Racconti: E noi siamo vivi?, di Giovanni Nikiforos

Giovanni Nikiforos

E noi siamo vivi?
***

Quella sera, come sempre, Alfredo si coricò verso le dieci.

Diversamente dal solito, però, morì nel sonno. Persona disattenta, non s’accorse di nulla e il mattino seguente si alzò di buon ora. Si sentiva un poco legnoso, ma non v’era nient’altro che gli lasciasse intuire la propria mutata condizione. Si preparò con calma, notando allo specchio un pallore insolito, e scese al bar sotto casa per fare colazione.

“Ehi, Alfredo, sei bianco come uno straccio! Stai male?” gli chiese Filippo senza salutarlo, mentre beveva il cappuccino.

“No, figurati. Sto benissimo” rispose quegli, ma poi, preoccupato, si scusò e andò a controllarsi nella toeletta. Il pallore era aumentato, donando al volto un aspetto spettrale. L’impaccio nei movimenti non lo aveva abbandonato. Decise quindi, per precauzione, di andare dal medico.

Per strada si tirò su il bavero dell’impermeabile e procedette spedito fino allo studio del dottor Monselli.

“Ma lei, perbacco, è morto!” Disse questi dopo averlo visitato.

“Come ‘morto’, mi scusi?”

“Proprio così, morto stecchito. Non c’è possibilità d’errore. Dovrò prepararle un certificato che lo attesti, di modo che possa andare in Municipio a sbrigare tutte le questioni relative al suo decesso.”

“Però non sono pratico…”

“Non si dia pensiero, vada all’anagrafe; là la aiuteranno.”

“Grazie. Arrivederci.”

Tenendo in tasca il certificato di morte piegato con cura, seguì il consiglio del medico – è sempre meglio levarsi dai piedi per prime le lungaggini burocratiche. Al Municipio furono gentili e, svolgendo con sufficiente competenza le mansioni cui erano preposti, sbrigarono le varie formalità. Ora Alfredo era morto a tutti gli effetti.

Sulla via del ritorno iniziò a sentirsi stanco. Faceva fatica a camminare, ma si accorse di non avere il fiatone. Non respirava e questo gli causò perplessità. Ritenne prudente consultare un altro medico, tanto per essere più sicuro. Forse si era mostrato troppo frettoloso nel formalizzare la propria dipartita.

Anche il dottor Giordano fu, comunque, categorico.

“Lei è spirato, non c’è dubbio. Si metta l’anima in pace: il mio collega non ha sbagliato.”

“Mi perdoni, dottore, forse… non so? Qualche analisi?”

“Non, no, non si dia pensiero, si tranquillizzi. Si vede lontano un miglio che ormai fa parte del mondo dei più! Il cuore non batte, i polmoni riposano, il sangue è fermo. Ne ho visti di cadaveri, purtroppo. Sa, il mestiere… Ma, beh, non si preoccupi: lei è proprio morto!”

Alfredo ringraziò il medico e pagò la parcella.

Rientrando a casa si sentiva confuso. Avvertiva il bisogno di qualche indicazione su come comportarsi ora che non era più vivo. Non ebbe però il tempo di ragionare su come procurarsi le informazioni necessarie, perché appena giunto nel proprio appartamento ricevette una telefonata.

“Pronto… il signor Cacciatore Alfredo?”

“Sì, chi è?”

“Buongiorno, signor Cacciatore. Sono Cecconi, dal locale Comando Carabinieri.”

“Mi dica…” disse Alfredo, con una sfumatura preoccupata nella voce.

“Non si allarmi, è per una questione amministrativa. Mi risulta che lei sia deceduto. È vero?”

“Beh, sì, ma non da molto.”

“Vede, è proibito tenere a lungo un cadavere in casa. Questioni igieniche.”

“Ma, suppongo di sì, però…”

“Dovrebbe al più presto risolvere la questione… Mi capisce? Sì, insomma, dovrebbe provvedere a far inumare la salma. Sa com’è qui da noi: non creda che firmando due carte che attestano il suo decesso abbia risolto tutto. Intende?”

“Sì, alla perfezione, Signore.”

“Molto bene, allora, mi raccomando. Arrivederci e buona giornata.”

“Buona giornata a Lei.”

