All’oscuro dei voyeur di Angela Greco: prefazione di Franco Pappalardo La Rosa e alcune poesie

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“La poesia di questo All’oscuro dei voyeur di Angela Greco (YCP, 2019) presenta un forte nominalismo, che s’intrama (naturaliter si direbbe) nella mossa, a volte colloquiale, ma più spesso franta (come sospesa e subito dopo ripresa), tessitura dei versi.

Si tratta di un nominalismo, in cui i nomina delle cose si dispongono, nei segmenti versici, a grappoli, a catene pressoché continue di immagini, di metafore, di semina e “lampi” simbolici del pensiero e, costantemente esposti allo specchio concavo delle svariate forme dell’ironia – dalla giocosa all’irridente, dalla paradossale alla grottesca, alla sublime – sfocianti, talora, in zone di confine fra l’espressionistico e il surreale («Sotto il cappello sfuggono l’ansia dell’attesa e la finestra»; «Le diagonali tirate dalla luce affettano il sabato»), si organizzano a rappresentare un personalissimo microuniverso poetico.

Nel quale s’attesta la cognizione della solitudine, della distanza interpersonale («Sciolti i nodi / siamo tempeste in formazione in attesa della pioggia»), dell’inappartenenza («Non m’incontro più nemmeno allo specchio»), dell’assenza («Avrò notizie di me / tra qualche giorno. Oggi non mi riconosco»), dell’invano («si raccattano parole per imbrogliare l’attimo»): della prevalenza disperante, insomma, del Nulla che ci attanaglia e ci ottunde («Dietro le quinte è pieno di aghi spuntati dal Nulla»). Il tutto sorretto da un linguaggio poetico all’apparenza dimesso, sì, ma al contempo assai mobile, intriso di colori, di sfumature e di variationes ritmiche, musicali e figurali («è appena fiorita l’immagine della sera»): un linguaggio che, fra il visivo e il visionario, inanella immagini, figure, oggetti e istanze della mente, incastonandoli in un verso ipermetrico, a suo modo narrativo, e proiettandoli in una dimensione che pare collocarsi nello spazio atemporale del sogno (dove «Seduti scomodi sul secolo breve finito forse nel 1989 / intoniamo canti da raccolta di cotone per farne bende»).

Il ritmo e i tagli delle sequenze versiche, oltre tutto, immettono il lettore ex abrupto nel continuo flusso di testi poetici spesso non titolati (quasi frantumi di disintegrati poemetti), come a voler dimostrare che la poesia cerca e rinviene nella parola la coscienza della forma, la sorgente del desiderio e dell’ebbrezza inventiva, in una transizione di senso verso le radicali unità di pensiero e stupore, di testo e immagine, di presenza e confronto tragico con la frontiera dell’assoluto. Senza trascurare la sua precipua funzione di creare, proporre e rappresentare universi non solo paralleli, ma pure alternativi all’universo reale in cui ci troviamo inesorabilmente confitti («La poesia è insubordinazione, stazione viaria, azione, / passaggio in auto-stop verso una nuova galassia»).

Dotata, nel caso di specie, d’una robusta e perentoria vis assertiva («L’intonaco aspetta l’ultima mano; ritrovare la via / di casa nel dedalo degli accadimenti non è facile. / Ogni ritorno è un caso limite di sopravvivenza»), non chiusa, peraltro, ad attimi di delicato incanto («L’ultima anatra si rifaceva il trucco specchiandosi sul ghiaccio / appena formato: al di sotto della lastra, salutava per l’ultima volta / un pesce rosso dagli occhi languidi. Non mi ha detto dove / fosse diretta; ci siamo ritrovate, poco dopo, all’ufficio spaesamenti…»), essa sembra ingaggiare una specie di permanente sfida con la parola e con le infinite possibilità che la stessa offre di rappresentare le cose, l’esistenza, i rovelli del pensiero, il mondo, nel loro cangiante cromatismo d’immagini, nella plasticità dei movimenti e nella immobile fissità dall’abbandono, non trascurando di cercare, comunque, una plausibile via d’uscita dalla insensatezza della realtà e dell’essere.” (Prefazione di Franco Pappalardo La Rosa)

Il vecchio studio è un dipinto famoso:

l’archivio metallico rintocca a ogni ricerca

e il tarlo spezza le gambe. Il tavolo non regge più

la poltrona è orlata di buchi, la lampada intermittente.

Edward costruisce fondali e lame di luce nell’attesa.

Colori svenduti in questi giorni distopici.

«Non m’incontro più nemmeno allo specchio.

Sfuggo nel punto d’ombra dietro la solarità

e in pochi conoscono l’assenza che mi abita.

Il riflesso appanna i bicchieri buoni.

Appartengo ad altri luoghi, altre modalità,

all’estenuante ricerca, alla parola non ascoltata.»

«Continua a guardare nella direzione del vento,

forse è da lì che torneranno gli occhi lucidi

e i venditori di occhiali non potranno opporsi.»

C’è tempo per ritrovarsi. Adesso è un altro tempo;

lascia che incomba un silenzio di risurrezione.

 

Nel deserto aree di servizio lasciate alla polvere

fanno rifornimenti inutili di umanità fuori servizio.

Scivolano sui tetti le ambiguità della sera: non mi fido

di troppi sguardi, del rifugio del peccatore, della sedia

lasciata a guardia dell’ingresso principale alla controra.

Il vento di ponente intasa le tasche di sabbia.

Preme la voglia di arrendersi sempre più spesso,

di anestetizzare il gesto, di zittire il proseguimento

di questa impresa fallimentare, del disequilibrio tra

uscite ed entrate, del debito con l’insicurezza.

Luglio non ha colpe del silenzio che disanima il torace.

Una pioggia ìmpari di sete e controsensi annacqua quest’ora;

il canadair superstite sorvola disattenzioni premeditate,

mentre al largo combatte il mare. Dimenticati gli esiti

si raccattano parole per imbrogliare l’attimo.

Tornerò ad abitare agli esordi della pietra, graffiando

pareti future d’uomini e animali che si negano a vicenda.

Vagisce il distacco dall’appartenermi: metà agosto

ha infiammato tutto quello che rimane.

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Angela Greco è nata il primo maggio del ‘76 a Massafra (TA), dove vive con la famiglia. Ha pubblicato una raccolta in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008) e diversi titoli in poesia: A sensi congiunti (Ed.Smasher, 2012); Arabeschi incisi dal sole (Terra d’ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015); Anamòrfosi (Progetto Cultura, Roma, 2017); Correnti contrarie (Ed.Ensemble, Roma, 2017); Ora nuda, antologia 2010-2017 (Quaderni di RebStein LXVII. Settembre 2017); Ancora Barabba (Collezione Bocche Naufraghe, YCP, 2018). È ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (https://ilsassonellostagno.wordpress.com/). Commenti e note critiche sono reperibili all’indirizzo https://angelagreco76.wordpress.com/.