Chi è stato Enrico Foà, di Giuliana Callegari

https://appuntialessandrini.wordpress.com

Alessandria: [La recente, bella notizia della chiusura per un anno della Sinagoga di via Milano per procedere finalmente a un suo ulteriore e più radicale restauro, e l’esperienza concomitante della redazione di una scheda a lui dedicata per l’imminente pubblicazione di Città Futura sugli 850 anni di Alessandria, mi hanno riportato alla mente questo articolo che Giuliana scrisse per l’allora mensile alessandrino La Città (marzo 1996). Era stato poi ripubblicato a introduzione degli Scritti di Enrico – Istituto Gramsci/Gruppo Cinema Alessandria, stesso anno – e di nuovo nella raccolta postuma dei testi di Giuliana: Cinema addio. Pagine ritornate 1975-1997, Falsopiano, Alessandria 2006. (Nuccio Lodato)].

teatro-comunale.jpg 

La luce che emana
dalle opere di una persona
entra direttamente nel mondo,
e vi rimane
anche dopo la sua morte.

Che sia grande o piccola,
transitoria o durevole,
dipende da come va il mondo
e dalle circostanze.

Ma la luce che si diffonde
dalla vita di una persona
– parole dette, gesti, amicizie –
sopravvive soltanto nei ricordi.

Per poter entrare nel mondo
deve trovare una nuova forma:
dev’essere registrata
e trasmessa.

(Elisabeth Young-Brühl,
Hannah Arendt
1906-1975.
Per amore del mondo)

 

Nella sua vita, Enrico Foà scrisse molto: quasi sempre senza firmarsi. Erano in genere sua la prima e l’ultima delle mani che si succedevano a stilare un documento, preparare una relazione, stendere un articolo, predisporre un comunicato. Spesso erano anzi le uniche, dopo tentativi preliminari, non di rado infruttuosi, di affidare ad altri collaboratori, solitamente più giovani, tali oneri.

E questo dagli anni Cinquanta agli Ottanta compresi: nel circolo “Carlo Cattaneo” e in quello del Cinema; nell’originario “De Sanctis” (dal settembre 1956), e poi nel Gruppo che assunse, in chiave di continuità, lo stesso nome dal ’75; nella Commissione Teatro del Comune, che condusse al primo Statuto della municipalizzata A.T.A. dal ’76, e in quelle successive e ultime, che accompagnarono i primi anni di vita del Comunale già attivo; infine, in pratica, per tutto l’ultimo decennio, nella prima sezione alessandrina, da lui fondata nel 1980, del Tribunale per i Diritti del Malato.

Un’attività assolutamente non sbandierata: anzi, riservatissima, ai limiti dell’occulto, come tutti i contributi di Enrico. Ma che produsse, nel tempo, una molte di testi e documenti editi e inediti piuttosto imponente, dall’estensore via via organizzata, con la metodica precisione che gli era peculiare, nell’ordine di un archivio privato. Negli anni più recenti, però, in ragione di qualche nuovo punto di vista sopravvenuto, che non ci sarà dato conoscere, o forse per la piega generale già poco incoraggiante, che gli avvenimenti stavano prendendo, in città come altrove, Enrico dovette probabilmente dedicarsi a un lavoro opposto. Chi abbia infatti oggi l’emozione di percorrere le superstiti cartelle custodite nei suoi scaffali, s’imbatte, al loro interno, in fogli i cui salti di numerazione progressiva attestano una successiva attività di alleggerimento e selezione, se non di vera e propria eliminazione tendente a sistematizzarsi, di molta parte di quel patrimonio.

Non si trattò certo di una precauzione volta a prevenire futuri tentativi di raccogliere e riordinare quei testi in vista di una pubblicazione: lui non avrebbe accondisceso a ipotizzare neppure per un istante, persino a quel livello di surreale sarcasmo che gli riusciva, quando era il caso, alla perfezione, un’idea simile; e sarebbe certo stato disposto a inseguire vita natural durante chi avesse ardito imprudentemente, anche solo tra sé, abbozzarla.

Ad altri, naturalmente, piuttosto che non a se stesso, si riferiva invitando a raccogliere, organizzare e pubblicare i testi della vita culturale alessandrina del dopoguerra, parlando – dieci anni fa –  del trentennale del Circolo del Cinema.

Invece proprio da questa raccolta, che partita da un astratto progetto di antologia si è, strada facendo, per così dire “fatta da sola”, perché ospita i principali testi sopravvissuti a quella scrematura d’autore, esce con molta evidenza la necessità che essi ritornassero, e tutti insieme, in circolazione: quasi prima pietra dell’edificio documentario-retrospettivo da lui disegnato.

Non soltanto perché ne emergono, a grandi linee, venticinque anni (1962-1987) di vicende tanto culturali che socio-politiche, alessandrine e non solo, sempre affrontate da un’ottica che è oggettivamente, per sua natura, probabilmente senza mai averne avuto l’obiettivo, protagonistica. E neppure per la straordinaria articolazione di tastiera che testimoniano, grazie a innata capacità di passare, con una sicurezza così salda da divenire invisibile, attraverso tematiche percettibili magari contigue, ma in sé certo profondamente articolate e differenti.

Quanto forse, o soprattutto, per il parziale e pur determinante risarcimento postumo che la loro lettura può costituire, particolarmente per quanti, a motivo dell’anagrafe o del caso, non abbiano mai avuto l’occasione di poter ascoltare l’autentico e decisivo Enrico Foà, che era quello parlato. Un uomo capace sempre di sintetizzare e suggellare con argomentazioni tanto coerenti quanto inattaccabili qualunque discussione, pubblica o privata, per complessa e impegnativa che fosse. Senza mai farlo pesare.