a cura di Marina Vicario – disegno di Ferdinando Caputi

Buona lettura!

Chi è stato a Roma avrà visto, come parte integrante delle strade più turistiche, i cavalli trainanti piccole carrozze. Sono i cavalli delle ‘botticelle’ romane, costantemente sotto al sole estivo e costretti a turni estenuanti.
Lo spirito dei più romantici porta a considerare l’usanza come qualcosa da provare per un giro turistico altri invece, come Prof. Ferdinando Caputi, ne vede il lato più terribile.
Ispirato dai sentimenti più profondi, il professore, esprime il suo dolore scrivendo una poesia per gridarlo al mondo. Come ‘posseduto’ da quella atrocità riesce a donare voce a quegli splendidi cavalli, interpretando la loro sofferenza.



Il cavallo della “botticella”. (Roma 1982)

Prigioniero
fra due briglie,
prigioniero
fra due stanghe,
prigioniero
fra due sbarre,
nella sosta anche nel sonno:
è la mia vita
due parallele infinite
che si risolvono nella morte.
Per me lo spazio
è uno scenario angusto
fra i paraocchi;
tutto il mio essere
è martoriato dal tempo,
e il mio orologio
scandisce l’ora in moneta.

Invidio i purosangue,
muta agilissima
sulla pista del premio ingente;
il fiero stallone invidio
di statue equestri
che ha trotto chiuso,
collo inarcato,
regge l’eroe in armi,
vòlto ai redenti spazi.
Io sono l’antico servo frustato
marcio rancore rumino
con la biada del mio padrone.
Il sole mi cade sugli occhi
per diritto come un fendente,
amo l’ombra
che è tutt’una cosa
coi paraocchi.
Quando il vetturino
tra una corsa e l’altra
àncora la vettura,
egli fuma,
fuma dalle narici
il mio fiato amaro.
Ora raccolta intorno
alla sua poca luce
la sera si stempera in dolcezza.
Un ubriaco vacilla,
una coppia d’amanti
l’uno all’altro abbracciati,
lenti sciolti
nel loro bacio profondo;
un cane saltella sulle sue zampe nude.
Oh, come vorrei anch’io
girare con i piedi nudi
fuori dalle dure stanghe
e dalle inflessibili guide,
liberamente a zigzag,
farneticando come un ubriaco,
pur con la mia botticella
articolata ai fianchi,
che l’olio della mia pazienza
fa leggera ai mozzi,
e che quando torno con lei vuota io più non sento
come non sente il suo guscio la lumaca.
Strattone di redini,
schiocchi di frusta:
smetto di sognare e si parte.

Su su bestia da tiro,
groppa e gambe
da balzi e da impennate,
livellato al piccolo trotto
stretto tra le stanghe.
La gioia degli uomini,
ti ferisce di gioia e di colori?
e tu non ti voltare:
ciò che si fa si fa, si briga , si festeggia,
sul marciapiede
non è affar tuo.
nel mezzo le auto, il tram che ringhia,
sulle sconnesse rotaie.
Stridio di freni,
scoppi di scintille,
ruggiti di motori,
calpestio di uomini e di bestie;
il tassametro scatta,
ti si scaglia la frusta sulla groppa:
e tu non ti distrarre,
hai per questo il paraocchi.

prigioniero fra due briglie,
fra due stanghe,
fra due sbarre,
nella sosta e nel sonno:
la tua vita è due parallele infinite
che si risolvono nella morte.

(F.C.) All rights reserved.

 

Ferdinando Caputi nato in Calabria nel 1956 è dal 1960 Alessandrino d’adozione, dove si è formato scolasticamente fino alla maturità, per poi spostarsi a Genova per Laurearsi in Storia antica con indirizzo Archeologico nel 1983 e specializzarsi in Paletnologia nel 1985 con il Prof. Tinè. Nel 1991 l’incontro con Donald Johanson che lo portò lavorando con lui a prendere un Dottorato di ricerca in Paleoantropologia. Ha lavorato in 3/4 del pianeta e dal 1996 e Direttore del Centro Internazionale Studi e ricerche Etnografiche Italiano. Per passione ha scritto 3 libri di poesie e si diverte con tutte le tecniche del disegno e della pittura. Ha pubblicato una mezza dozzina di testi riguardanti le sue materie. Ed in pensione da questo anno si dedica alla divulgazione storico scientifica, tramite Conferenze pubbliche e lezioni nelle scuole. Da 50 anni raccoglie testi riguardanti le sue materie e non solo.