Alessandria: Ho incontrato Piero Milanese, noto scrittore alessandrino, in un elegante caffè sotto i portici della splendida Piazza Garibaldi. È una persona semplice, immediata e spontanea.

– Gli chiedo innanzitutto di raccontarci qualcosa della sua vita.

Risponde che è nato nel 1947 ad Alessandria. Lavorava come tecnico elettronico in aziende del gruppo FIAT su sistemi di automazione varia e componentistica per auto, dal 2002 è in pensione. Da sempre appassionato di letteratura, nel 1975 pubblica il romanzo «Il posto alla FIAT». Nel 1998 pubblica la raccolta di poesie dialettali «El cór an Piasa» (Il cuore in Piazza) cui seguono i premi letterari «Cesare Pavese» al Grinzane Cavour nel 2000, e due «Guido Gozzano» a Terzo d’Acqui nel 2001 e nel 2016, per altre sue raccolte inedite di versi. Nel 2012 collabora con l’Istituto per la Storia della Resistenza di Alessandria alla stesura dell’antologia «El lén-ni an Tani» (Le lune in Tanaro) del poeta Giovanni Rapetti. Altri suoi saggi sull’opera di questo poeta compaiono ne «Il canto di Orfeo» (Atti del convegno internazionale di Rocca Grimalda, 2012), e nel volume «Fame e abbondanza» (2017) patrocinato dall’IRCrES-CNR e dalla CRT.
Nel 2013 torna al romanzo con «Parola sospesa» cui seguono nel 2014 «Amamialfredo», nel 2015 «La scappatella», e nel 2016 «La violinista – Amore e guerra nella Repubblica Partigiana dell’Ossola», tutti pubblicati dalle edizioni «Araba Fenice» di Cuneo. Vive con la moglie a Fubine, nel Monferrato alessandrino.

– Veniamo all’attività di scrittore: domando quali sono i quattro romanzi che ha scritto e se hanno un filo conduttore.

Denominatore comune ai quattro romanzi è il rapporto tra l’individuo e la Storia, lo svolgersi delle vicende particolari dei personaggi intrecciate ad avvenimenti politici e sociali del periodo preso in esame.
Nei primi tre, Parola sospesa, Amamialfredo, La scappatella (la cosiddetta “trilogia degli anni ’60) sono appunto gli anni del boom economico, della contestazione, del terrorismo e dell’emancipazione femminile a fornire gli spunti per lo sviluppo delle trame.Il quarto, La violinista, rappresenta invece una riflessione sugli anni precedenti, non vissuti dall’autore, ma diretti ispiratori di quell’idealità, la Resistenza, cui direttamente o indirettamente fanno riferimento tutti i suoi lavori (in Parola sospesa emerge ad esempio, anche se in maniera acerba e indefinita, un’ipotesi di Unione Europea proprio nella love story di due giovani di nazionalità diversa).

Ciascuno dei quattro romanzi focalizza tuttavia alcune sue tematiche peculiari.
In Parola sospesa si parla degli ideali romantici di una generazione di giovani prossima a misurarsi con le problematiche del ’68, raffrontata al deludente clima politico dei primi anni ’90 (il romanzo è stato scritto con due tempi narrativi), anni in cui il protagonista ripercorre la memoria di quelle lontane vicende.
In Amamialfredo è invece il “lavoro” ad avere la simbolica parte del leone di tutta la storia, pur se lo sfondo appare quello degli anni bui del terrorismo, gli Anni di piombo, attraversati con drammatica leggerezza dai vari personaggi.
Più soft, anche se intimamente collegate allo spirito degli anni della contestazione, appaiono le vicende giallo-comico-erotiche de La scappatella. Scritto come una sorta di divertimento letterario, nel romanzo si vuole evidenziare, con ironica constatazione, il mutato rapporto tra i sessi a seguito dell’emancipazione sociale seguita agli anni del miracolo economico.
Oltre a una dichiarata adesione agli ideali della Resistenza (presente per altro anche nei precedenti lavori) ne La violinista si vuole rivolgere un doveroso omaggio a una terra, l’Ossola, e ad alcuni personaggi realmente vissuti, le suore, a lui partcolmente  care.

– Parliamo del primo romanzo: “La parola sospesa ” . Qual è questa parola?