Alfredo, così, decise di uscire immediatamente – non desiderava grane perché si teneva in casa un defunto. In un certo senso era sollevato, perché la telefonata gli aveva indicato una via da seguire. Amava sapere come comportarsi in ogni situazione. Si recò a una vicina impresa di pompe funebri.

“Buongiorno – disse all’impiegato – Io sono morto. Vorrei sapere quanto mi verrebbe a costare un funerale medio.”

Questi si lanciò in un’entusiastica descrizione dei vari tipi di bare, corone, cerimonie, funzioni e benedizioni necessarie alla buona riuscita di un funerale e fra le quali Alfredo avrebbe potuto selezionare comodamente la soluzione ideale. Ve n’erano per tutti i gusti e per tutti i portafogli.

Alfredo si allontanò con alcuni depliant, sobri ma interessanti. Non avrebbe mai immaginato la varietà concepita per accompagnare il passaggio. Visto che gli sarebbe stato difficile scegliere in base al gusto, si ripropose di seguire la condotta più ragionevole per un pensionato: scegliere in base all’economia.

Seduto su una panchina del parco sfogliò attentamente i cataloghi e fece le proprie valutazioni. Per prima cosa pensò bene di non farsi cremare: non amava il caldo. Quando ebbe riflettuto a sufficienza, calcolò la spesa, annotandola sul margine di un depliant. Andò poi alla Banca per ritirare il denaro necessario.

Alla Banca nessuno sapeva ancora della sua morte, pertanto non gli venne mossa alcuna obiezione ed egli incassò senza problemi la somma richiesta.

I rintocchi del campanile l’avvisarono che era ormai giunta l’ora di pranzo: l’impresa di pompe funebri di sicuro aveva già chiuso i battenti. Una volta tanto – non si muore mica tutti i giorni! – si poteva fare un salto in trattoria.

Decise di scartarne una sulla cui insegna si faceva allusione a pesci vivi – pareva poco adatto alla situazione – e si infilò in un locale che aveva un aspetto pulito. Consumò pasta al pomodoro, bistecca ai ferri con insalata e frutta.

Nell’attesa che giungesse l’ora di riapertura dei negozi, andò a portare qualche briciola ai piccioni. L’affannarsi tonto di quegli uccelli lo divertiva e il tempo corse veloce. Tornò quindi alle pompe funebri e comunicò all’impiegato le proprie decisioni. S’accordarono per vedersi davanti alla chiesa verso le nove e trenta del mattino successivo. Saldò subito, dichiarandosi sicuro che il servizio sarebbe stato ottimo, nonostante l’impiegato si mostrasse disponibile a ricevere il pagamento a lavoro compiuto. Quindi se ne andò, riponendo la ricevuta nel portafoglio.

Riflettendo sul fatto che non gli era possibile tornare a casa, in quanto gli era stato esplicitamente proibito, se non aveva compreso male, venne colto da una preoccupazione imprevista: non sarebbe stato decoroso recarsi alla cerimonia, il giorno seguente, con gli abiti modesti che aveva indosso. Al suo funerale voleva fare bella figura. Angosciato dall’idea di non poter attingere al proprio guardaroba, si rassegnò all’unica soluzione consentita: fare compere in vari negozi.

Acquistò un paio di scarpe nere, un bel completo scuro, una camicia, una cravatta e dei gemelli. Per ciò che non aveva potuto pagare in denaro contante aveva firmato degli assegni. Si fece incartare il tutto e poi, ingombrato da voluminosi pacchetti, tornò nell’unico posto che gli venisse in mente: il parco pubblico.

Posò i vestiti con molta attenzione su una panchina per non stropicciarli e si apprestò a passare la notte. Non aveva voglia di fare cena, si sentiva via via più rigido, infreddolito e spossato: l’assenza di aria e la staticità del sangue non gli giovavano. Si accomodò lentamente e aprì il quotidiano che si era comprato. Lo lesse con cura, un po’ per interesse e un po’ per ottenerne un aiuto contro l’attesa. Dopodiché si apprestò a dormire, piuttosto soddisfatto per aver sbrigato tutto quello che c’era da fare, ma un po’ preoccupato dal fatto di non avere con sé una sveglia: arrivare in ritardo al proprio funerale non fa certo buona impressione. Comunque, con qualche sforzo, riuscì ad addormentarsi.

