guardava e scriveva versi…
…guardava e scattava foto.

“Sola come la prima anima della terra/ portata avanti dal quel vento/ che non è neppur vento/ che è come il tremito leggero del silenzio(…)”

Antonia Pozzi, una donna che aveva scelto la libertà, e ne ha pagato un prezzo molto alto, ha vissuto, amato con tutta se stessa e sofferto.

Osteggiata, dalla sua famiglia benestante, ben pensante, autoritaria, ha amato intensamente il suo professore di liceo Antonio Maria Cervi, troppo grande, troppo rumoroso, e ha dovuto rinunciarvi per abbandono nel 1933. La relazione d’amore venne interrotta proprio dal professor Cervi.

Ha sofferto per la mancata comprensione della sua poesia: il suo talento fu incompreso persino dalla cerchia di intellettuali colti di cui faceva parte parte il suo professore all’Università, il filosofo Antonio Banfi. I suoi versi venivano considerati troppo sentimentali, troppo femminili.

“o lasciate che io sia una cosa di nessuno/ per queste vecchie strade in cui la sera affonda / O lasciate ch’io mi perda / ombra nell’ombra / gli occhi / due coppe alzate / verso l’ultima luce / (…)

Antonia Pozzi, nasce a Milano il 13 Febbraio 1912 in una famiglia facoltosa, il padre è un noto avvocato milanese e la madre una contessa. Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Appassionata di montagna, alpinista e sciatrice socia del Cai di Milano, morirà suicida nei giorni in cui si stanno emanando le leggi razziali, il 3 Dicembre 1938.

“ E poi – se accadrà ch’io me ne vada / resterà qualcosa / di me / nel mio mondo / resterà un’esile scìa di silenzio in mezzo alle voci / un tenue fiato di bianco / in cuore all’azzurro /(…)”

La fragilità della sua anima, il superamento dei limiti prescritti per il suo ruolo femminile si trasformeranno presto in un fardello troppo pesante con cui convivere.

“Esita l’ultima luce / fra le dita congiunte dei pioppi / l’ombra trema di freddo e d’attesa / dentro di noi / e lenta muove intorno le braccia / per farci più soli / (…)”

Antonia, cercherà di esprimere con le parole l’autenticità dell’esistenza, non trovando verità nella propria. 
“.. Così dolce è sentirsi / una piccola ombra / in riva alla luce / così dolce serrarsi / contro il cuore e il silenzio / come la vita più fonda / (…)”

Il 15 settembre 1938, pochi mesi prima del suicidio, scrive all’amica Elvira Gandini: “Perché e così: prima si sbaglia, ci si perde, ci si arrampica per astratte impalcature intellettuali, finché la vita un bel giorno comincia, coi suoi gesti leggeri e sapienti, a richiamarci a lei”

A soli ventisei anni si toglie la vita. Nel suo biglietto di addio ai genitori scrive di “disperazione mortale”. Si uccide mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante l’abbazia di Chiaravalle. La famiglia negherà la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento viene distrutto dal padre, che manipola anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.

Antonia aveva una figura leggera, delicatamente affascinante che nascondeva una enorme profondità e racchiudeva dentro un corpo palpitante di vita, un mondo complesso e in grande fermento. Donna che gioiva della bellezza della natura e della purezza della montagna, amava mostrarsi appena e dava l’idea che avesse paura di svelarsi totalmente, preferendo parlare sottovoce: attraverso le sue poesie e le sue fotografie.

Così scriveva Antonia, al suo amico e compagno di studi Dino Formaggio non molto tempo prima di togliersi la vita:

“Caro Dino, l’altro giorno hai detto che nelle fotografie si vede la mia anima: e allora eccotele. Perchè l’unico fratello della mia anima sei tu e tutte le cose che mi son state più care le voglio lasciare in eredità a te, ora che la mia anima si avvia per una strada dove le occorre appannarsi, mascherarsi, amputarsi [… ] che tu almeno possa foggiare la tua vita come io sognavo che divenisse la mia: tutta nutrita dal di dentro e senza schiavitù. In ciascuna di queste immagini vedi ripetuto questo augurio, questa certezza”

© Antonia Pozzi / Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti”

Le fotografie raccolte in album fotografici sono libri di memorie, diari intimi nei quali si avverte l’attaccamento alla vita e il desiderio di cogliere la ricchezza simbolica e l’essenza profonda delle cose. Oltre 2800 del fondo Pozzi riportano commenti scritti di sua mano o brani scelti dalle sue poesie. 

© Antonia Pozzi / Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti”

“Giro solo con occhi curiosi. Quando trovo un’inquadratura che mi piace mi fermo, li chiudo; e fotografo quello che ho dentro.”

I suoi sguardi parlano di paesaggi naturali, di volti di bambini della periferia milanese, di montagne e di contadini dell’amata Valsassina ch’ella abitava d’estate, dove la sua famiglia possedeva una signorile dimora di villeggiatura .

Ecco quattro poesie tratte dalla raccolta “Parole”:


Tramonto corrucciato

Il sole

chino sul grembo della montagna con tensione
grifagna
sembra un occhio stupefatto d’arancione
cigliato
di raggi a lame vivide
sotto un sopracciglio corrucciato di nubi livide.


Amore di lontananza

Ricordo che, quand’ero nella casa della mia mamma, in mezzo
alla pianura,
avevo una finestra che guardava sui prati; in fondo, l’argine
boscoso nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c’era una striscia scura di colline. Io allora non avevo visto il
mare che una sol volta, ma ne
conservavo
un’aspra nostalgia da innamorata. Verso sera fissavo l’orizzonte;
socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia: e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.


Pace     ad A.M.C.

Ascolta:
come sono vicine le campane! Vedi: i pioppi, nel viale, si
protendono
per abbracciarne il suono. Ogni rintocco
è una carezza fonda, un vellutato manto di pace, sceso dalla
notte ad avvolger la casa e la mia vita. Ogni cosa, d’intorno, è
grande e ombrosa
come tutti i ricordi dell’infanzia. Dammi la mano: so quanto ha
doluto,
sotto i miei baci, la tua mano. Dammela.
Questa sera non m’ardono le labbra.
Camminiamo così: la strada è lunga.
Leggo per un gran tratto nel futuro come sul foglio che mi sta
dinanzi: poi, la visione cade bruscamente nel buio dell’ignoto,
come questa pagina bianca, che si rompe, netta, sul panno scuro
della scrivania. Ma vieni: camminiamo: anche l’ignoto
non mi spaventa, se ti son vicina. Tu mi fai buona e bianca come
un bimbo
che dice le preghiere e
s’addormenta.
( 3 luglio 1929)


Ninfee

Ninfee pallide lievi
coricate sul lago –
guanciale che una fata risvegliata
lasciò
sull’acqua verdeazzurra –

ninfee –
con le radici lunghe
perdute
nella profondità che trascolora –

anch’io non ho radici che leghino la mia vita – alla terra –

anch’io cresco dal fondo di un lago – colmo
di pianto.
(26 agosto 1933)


Ricerche dal web e poesie tratte dalla raccolta:”Parole” – ed.:ebook