“Nella bolla irreale di pensiero involontario” è l’incipit del romanzo Parola sospesa, che incomincia con un sogno e finisce con “quella morte blanda o morte inversa “che si prova alle volte, al risveglio, con la fine di quel sogno ed il rientro nella realtà. La storia narrata si svolge quasi interamente a Trontano, un “annoiato e tranquillo paese all’imbocco della Val Vigezzo” dove il protagonista alessandrino Guido Arnaldi passa l’estate più importante della sua spensierata giovinezza. Qui lui vive il suo primo tenero e intenso rapporto sentimentale con una ragazza francese, e si cimenta con la sua prima scalata del monte Tignolino, due eventi paralleli che gli segneranno la vita, quella reale ma soprattutto quella relegata nel mondo ,la voce narrante segue il personaggio principale, ormai adulto, nel suo ritorno in questi luoghi; ritorno, casuale o voluto, che rimanda alla mente i fatti avvenuti tanti anni prima ed ai quali il protagonista cerca con l’occasione di dare un degno finale.
Nel frattempo, nel corso della vita di Guido, altre passioni, avventure, altri luoghi e altri sogni si sono succeduti; sogni personali e ideali collettivi, come quelli appartenenti alla sua generazione (i sessantottini), che fanno, però, solo da sfondo alla trama principale.
La “parola sospesa” che dà il titolo al libro è una parola mai pronunciata e per questo mai resa reale, relegata anch’essa in una “bolla di irrealtà” estranea alla quotidianità del protagonista, come la vetta di un monte che si può, sì, raggiungere o intravedere, ma sulla quale non è possibile fermarsi se non per il breve tempo necessario a piantare una bandierina e a dare uno sguardo dall’alto, nubi permettendo, al paesaggio sottostante.
L’incontro con una lontana amica, negato nell’inquietante ripetersi di un sogno, induce il protagonista a volerlo rivivere nella realtà della veglia. Approfittando di una serie di circostanze fortuite, Guido Arnaldi ha la possibilità di tornare a Trontano, luogo reale oltreché suo abituale scenario onirico, per tentare di ristabilire la situazione propizia al riattuarsi di tale evento.
Già nelle iniziali fasi del viaggio di avvicinamento e dell’arrivo in paese, il dover confrontare l’aspetto apparente degli ambienti visti al presente con le immagini conservate nella memoria si complica grazie all’effetto distorcente dei ricordi e al crescere di uno stato di ansia che l’accompagnerà per tutto lo svolgersi della trama.
Pur muovendosi in uno spazio reale del tutto simile a quello onirico, Guido deve misurarsi con la rappresentazione di una realtà ancora più complessa e imprevedibile. Come nei sogni, nulla avviene secondo le intenzioni e nulla risulta definibile con precisione. La casa dove un tempo era solita soggiornare la Sfuggente Protagonista (e dove lui si reca iniziandone la ricerca) è passata ad altri proprietari. Eppure qualcosa di lei, un’impronta o un fantasma, è comunque rimasto tra quelle mura, materializzato nelle sembianze di una giovane ragazza che in qualche modo ne reinterpreta l’antico ruolo, suscitandogli uno stato d’animo in bilico tra lo sconcerto e la commozione.
Quasi a voler prendersi gioco di lui, Vivienne continua a risultare irreperibile anche nei successivi inutili tentativi di contattarla telefonicamente o di farle visita al suo nuovo reale domicilio. La sua presenza viene tuttavia confermata da due comuni amici, incontrati occasionalmente, che ne attualizzano l’immagine raccontando vicende della donna a lui del tutto sconosciute.
Uno di questi, Gerard, il cugino di lei, oltre ad annunciargli il suo imminente ritorno in paese, si offre come tramite per facilitare il loro incontro.
Sulla scena è inoltre presente un terzo personaggio, immobile e immutabile, simbolico punto di riferimento verso cui potrebbero tendere i percorsi dei due protagonisti, altrimenti destinati a rimanere rette parallele. Il Pizzo Tignolino si configura però come montagna di struttura complessa, culminante in due differenti cime, quasi a simboleggiare l’impossibilità di tale convergenza. Quando Vivienne, saputo del suo ritorno, si appresta a rivederlo scendendo a cercarlo nella locanda dove lui soggiorna, Guido, per una sorta di anacronistica ripicca, si allontana dal paese rendendo di fatto inattuabile l’evento così a lungo ricercato.

– “Amami Alfredo ” è invece il romanzo più politico. Chiedo quali tema affronta .

