppo sangue anche per me e Cosa le tiene sveglie, e ha iniziato la saga dell’ispettore Riccio con Al sangue non si comanda. Ha anche curato la biografia di Luc Merenda La vita a briglie sciolte, un racconto puntuale della vita di una delle grandi star del genere poliziottesco. Il branco uccide – secondo volume di una saga il cui primo romanzo è Le lacrime del branco del 2012 – è un vero e proprio inno al poliziottesco nostrano, violento e sboccato. Le immagini gore nel romanzo infatti, non mancano, tra omicidi senza senso e violenze gratuite. I protagonisti sono dei personaggi allo sbando assolutamente detestabili nei loro deliri di sangue e violenza senza senso anche se il lettore si ritroverà a parteggiare per loro a causa della comparsa di un criminale ancora più spietato. I colpi di scena non mancano e fino all’ultimo i ribaltamenti di fronte saranno repentini. L’identità del Drago Giallo è stata ben custodita dall’autrice all’interno delle pagine del libro e il lettore non si annoierà un attimo nel tentativo di scoprirla.

IL COLORE DEI LIBRI

Quando ho finito di leggere questo libro, sono rimasta qualche ora con una sensazione strana addosso, un misto di piacere e amarezza.
Piacere perché oggettivamente è un bel libro, con una trama originale e ben congegnata, disgusto perché per me, che quando leggo mi immagino tutto come se nel mio cervello si stesse proiettando un film,  è troppo splatter.
Ma questo non è detto che sia un difetto, anzi, devo fare un plauso all’autrice per il modo che ha di descrivere certe situazioni non semplici da gestire.
Il branco si trova a dover risolvere una questione di “alto tradimento”, senza immaginare le conseguenze che susciteranno le loro azioni.
Il Branco è il protagonista principale, poiché i suoi componenti si muovono e vivono le loro vite in simbiosi l’uno con l’altro.
Oscar è il loro capo, la testa pensante, colui che sa sempre cosa fare, anche se in realtà spesso è alienato dall’uso continuo di droghe.
Senza la sua guida il branco si sente perso.
Lo stile di scrittura è crudo, diretto, tagliente, talmente le descrizioni sono reali che spesso mi sono trovata con una morsa allo stomaco.
Il ritmo è frenetico, sincopato, così da lasciare il lettore senza respiro.
L’autrice gioca su continui cambi di scena, a volte piacevoli, perché fanno vedere la stessa situazione da angolazioni diverse, a volte così repentine che sinceramente ho fatto fatica a seguirle.
Buon uso dello show/don’t tell, con dialoghi reali e coerenti alla storia, che aiutano il lettore a immedesimarsi.
Sicuramente i dialoghi sono il punto forte di questo romanzo poiché risultano ben congegnati affinché si possa venire a conoscenza di informazioni importanti senza che l’autrice  debba essere costretta a “raccontare i fatti e gli antefatti”.
Ambientazione secondaria ma idonea alla trama.
In fondo questa storia potremmo ambientarla ovunque e funzionerebbe lo stesso.
Questo romanzo è intriso di sangue, cattiveria, rabbia, crudeltà, ma anche di amore e amicizia, anche se questi due sentimenti sembrano essere appositamente nascosti dai protagonisti, come se amare qualcuno o essergli amico fossero sinonimi di debolezza.
Oggettivamente posso dire che è un bel libro, con una storia che ti rimane dentro e ti lacera come una coltellata.
Lo consiglio a tutti coloro che amano il genere giallo splatter, a tutti quelli che sono forti di stomaco.

IL CORRIERE AL (il magazine on line di Alessandria e provincia) e PULP LIBRI: DANILO ARONA

Alcuni giorni fa ai Murazzi di Torino un giovane vercellese è stato sgozzato in pieno giorno da un presunto cittadino straniero. Stefano Leo, non un’ombra nella sua breve vita, ha incontrato una morte orribile – coltello affilatissimo, un solo colpo violentissimo a tranciare la gola – mentre si recava al lavoro, vittima di uno di quegli “atti casuali di violenza insensata” che sono stati negli anni ’90 titolo e tematica di un profetico libro di Jack Womack in cui si racconta di una New York, quasi contemporanea, brutale e senza speranza, dove si uccide e si muore con la facilità e la velocità di uno starnuto.

