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Memoria sulla Conferenza “Architettura di Ignazio Gardella in Alessandria prima e dopo il secondo conflitto mondiale” tenuta dal prof. arch. Jacopo Gardella per l’inaugurazione della Sede dell’Ordine Ingegneri “Casa Ex Impiegati Borsalino”

ing. Gregorio Marafioti presidente dell’Ordine (2005-2009)

LINK introduttivo GARDELLA visto da Gardella

Anni ’30 – Abbandono della tradizione e avvento di una nuova architettura basata sulla fiducia nella ragione e sulla certezza del progresso universale.
Architettura razionalista in Alessandria

Parte Seconda: Dispensario Antitubercolare.

Racconta Ignazio Gardella che – conoscendo l’ostilità del fascismo verso i nuovi orientamenti “esterofili” (Le Corbusier e Bauhaus di Gropius) in architettura – aveva presentato il progetto del Dispensario con “disegni poco dettagliati”. Ma quando la costruzione era quasi terminata, le autorità sospesero i lavori avendo constatato che l’opera era ben diversa dal progetto autorizzato. Solo grazie all’autorevole intervento del senatore Teresio Borsalino l’edificio poté essere ultimato così come ideato da Gardella, ad eccezione della posizione asimmetrica dell’ingresso principale e della sala d’attesa comune che non potevano essere accettati. Il progetto di una struttura per malati di tubercolosi doveva infatti seguire specifiche indicazioni, tra cui la separazione dei sessi: a tale disposizione, qualche anno prima, Gardella si era attenuto nella progettazione della chiesetta del Sanatorio antitubercolare, a pianta rigorosamente simmetrica, provvista due distinti ingressi e due seminavate separate da una spessa muratura.

Per il Dispensario, Gardella aveva ideato l’ingresso principale asimmetrico in modo da realizzare una sala d’attesa comune, senza la divisione tra uomini e donne richiesta dalla normativa. Alla ripresa dei lavori furono imposte le due sale d’attesa distinte, l’adozione dell’impostazione planimetrica simmetrica e lo spostamento dell’ingresso principale al centro.
All’inizio degli anni ’90, nel corso degli interventi di restauro a lui affidati dall’Azienda ospedaliera, Gardella ripropose le forme originarie del progetto, con l’ingresso asimmetrico.

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Come nel Palazzo delle Poste, sul fronte principale dell’Ex Dispensario Antitubercolare (1938) i pilastri sono arretrati rispetto alla parete della facciata; e la facciata presenta una composizione di due lunghe finestre orizzontali sovrapposte, o finestre a nastro, che si sviluppano per tutta la lunghezza della facciata senza mai essere interrotte dallo spessore dei pilastri; mentre le due finestre sono separate da leggere pareti in vetrocemento.

Sul Fronte posteriore, “a differenza del Fronte principale (Veduta interna), i pilastri non sono arretrati, ma vengono mantenuti sul filo della facciata. Le finestre perciò, pur avendo una forma marcatamente orizzontale, non possono definirsi finestre a nastro, perché sono interrotte e separate dallo spessore dei pilastri. Le finestre tuttavia si estendono da un pilastro all’altro ed occupano l’intero intervallo fra i pilastri, detto anche luce; e ciò è possibile solo perché il loro architrave è in cemento armato e non in mattoni. Va notata la fila più bassa di finestre che illumina il piano seminterrato e che occupa tutte, senza eccezione, le distanze (“luci”) fra i pilastri: questo allineamento di finestre dà l’impressione di vedere l’edificio sollevato, quasi staccato da terra, come se fosse un grande parallelepipedo appoggiato soltanto su rari, sottili e piccoli piedi. Tutti gli effetti volumetrici e spaziali sopra descritti sono tipici di una nuova architettura, che può definirsi rivoluzionaria rispetto alle consuete forme della tradizione.”

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L’impiego in Italia delle strutture in calcestruzzo di cemento armato avviene nei primi decenni del novecento e si deve, soprattutto, alle conferenze tenute – alla Reale Accademia delle scienze e alla Scuola di applicazione per gl’ingegneri di Torino – dall’ing. Camillo Guidi che contribuì, in maniera rilevante, all’inserimento dello studio di questo nuovo materiale nei corsi di scienza delle costruzioni.

Jacopo Gardella rileva come “La maggiore novità tecnica consiste nell’uso del cemento armato sia nelle strutture portanti verticali, sia nelle strutture orizzontali. Il sostegno verticale in cemento armato, concentrato in punti distinti e separati, sostituisce il muro di mattoni pieni lineare e continuo; e permette di avere, tra un sostegno e l’altro, grandi aperture di facciata; o meglio lunghe aperture orizzontali di grande luce, sormontate da architravi in calcestruzzo e ferro; le stesse lunghe aperture orizzontali non sarebbe possibile aprirle in murature portanti di mattoni pieni, perché l’architrave o piattabanda in mattoni disposti ad arco, sopra le aperture di facciata, ha un limite di ampiezza, ossia di luce, che non può facilmente essere superato, e che di solito arriva al massimo alla larghezza di m. 1.50.”

