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D’un alto monte onde si scorge il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.

Ma la mia avversa e dispietata stella
non vuol ch’alcun conforto possa entrare
nel tristo cor, ma, di pietà rubella,
la calda speme in pianto fa mutare.

Ch’io non veggo nel mar remo né vela
(così deserto è lo infelice lido)
che l’onde fenda o che la gonfi il vento.

Contra Fortuna allor spargo querela
ed ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento.

ISABELLA DI MORRA  (1520-48)

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La poetessa fu scoperta da Benedetto Croce con uno studio, frutto di ricerche d’archivio, del 1947.  Ripubblicato da Sellerio nel 1983.

Il padre di Isabella era andato in Francia alla corte di Francesco I. La poetessa viveva con la madre e i fratelli, nel castello di Favale in Basilicata.  Nel castello vicino abitava don Diego De Castro, il quale le mandò  versi, col nome della moglie.  I fratelli di Isabella, sospettando una tresca, uccisero il pedagogo che faceva da postino, e Isabella stessa.  Poi uccisero anche De Castro, e fuggirono in Francia. 

Isabella di Morra appartiene al gruppo delle poetesse rinascimentali, pur vivendo isolata e non in una corte.  Abbiamo di lei 13 poesie: 10 sonetti e 3 canzoni, pubblicate a Venezia nel 1555 da Lodovico Dolce, colui che aggiunse l’epiteto “Divina” (perché descrive i tre regni ultraterreni” alla “Commedia” dantesca.  In alcune poesie, come in questo sonetto, lamenta l’assenza del padre, che aveva conosciuto appena, da bambina.  Non sappiamo se la relazione con De Castro ci fu davvero. Probabilmente ebbero qualche incontro furtivo.  Secondo Croce “l’immediatezza passionale e l’abbandono al sentimento” sono le virtù migliori della poetessa, con la capacità di descrivere “quel selvaggio angolo della Basilicata”.

  legno:  nave.

  novella:  notizie.

  rubella:  nemica.

  querela:  lamento.

  denigrato:  disprezzato.