È un sinistro paradosso questa linea sottilissima, quasi invisibile, tra fiction e realtà. Ci sguazziamo dentro non so con quanta consapevolezza, a parer mio molto poca –  e purtroppo la cronaca, sempre più pesante, sembra darci ragione. Se non entro nel merito per evitarvi un apparente moralismo gratuito, va da sé che servirsi della realtà come chiave di accesso a un’opera di fantasia (Il branco uccide – Caccia al Drago Giallo di Marina Crescenti, Nero Press) un po’ dovrebbe dirla lunga sui tempi grami che stiamo vivendo. Il fatto è che la celestiale Marina, un po’ come Jack Womack di cui sopra, ci vede lontano, Non solo come Womack, ma soprattutto come il “nostro” Sergio Altieri, se Marina me lo concede, produttore di una narrativa che non solo vedeva lontano, ma vedeva “oltre”. Sergione, lo sapete, non è più tra noi, ma i suoi frutti germogliano e questo libro e la sua autrice rientrano nel novero. Se Marina ancora me lo concede  (ma lo so che è così, dai…), vorrei riportare qui la dedica, appassionata e commovente, che leggiamo prima dell’inizio.

«Questo mio libro ha un “padre”. Nasce da un’idea di un grande Uomo – immenso Autore e molto di più – che ne aveva immaginata e progettata la pubblicazione in una delle più note collane da lui dirette. È a te, Sergio, che lo dedico con tutto il mio cuore, perché ti piaceva, perché mi chiamavi “Rising”, perché è grazie a te che l’ho scritto. (Sergio Altieri, 1952 – 2017).»

Precisiamo. Questo non è un testo per anime candide. Bensì un libro, ancora citando una sua leggendaria antologia, per “Anime nere”, spiriti vaganti nelle dimensioni oscure che non si arrenderanno mai al conformismo narrativo, ed estetico, tendente oggi a voler dominare anche nei generi popolari. Il branco uccide – Caccia al Drago Giallo è un libro sconvolgente, travolgente quanto crudelissimo, ben oltre l’Amok che avevo rievocato nella prefazione a Le lacrime del Branco, la precedente discesa agli Inferi della banda di balordissimi, capitanati da Oscar, avvocato di giorno e criminale nelle tenebre.

Per rinfrescare in poche righe le memorie, l’Amok è un particolare e patologico disturbo comportamentale provocato da uno stato “crepuscolare”, riscontrato e analizzato per la prima volta tra gli indigeni della Malesia e caratterizzato da uno stato depressivo cui segue una crisi di furore omicida, durante la quale il soggetto corre urlando e colpisce alla cieca chiunque incontri. Quando la crisi è passata, il soggetto non ricorda più nulla. Il termine può riferirsi oltre che alla follia in sé anche all’individuo che ne è affetto. Dovrebbe in pratica colpire solo individui provenienti dal Sud Est asiatico, ma culturalmente lo si può estendere, appunto, a definire certe patologie aberranti più che mai d’attualità, vedi il povero ragazzo sgozzato ai Murazzi. Ma se l’Amok rischiava allora, a proposito del primo libro sul Branco, di sembrare una sorta di scusante biologica, oggi su questo Male insensato ed esibito a tutta pagina non troviamo più alcuna attenuante. I membri del Branco sono corpi senza coscienza. Bastardi che non meriterebbero alcuna pietà da parte nostra, i lettori. Che siamo pure voyeur. Eppure indugiamo perché la morte in diretta e questo sangue che scorre a mo’ di cascata di Shining possiedono un fascino avviluppante.

A schematizzarla, la linea narrativa del libro sembrerebbe richiamare il più classico stile della guerra fra gang, ma già dalla seconda pagina Marina Crescenti ci fa capire senza mezze misure che siamo “Altrove”. La metropoli è l’inferno in Terra e nelle sue viscere si muovono demoni in forma di uomini che non arretrano di fronte a nulla, spingendo l’acceleratore della crudeltà oltre ogni limite pensabile. Devo confessare che uno dei passaggi più impressionanti – ne riferisco a titolo personale – è quando il Branco “rade al suolo” la Città Violenta, per capirci ammazzano senza porsi il minimo scrupolo i membri di un gruppo musicale “prog” che si sono dati un nome a dir poco predestinato. Al di là delle motivazioni che si scoprono leggendo il libro, “vedere” che qualcuno ti può tirare giù dal palco e mandarti all’altro mondo o inseguirti nel cuore della notte a fine concerto, non è affatto una bella sensazione. A me, “musico ambulante” per dirla con Concato, fa un pessimo effetto perché la gente del Branco abbatte persino l’ultima barriera, che non è solo formale, tra Palco e Realtà. Peraltro, come scrive Marina, su quel palco «qualcuno lanciò un boccale che si frantumò. Il chitarrista agganciò col piede il frammento più grosso e se lo portò alla mano, mentre con l’altra seguitò a far andare il plettro. Si tagliò i jeans all’altezza della coscia, il sangue si sparpagliò sulla stoffa, la gente ululava…». A dire che c’è sempre un momento teatrale che racchiude l’essenza dell’opera stessa, il caos insensato che si trasforma in anagramma del mondo.

