Politica della scissione

Domenicale Agostino Pietrasanta https://appuntialessandrini.wordpress.com

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Alessandria: Una scissione fa il paio con un bicchiere di vino, non si nega a nessuno e Matteo, il Renzi si è preso la sua. Niente di originale, nessuno scagli per primo la pietra; chiedete, tanto per non fare nomi, al saggio Bersani e al battagliero D’Alema: precedenti assolutamente nobili e rilevanti. Tutti nella sinistra? Certo, ma la destra italiana, almeno quella di tradizione liberal/democratica non si è mai veramente realizzata se non in formazioni tanto nobili quanto irrilevanti per consenso popolare. Oggi poi la destra che conta è quella “radicale” e di pancia che grida “al lupo” a fronte degli immigrati. Insomma, se la sinistra si divide, la destra, intesa nel senso succitato, non esiste e il Berlusconi boccheggia: ovviamente in senso politico.

Le ragioni si sono evidenziate da tempo: manca un’identità culturale e un’ispirazione ideale che faccia convergere le forze politiche su programmi coerenti e fra loro in legittimata dialettica. Così se il Salvini ingrassa sulla paura del diverso, la sinistra si divide perché priva di una bussola identitaria, perché le sue tradizioni di riferimento si sono rese liquide, perché gli ideali di principio non si sono esplicitati in una mediazione culturale capace di renderli politicamente realizzabili. Un grande autore direbbe che lo strumento è mancato o, peggio, si è reso squilibrato (“stonato”) dal momento che i corpi intermedi di diverso livello e di avvertita formazione si sono dileguati; e ogni leader si è ritenuto capace di rappresentare da solo una “sua” forza politica, una sua “proprietà” ideale e programmatica, “…un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene”. Il risultato non può essere che disastroso: non sembri blasfemo, ma io non riesco a non pensare all’ammonizione evangelica che troviamo in Matteo (12,25), “Ogni regno in sé diviso cade in rovina e nessuna città o famiglia divisa in sé stessa potrà restare in piedi”.

C’è però un aspetto che viene raramente sottolineato: manca una cultura dell’opposizione; non si avverte l’importanza del confronto tra le forze in campo. Non si accetta e si rende illegittima e non rispettabile la “contesa” fisiologica all’interno e fra le forze politiche. Chi dissente viene investito dall’urlo impertinente e irriguardoso: “vada a casa!”. E invece sarebbe da dire: faccia il suo dovere di rispettoso controllo. E allora chi vuol distinguersi invece di controllare fa scissione, una scissione che non costituisce più l’eccezione, ma la regola. Non ci sono più scissioni nella politica, ma c’è una politica della scissione.

Vengo a un’ultima considerazione. Lasciamo stare la banalità dell’ipotesi sostenuta da qualcuno che la scissione renziana rende più forte l’esecutivo. Quando mai una divisione tra forze che fanno maggioranza rendono più forte il governo? si tratta di una risibile trovata che vorrebbe convincere un elettorato già fin troppo insofferente. Veniamo però a una più realistica possibilità di un ministero capace di rispondere con un’azione decorosa e ragionevole, anziché con l’annuncio dei titoli in programma. C’è chi, ben più autorevole di me, individua un punto ineludibile: la lotta all’evasione fiscale per ottenere risorse capaci di sollevare il benessere ora crollato delle classi medie. Al netto della dimenticanza che ne viene alle risorse “ingoiate” dalla corruzione, mi troverei assolutamente convinto. Mi permetterei tuttavia di fare un’aggiunta: non si tratta solo di trovare risorse, finalità sacrosanta. Si tratta di superare una sperequazione fiscale che sta contribuendo in gran parte all’impoverimento proprio delle classi medie: quelle almeno che pagano le tasse e non possono (…se potessero!) evadere. E sono quelle che molto spesso si sono alleate alle élite della nazione o ne hanno addirittura fatto parte integrante. Se non pagano tutti, quelli che pagano ingrossano le sacche della povertà: una povertà che il Luigi nazionale si illude (o finge di illudersi) di aver sconfitto col pannicello del reddito di cittadinanza. Bravo, complimenti Di Maio!