“Un’altra importante novità tecnica dovuta alla comparsa di nuovi materiali edilizi”, continua Gardella, è la impermeabilizzazione della copertura, ottenuta non più con tegole sovrapposte, ma mediante tappeti di asfalto e cartone distesi su di una superficie piana. Il tetto piano diventa una caratteristica dell’architettura razionalista, quasi una cifra di riconoscimento; usata costantemente nei più noti edifici moderni costruiti in quel periodo ad Alessandria: Palazzo delle Poste, Dispensario Antitubercolare, Laboratorio di Igiene.

Insisto molto sugli effetti architettonici resi possibili dai materiali edili di nuova produzione e dalle innovazioni introdotte nella tecnica costruttiva, principalmente per due ragioni: anzitutto perché oggi questa vivace riunione è stata organizzata dall’Ordine degli Ingegneri, più preparato di quanto non siano gli architetti a cogliere gli aspetti tecnici della costruzione; ed in secondo luogo perché la grossa (e giustificatissima) accusa che gli architetti razionalisti facevano ai progettisti di scuola tradizionalista era proprio quella di non sapere sfruttare, dal punto di vista estetico, le rivoluzionarie possibilità formali che nel campo dell’edilizia venivano offerte dai nuovi materiali e dalle nuove tecniche costruttive.”

Le possibilità offerte al rinnovamento dell’architettura dall’impiego delle strutture in cemento armato – alle quali fa ripetutamente riferimento Jacopo Gardella – erano state evidenziate da Le Corbusier nell’opera “Vers une architecture” pubblicata nel 1923, nella quale il grande architetto teorizza – in “cinque punti” – le basi del nuovo modo di ideare lo spazio architettonico e di costruire con il calcestruzzo armato, e in particolare:

“la pianta libera”: resa possibile dalla struttura in calcestruzzo armato, che svincola dalla schiavitù delle murature portanti permettendo di costruire con grande flessibilità planimetrica;
“la facciata libera”: i pilastri, arretrati verso l’interno, consentono di creare facciate senza funzioni strutturali, costituite semplicemente da pareti coibentate trasparenti (vetrocemento) e da infissi;
“la finestra a nastro”: la facciata, senza più funzioni statiche, può essere occupata in tutta la sua lunghezza da una finestra, che crea una straordinaria illuminazione interna ed un diretto contatto con l’esterno.

In questo contesto, Le Corbusier elogia gli ingegneri, i quali “producevano edifici esteticamente validi e belli … in quanto non consideravano la casa come un pretesto per sperimentazioni ornamentali, bensì come un prodotto edilizio le cui caratteristiche vanno connesse strettamente, se non esclusivamente, alla soluzione di problemi funzionali e strutturali.”
Il pensiero non può che andare a Pier Luigi Nervi, del quale Le Corbusier scrisse: “Veder Nervi collocare uno scheletro di calcestruzzo in una struttura è una magnifica lezione. Non vi mette mai nulla di volgare. Che eleganza! Non si definisce architetto, ma è migliore di quasi tutti noi“.

In un’intervista del 1995 (Antonio Monestiroli – L’Architettura secondo Gardella) dice Ignazio Gardella:

Mi ricordo le famose illustrazioni del libro di Le Corbusier che mettono a confronto il lavoro degli Ingegneri e quello degli Architetti. Io mi sono laureato in ingegneria e non mi dispiace… la mia scelta di prendere la laurea in ingegneria, oltre che come ribellione alla tradizione familiare, era legate, diciamo, a una certa idea di modernità che dava più importanza alla parte tecnica del progetto rispetto a quella che una vota si diceva dell’ornato”.

Ma cosa può aver veramente spinto Ignazio Gardella a scegliere una formazione di tipo ingegneristico? Al di là dell’atto di ribellione nei confronti sia del padre che del nonno  appare poco plausibile che una scelta così importante possa essere stata determinata da una forma di protesta.

Lo stesso Ignazio Gardella, in occasione del convegno organizzato dall’Azienda ospedaliera –  che gli aveva affidato il restauro dell’ex Dispensario antitubercolare – ha dato su quella scelta un’altra motivazione.
Si era iscritto in ingegneria al Politecnico di Milano – in un periodo di forte rinnovamento dell’architettura connesso con l’impiego delle strutture in cemento armato – perché riteneva che l’ideazione e la realizzazione di una buona opera architettonica dovesse essere preceduta e supportata dalla conoscenza di tutti i problemi strutturali con essa connessi. Questa motivazione appare molto plausibile: la conoscenza approfondita dei problemi strutturali connessi con l’ideazione di un’opera architettonica poteva essere garantita solo dalla facoltà di ingegneria che, già in quel periodo, al Politecnico di Milano era molto prestigiosa, mentre la facoltà di architettura cominciava a muovere i primi passi.

Ignazio Gardella si è laureato in ingegneria civile al Politecnico di Milano nel 1928 e successivamente, nel 1949, in architettura allo IUAV di Venezia presso cui era stato chiamato per l’insegnamento di “Elementi costruttivi”. Per l’esercizio della professione è rimasto sempre iscritto all’Albo Ingegneri di Milano.
Dopo il 1949 ha firmato i suoi progetti come Ing. Arch. Ignazio Gardella.

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LINK  GARDELLA visto da Gardella – p. 4° A