Oh, permane sempre un grande mistero, almeno per me, dietro le opere di Marina Crescenti. Lei è bellezza e dolcezza allo stato puro e io, ancora una volta, sono qui a chiedermi di che materia è composto il suo mondo artistico. In realtà, mentre lo faccio, sono colpevolmente dimentico che i grandi scrittori – e scrittrici -, quando producono con le viscere dell’inconscio in dinamica tensione, si agganciano alle zone infere e ne tirano fuori il succo, trasfigurandolo in opera d’arte. L’invisibile Amok che ti percuote dentro e ti invita a guardare meglio, sussurrandoti: È solo un libro, è solo un libro…

LA ZONA MORTA

Una cosa non si può certo dire delle Edizioni Nero Press… che se ne stiano con le mani in mano! Tantissime sono le novità uscite nell’ultimo periodo, spaziando un po’ per tutti i generi del fantastico: horror, fantasy, giallo, poliziottesco, fantascienza, thriller, noir… ce n’è davvero per tutti i gusti!

Cominciamo con il segnalarvi l’uscita di IL BRANCO UCCIDE – CACCIA AL DRAGO GIALLO (10 euro) di Marina Crescenti, pubblicato nella collana “Intrighi”.

Oscar e il suo branco affrontano il mondo con il piglio di chi ogni giorno deve fare i conti con la propria anima spietata, sfasciata da abusi subiti e sofferenze patite, “pane quotidiano” della loro infanzia (e che in parte traggono spunto da storie vere). La crudeltà gocciola da ogni pagina, ma in questa seconda avventura il branco si trova ad affrontare un nemico altrettanto feroce: il Drago Giallo. Nulla placherà la furia del drago, se non la vendetta. Il pericolo, però, potrebbe giungere anche da molto più vicino…

I protagonisti del romanzo si muovono all’interno di una storia dalla doppia faccia, che strizza l’occhio a una narrazione cruda e brutale. Non a caso vi si respira il clima di un certo cinema poliziesco – quello italiano degli anni Settanta e Ottanta – che si insinua prepotente fra le righe e prende a calci i sentimenti. A volte capitola e lascia la scena all’amore, cede il passo all’amicizia. Nel branco si riaffacciano, così, speranze e  buoni propositi, ma c’è da chiedersi se non siano solo fantasmi pronti a sgretolarsi alla successiva, imminente sequela di calci…

Marina Crescenti è nata a Benevento, ha vissuto a Pescara e da diversi anni risiede a Pavia. Ha giocato in Nazionale di tennis under 16, under 18 e in serie A, e oggi è istruttrice di tennis. Ama il cinema, in particolare il genere poliziesco e i gialli italiani degli anni Settanta. Laureata cum laude in Economia e Commercio, è stata ricercatrice universitaria e ha pubblicato numerosi articoli in riviste scientifiche e specializzate. Nel 2004 ha abbandonato la carriera universitaria per dedicarsi alla scrittura di romanzi e racconti. È autrice delle detective stories incentrate sui casi del commissario Narducci (4 Demoni, Joy, È troppo sangue anche per me, Cosa le tiene sveglie) e dell’ispettore Riccio (Al sangue non si comanda); nel 2017 ha curato La vita a briglie sciolte, biografia di Luc Merenda (noto interprete di film gialli e polizieschi girati in Italia negli anni Settanta e Ottanta). Nel 2012 ha pubblicato il prequel de Il branco uccide, il romanzo Le lacrime del branco, con il quale ha vinto il Premio della Microeditoria 2013.