Ci spiega che è un omaggio che intende dedicare all’Italia degli anni ’70, ai suoi sogni, alla tragedia del terrorismo, alla tanto amata Torino, alla lotta di classe, il cui simbolo è la vicenda della Fiat, conclusasi con una cocente sconfitta operaia.
Si intrecciano l’attività sindacale del protagonista e l’amore (coraggioso e struggente come tutti ri amori ) per la bella Irina. Della cui vita privata poco si sa, tranne che nasconde un segreto ed ama il suo uomo.
A questa vicenda, s’attaglia pienamente lo slogan femminista che “ il privato è politico “, perché il protagonista, sin dal momento in cui resta folgorato dalla bellezza e dalla magia di Irina, è anche compartecipe di momenti fondamentali della vita politica e sociale dell’Italia della fine degli anni settanta.
Magici anni, delle più grandi lotte operaie dell’Italia del dopoguerra, di Berlinguer ai cancelli della Fiat, di sogni di un mondo migliore e di coerenza quotidiana.
Coerenza dimessa e inflessibile, come quella di Alfredo, che rinuncia ad una bella carriera all’interno dell’azienda in cui lavora, per fare il rappresentante sindacale di fabbrica., che partecipa a tutte le assemblee sindacali e agli scioperi. E segue, con crescente disgusto e orrore, l’escalation degli atti di terrorismo.
E infine Torino. La bella, misteriosa Torino, le cui ampie vie, le magnifiche piazze, gli angoli segreti, escono precisi e suggestivi dalle pagine del romanzo.
Questo è quindi anche il romanzo dei luoghi.
Ma sopratutto Amamialfredo è un romanzo d’amore.
Di un grande, esclusivo, totalizzante amore, che sa vincere ogni ostacolo, compresi i più difficili: quelli ideologici.
Ed ecco che tra il giovane comunista sostanzialmente deluso e la bella terrorista, si dipana un rapporto di passione, contrasto e condivisione.
Mentre nelle fabbriche torinesi si accendono come fuochi fatui le ultime fiammate di lotta di un ormai lontano Autunno Caldo, la giovane studentessa impatta in circostanze rischiose dove è costretta a richiedere l’aiuto dell’amico. La ritrovata solidarietà tra i due, dopo mesi di travagliate incomprensioni, consente all’amore di prendere il sopravvento, e solo un’assurda fatalità metterà fine al loro intenso rapporto.

– Parliamo di “La scappatella ” che conclude la trilogia dedicata al Sessantotto .

Questo romanzo conclude la trilogia dedicata al “Sessantotto” inteso nel senso ampio di arco temporale che va dalla metà degli “Anni Sessanta” (boom economico) alla fine degli “Anni Settanta” (terrorismo e crisi del movimento operaio).
Ancor più che in Parola sospesa e in Amamialfredo, ci troviamo ancora una volta di fronte alla narrazione di una vicenda sentimentale, dove l’intromissione di un terzo incomodo, l’amante o presunto tale, viene utilizzata per mettere in evidenza gli avvenuti irreversibili mutamenti nel rapporto di coppia seguiti al boom industriale, allo spirito libertario (e libertino) della contestazione sessantottina, e soprattutto alle spinte di un rinato femminismo in voga in quegli anni.
Sono senza dubbio dirette conseguenze delle battaglie del movimento femminista, e possono perciò essere annoverate come sue conquiste, l’elaborazione e l’approvazione di leggi molto avanzate , con cui si arriverà progressivamente ad annullare la storica e atavica disparità giuridica tra i sessi.
In questo clima di istanze libertarie e rinnovamento sociale, la protagonista del romanzo, Beatrice, decide di concedersi un’avventura extraconiugale alla luce del sole, dichiarndone preventivamente l’intenzione al marito Filippo, e strappandone il consenso anche in nome dell’egualitarismo e del riconoscimento della libertà individuale da lui propugnata in quegli anni.
Come in Parola sospesa, anche questa volta l’autore utilizza due tempi narrativi, un presente di ripensamento, e un passato di svolgimento-vicenda, per sviluppare una struttura di racconto circolare, in un intrecciarsi di rimandi e vicissitudini dove alla fine non si arriva a capo di nulla. La storia vuole soprattutto porre in evidenza le contraddizioni del comportamento maschile nell’accettare un’effettiva parità dei sessi, contrapposta alla necessità femminile di snaturarsi per equipararsi al maschio, e assurgere per tanto a tali diritti.
Contraddizioni in massima parte irrisolte, ed esasperate nel corso dei decenni fino alle recenti terribili conte di donne ammazzate, drammaticamente crescenti in questo inizio millennio.

-Infine abbiamo ” La violinista “. Vediamo l’argomento di questo ultimo romanzo.

