Ho rallentato per fare più tardi.
Potendo avrei fermato il tempo
ma inesorabilmente ho dovuto.

***
Ho riflettuto fino a scervellarmi.
Volendo avrei trovato soluzioni
che non sono state realizzabili.

***
Ho capito ciò che non ho detto.
Aspettando gli affetti collaterali
sanassero ogni antica malattia.

***
Ho perso certezze e speranze.
Rapidamente sparivano così
anche desideri ed entusiasmi.

***
Ho cercato di sapere se guarivo.
Ascoltando bollettini eloquenti
mi aggiornavo circa il mio stato.

***
Ho smarrito tutte le coordinate.
Non più notizie di me né segni
e cartografie del tutto scolorite.

***
Il male è l’isolamento acustico.
Se le urla si alternano ai silenzi
puoi parlare da sola per salvarti.
Ti abitui persino, tanto che, poi
guarita devi riprendere da capo.
Ho letto una frase oggi, non mia.
Ho ripassato questo male antico
esattamente in contrapposizione.
 
“Più che guardare si aspetta…
[…]
Mi sono affrettato per non arrivare in ritardo alla mia attesa.”
 
 
Certo, alcune attese sono belle.
Neppure io ne perdo un secondo
e m’affanno affinché durino a lungo
poi passa tutto in una volata
e rientro nel mio ermo colle
aspettando ben più di una settimana
continuando ad ignorare fermamente
sabati, villaggi e villani.
Più che arresa sono in costante attesa.

15 maggio 2017

paola maggio 6