NOTIZIE IN UN CLICK: “Il branco uccide” segna il ritorno del “poliziottesco” in libreria

C’è stato un tempo in cui il cinema italiano non aveva nulla da invidiare a quello degli U.S.A.. Lo stesso discorso valeva anche per la musica e per la letteratura. Ma più di tutte le arti, è il cinema ad aver accusato i maggiori declassamenti, rispetto ai giorni nostri. Erano gli anni ’70 e si producevano migliaia di film l’anno. C’era lo “spaghetti-western”, il giallo e l’horror italiani, la commedia naturalmente, ma non ultimo, il “poliziottesco”, una sorta di noir, ma più violento e sboccato. Tra i protagonisti di questo genere ricordiamo i registi Carlo Lizzani e Enzo G. Castellari, e gli attori Tomas Milian, Maurizio Merli e Luc Merenda.
Il romanzo che vi presentiamo è di Marina Crescenti, autrice cresciuta proprio a pane e “poliziottesco”: Il branco uccide. Caccia al Drago Giallo. Un gruppo di criminali, chiamato Il Branco, deve affrontare un nuovo nemico, forse più spietato di loro: il misterioso Drago Giallo. Nel rispetto del genere, la storia è cruda, violenta e non lascia un attimo di respiro al lettore. Il “poliziottesco” è tornato in libreria e non hai scampo: devi leggerlo!