Milanese prosegue in questo romanzo la riflessione sul Novecento spostando l’attenzione su uno dei periodi più drammatici del nostro recente passato,la Guerra di Liberazione o Resistenza, da lui ritenuto evento formativo fondamentale, pur se non direttamente vissuto, per quelli della sua generazione.
L’esperienza delle Repubbliche Partigiane sorte nell’Italia del Nord durante l’estateautunno del 1944, da cui il libro trae spunto, suscitò speranze (e illusioni) per una fine del conflitto ritenuta prossima tanto dai combattenti delle montagne quanto dalla popolazione stremata da quattro lunghi anni di guerra. Nell’Ossola appena liberata, Nevio, un partigiano ferito, viene lasciato dai compagni alle cure delle suore di un piccolo borgo sui monti dell’alto Verbano. Alle religiose e al medico del paese, il ragazzo racconta le proprie vicissitudini di combattente. A loro confida inoltre la pena dovuta al mancato incontro con Orsola, una musicista cannobiese di cui è innamorato, non più rivista dall’estate ’43 a seguito dei tragici fatti avvenuti in quei mesi (caduta di Mussolini e armistizio dell’8 settembre).
Sullo sfondo delle gloriose giornate della Repubblica Partigiana dell’Ossola, Nevio potrà poi ritrovare la ragazza, e rivivere il tenero rapporto di adolescenti mutato nel grande amore di due adulti, maturati in fretta grazie alle terribili esperienze della guerra Il libro evidenzia l’apporto di solidarietà e aiuto forniti alla causa dei combattenti dalla cosiddetta Resistenza disarmata, quell’insieme di centinaia di migliaia di persone inermi (operai, contadini, donne, vecchi, bambini, preti e suore) la cui collaborazione risultò fondamentale per lo sviluppo e il successo della lotta di liberazione.

– Concludiamo chiedendo di parlarci della sua grande passione per l’astronomia.

“Ho iniziato a praticare l’astronomia osservativa poco prima dei 40 anni, dopo aver trascorso un anno a studiare come è fatto il cielo, e come funziona (e cosa si può vedere) con un telescopio amatoriale. Eravamo a fine anni 80, e a quel tempo le osservazioni si facevano in visuale (con l’occhio all’oculare del telescopio) disegnando con carta e matita ciò che si riusciva a vedere.
Allora ero “bravino”, e alcuni miei lavori erano stati pubblicati su alcune riviste del settore.
Gli astrofili davvero bravi fotografavano il cielo “in chimico” con pose lunghissime e successive sedute di ritocco in camera oscura: io non ho mai avuto quel materiale e quella pazienza.
La “rivoluzione elettronica” ha modificato radicalmente anche il modo di osservare il cielo, e all’inizio pure io mi ero adeguato alle nuove tendenze acquistando una apposita telecamera (entry level) e cercando di districarmi coi vari software applicativi.
Poi i soliti problemi familiari, malattie e decessi dei genitori miei e di mia moglie, mi aveavano allontanato da questo hobby che continuavo a praticare in modo passivo, limitandomi a leggere e a interessarmi dell’argomento.
Da qualche anno, grazie ad alcune buone occasioni di acquisto (il materiale astronomico costa molto caro) ho ripreso le ossevazioni secondo le attuali modalità.
In pratica trascorro le serate alla consolle del notebook, cui è collegata una telecamera (un CCD)
“infilata”nel telescopio al posto dell’oculare dentro cui si guarderebbe con l’occhio.
In aggiunta si utilizza una pulsantiera che comanda un microprocessore collocato nella montatura del telescopio, e che permette di puntare automaticamente qualunque oggetto celeste visibile in cielo, come pianeti, galassie, stelle, nebulose ecc. (ne ha in memoria più di 40 mila).
I risultati sono molto più soddisfacenti di quelli ottenibili con l’osservazione visuale (l’occhio elettronico è molto più potente e preciso dell’occhio umano), ma si perde la poesia e l’emozione della visione diretta del cielo. Inoltre è fondamentale l’impiego di svariati tipi di software, e tu sai che questo è un argomento con cui non ho mai avuto molta dimestichezza.
Per la stragrande maggioranza delle persone non addentro a simili temi le mie foto possono sembrare “belle”, e ti ringrazio per gli amichevoli apprezzamenti. Ti assicuro però che ci sono moltissimi altri astrofili in grado di produrre risultati notevolmente migliori dei miei. Io rimango sempre un “pasticcione”, e neppure ho troppa accuratezza e pazienza in un campo come questo dove invece ce ne vorrebbe tantissima. Però mi diverto, più che a guardare la televisione, e questo mi basta”

– Anche in questa ultima risposta , trascritta volutamente riportando le sue parole, traspare la passione e l’ intelligenza che Milanese mette in tutto ciò di cui si occupa, col desiderio di un approfondimento delle informazioni, in un discorso che non appare mai superficiale o essenziale. Anche il linguaggio dei romanzi è sempre estremamente curato, con lessico e forma appropriati. Una ricerca di comunicazione completa e di bellezza. Mi saluta con un sorriso e ritorna alle sue passioni.