Qualcosa di umano, niente di umano.

Le fotografie di Edoardo “Edo” Ferraro sono frutto di risultati piuttosto recenti, anche se gli esiti della sua ricerca hanno sicuramente dei prodromi in periodi più lontani. La sua produzione si basa sulla realizzazione di scatti stranianti, impostati sull’isolamento e il sovradimensionamento di particolari che rendono talvolta indefinibile la realtà dalla quale sono estrapolate. Per questo, molto spesso, l’esito conclusivo delle immagini di Ferraro è quasi pittorico, principalmente quando propone tematiche collegate tra loro che però al pubblico appaiono come esperienze visive distinte.
I soggetti che predilige emergono da contesti industriali o urbani, in luoghi dedicati allo svago o al commercio, come distributori di benzina e parchi. Attraverso le sue scelte l’autore ci colloca a contatto con il soggetto immortalato, evitandoci però di far parte dell’eventuale azione evocata e limitando il nostro intervento a quello di osservatori distaccati e critici. A noi non è chiesto di interpretare l’esperienza di un luogo o di un oggetto, ciò che ricaviamo è qualcosa che ci mette in contatto con possibili situazioni governate da forze impercepibili. Ferraro inoltre evita quasi totalmente la rappresentazione di figure umane anche se esse sono evocate dalla situazione proposta: le figure umane si trovano sempre in un possibile al di là che è precluso alla nostra vista.
Nella loro nitidezza “disumanizzata” queste opere danno una sensazione di onniscienza: vediamo la scena come un tutt’uno, anche se sappiamo benissimo che si tratta solo di una piccola parte di questo tutto, quasi come se stessimo ascoltando l’assolo di uno strumento all’interno di una grande orchestra. Questo sentore si concretizza specialmente in quelle foto che ci conducono straordinariamente vicino al soggetto, di fronte a quei particolari ingigantiti che ci riportano verso una disorientante monumentale spazialità
bidimensionale. A questo punto comprendiamo perfettamente che l’idea che il fotografo ha della fotografia è a prescindere dal ruolo che l’occhio ha nella selezione del soggetto o nell’anticipare l’analisi che di esso fa lo spettatore, si tratta di un’esplicita affermazione di stile testuale, assolutamente neutrale e oggettivante, un testo interpretativo nel quale si esplicitano i modi in cui l’artista percepisce il mondo intorno a sé.
Carlo Pesce