DAVIDE OTTINI

Se COSA LE TIENE SVEGLIE colpiva alla stomaco come un maglio, l’ultimo lavoro di Marina Crescenti , IL BRANCO UCCIDE – CACCIA AL DRAGO GIALLO, è un uppercut chirurgico alla mascella . E se nel primo caso è possibile restare in piedi, un preciso montante al visto ti mette ko tecnico. Matematico. Parola di ex pugile.
IL BRANCO UCCIDE è un romanzo che lascia il segno. Si incide nel profondo del tuo cervello e lì resta, vi lascia una traccia latente ma presente, come la cicatrice di una ferita che in realtà non si è mai rimarginata.
Marina Crescenti ci ha abituati a stranirci con ciò che, anche lei, ama definire la sua sindrome da Dr Jekyll e Mister Hide: come infatti una persona così dolce, gentile e pacata possa esprimere, nella sua eccellente prosa narrativa, una ferocia così realistica, così invasiva, così disturbante… beh, è un mistero anche per chi, come il sottoscritto, ha la fortuna di conoscerla di persona.
Ma con IL BRANCO UCCIDE, l’autrice supera sé stessa.
Attingendo appieno dalle radici della tradizione noir italiana (ah come si percepisce il profumo di tanta letteratura di Scerbanenco), Marina Crescenti ci catapulta, fin dalla prima pagina, in un vero e proprio incubo metropolitano ad occhi aperti, una sorta di giungla d’asfalto contemporanea, in cui lo Stato di Diritto cessa di esistere e la legge naturale dell’homo homini lupus, la legge del più forte, la legge della sopravvivenza, predomina su ogni cosa, determinandosi solo dalla volontà di prevaricare e prevalere sugli altri, il diritto di vivere o morire.
Come ogni noir che si rispetti, l’autrice racconta una storia criminale attraverso il punto di vista dei criminali che la vivono e la raccontano. Attraverso le gesta, una epopea di iniziative fuorilegge che più non si potrebbe, ma soprattutto attraverso le proprie riflessioni e le proprie parole.
E ciò fai si che il più grande talento stilistico di Marina, a mio parere la capacità di descrivere la realtà raccontata attraverso i dialoghi dei personaggi, si esalti in una narrativa incalzante, dal ritmo frenetico e sincopato, figlio di una profonda cultura e passione cinematografica (che Marina non ha mai negato ed anzi ha sublimato nella sua bellissima biografia di Luc Merenda, attore feticcio del glorioso noir e poliziesco italiano degli anni 60-70), una sorta di montaggio alla Katherine Bigelow in Point break (celebre editing dove nell’intero film non c’era una singola inquadratura che durasse più di un secondo).
Uno stile che fa “viaggiare” la storia a velocità supersonica, ma che non azzera minimamente la possibilità di veicolare comunque, con la dovuta pregnanza, contenuti forti e di “presa”, anche di introspezione psicologica: perché al di là della ovvia riflessione sociologica sulla natura del branco e dei branchi che sempre più spesso imperversano nella cronaca nera di questo Paese (e non solo), Marina Crescenti mette in campo una specie di filosofia nichilista che trasforma queste persone, che avevano, in passato, una loro umanità, in vere e proprie entità del male, ibridi umano-alien(ati) che cessano di essere “esseri umani” perché a loro volta vittime inermi di abusi e disordini, prima di diventare essi stessi dei feroci carnefici. Il che non vuole essere una giustificazione, ovviamente, ma una presa d’atto oggettiva per cui il Male non è un qualcosa di esterno, non ha nulla a che vedere con la mitologia religiosa, ma è spesso il frutto (avvelenato) di azioni umane, di “semplici” comportamenti (deviati), in un tragico percorso di vita in cui cattiveria chiama cattiveria, dolore chiama dolore, violenza chiama violenza (l’ultra violenza di kubrickiana memoria appalesata mirabilmente in Arancia Meccanica).
Ed il romanzo è una spirale di immagini truci, psicopatologie, anime distorte e deviate che consente una trasversalità tra i generi, con vere e proprie incursioni nello splatter e nell’horror, ma anche nel giallo e nel poliziesco.
Oscar, Enrico, Genziano e Rebecca (si, il branco non fa distinzioni di genere) e poi, in un secondo tempo, Giuliano, sono un microcosmo a sé stante, di violenza, sesso e droga. Un universo mondo che vive al di fuori delle leggi della società civile per imporre la propria, la legge del branco.
Ma anche un branco di fuori legge ha le sue regole, il suo codice di condotta e gerarchico, la sua etica. Criminale, ovvio, ma pur sempre etica. E tra un capo che vive una sua personalissima deontologia “professionale” ed animalesca (il capobranco protegge sempre gli altri componenti, questa è una legge universale, in natura), il “delfino” pronto a succedergli che veste i panni di una fedeltà ambigua e insidiosa, un donna che, come da sempre accade da che mondo è mondo, diventa il terreno di singolar tenzone tra i due galli del pollaio ed infine il riservato e timido (ma non per questo meno letale) brutto anatroccolo, Marina Crescenti ci conduce in una lenta e progressiva, inarrestabile, corrosione di rapporti e relazioni interne al gruppo, che l’abisso inghiotte anche chi ha aperto le porte del maelstrom, conseguenze dirette di un’emozione mai provata prima: la paura. Un sentire comune ai quattro, un vero viaggio parallelo con la novità di vivere, per la prima volta, i panni delle prede.
Si, perché come in ogni savana o giungla che si rispetti, anche in questo caso chi ha sempre depredato si ritrova, come mai successo prima, improvvisamente cacciato, inseguito, minacciato: la catena alimentare si sposta ad un livello superiore, quello dove i lupi devono inchinarsi alla potenza e ferocia del drago.
E così ecco che tutto si snoda attraverso la disperata rincorsa verso il tempo, ovvero un tempo di ansia, mistero e angoscia, un tempo in cui il Drago Giallo decide di distruggere il branco, eliminandoli uno per uno.
Ed in una apoteosi di agguati, indagini sui generis, morti ammazzati, faide, scontri a fuoco, violenze, omicidi e torture, ed un incessante lavoro di introspezione psicologica a descrivere la caduta sempre più rapida nei profondi degli abissi di queste (non) anime (bello anche il tema del tradimento, della fiducia violata, dell’in–verità-vi-dico-qualcuno-tra-di-voi-mi-tradirà…), il romanzo trasmuta per l’ennesima volta, virando verso il giallo suspense più classico, quello cioè in cui si deve capire di chi sia <<la mano guantata di nero>>, quello in cui l’autrice ha disseminato, nel corpus narrativus, l’indizio rivelatore che, solo alla fine, consentirà di dipanare l’intera matassa, svelando un clamoroso colpo di scena.
E si scoprirà chi è il traditore.
E si scoprirà chi è “l’assassino” degli assassini.
Si scoprirà chi e’ il Drago Giallo.
In un finale non consolatorio né buonista in cui nell’eterna lotta fra Male e (piu’) Male non ci sono né vinti né vincitori.
Se, come ci ricorda Marina Crescenti nella dedica scritta ad inizio libro (ma lei lo ripete ad ogni presentazione), questa storia nasce da un appassionato input (carico di stima) di un grande e notissimo autore noir-thriller italiano, beh possiamo affermare con certezza che, da lassù, il grande Sergio Altieri non potrà che sorridere compiaciuto e soddisfatto, chiusa l’ultima pagina de IL BRANCO UCCIDE – CACCIA AL DRAGO GIALLO.