Venne destato alcune ore dopo da due agenti.

“Non lo sai che è vietato dormire sulle panchine?”

“Mi dispiace, ma…”

“Fa’ vedere i documenti.”

“Certo, li prendo.”

“Sei un senzatetto?”

“Mi, dispiace, non posso darle ragione: in realtà sono un morto.”

“E sei stato abbandonato qua? Si tratta forse di omicidio?”

“No, no, per carità. Sono venuto qui da solo.”

“Allora vedi che, morto o non morto, sei un vagabondo?”

“No, no, mi dia modo di spiegare. Io un’abitazione ce l’ho: è qua vicino. Ma non ci posso andare. Vede, un vostro collega mi ha telefonato ieri mattina, per avvisarmi che non è possibile tenere una salma in casa. Chiuda un occhio, per cortesia: domani si celebrano le esequie; questa è solo una sistemazione temporanea.”

“In effetti, a ben guardarla sotto al lampione… lei è proprio pallido come un morto. Non pare un’invenzione. Forse, sa, ha un po’ esagerato: se domani ci sono i funerali per questa notte poteva dormire al caldo, a casa sua.”

“Dice davvero?”

“Ma… credo di sì. Comunque, va beh, vista la situazione, cercheremo di lasciar perdere. Se ne vada a casa, ma presti attenzione: non si faccia trovare qui anche in futuro, perché allora penseremmo che ci ha presi in giro e sarebbero guai.”

“Certo, certo, non preoccupatevi. Non mancherò di darvi retta. Grazie.”

“E stia attento tra l’altro, che di notte al parco gira brutta gente. Mi stia ad ascoltare: vada via ed eviti incontri pericolosi.”

“Grazie, grazie, starò all’erta. Arrivederci; grazie.”

I due agenti se ne andarono, ma Alfredo si era agitato. Non aveva mai avuto parole con le Forze dell’Ordine. Non era abituato a doversi giustificare con loro. Sperava, comunque, che l’indomani si risolvesse tutto.

Dormire al caldo? Si rendeva conto che non avrebbe mai più provato caldo. Forse avrebbe dovuto scegliere la cremazione, ma ormai era fatta. Fece un po’ fatica a tornare a casa con tutta quella roba ammucchiata sulle braccia e, giunto nell’appartamento, dovette riposarsi un poco. Poi scartò i propri acquisti e iniziò a prepararsi. Una volta cambiato di tutto punto si sentì meglio. A parte il colore della pelle, non sfigurava di sicuro. La sua gioia fu di breve durata perché si rese conto che avrebbe, di lì a poco, abbandonato un sacco di roba ancora in buono stato: vestiti, scarpe, stoviglie, televisione, mobilio. A malincuore decise di uscire prima, per non tormentarsi: diede un’occhiata alla casa, spense la luce e scese le scale. D’altronde, quella era una situazione eccezionale, inutile pensarci troppo sopra.

Decise di passeggiare un poco, sebbene le forze lo stessero ormai abbandonando. Si fermò a bere un caffè e poi andò a comprare il giornale.

Alle nove e trenta, puntualissimo, si fece trovare all’entrata della chiesa. Fu commosso nel vedere la gente che vi si era radunata. Non credeva che sarebbero stati così tanti, e neppure aveva pensato ad avvisare qualcuno!

Appena lo scorsero, gli andarono incontro, per porgergli le più sentite condoglianze. C’erano quasi tutti gli amici e i conoscenti, nonché i parenti al completo, tranne la cugina Maria, che ormai aveva una certa età e non se la sentiva.

Gli si avvicinò anche l’impresario delle pompe funebri per dirgli che tutto era pronto e che si poteva incominciare.

“Molto bene, non perdiamo tempo.” Rispose.

La cerimonia, come tutte le cerimonie funebri, fu solenne e commovente. Un po’ banale, forse. Al termine si doveva iniziare la processione fino al cimitero, ma sorse un piccolo problema. Alfredo chiese di poter andare a piedi, come tutti gli altri, però l’impresario delle pompe funebri si mostrò irremovibile: non si era mai visto un funerale organizzato dalla loro ditta in cui il morto fosse andato al cimitero con propri mezzi. Il defunto doveva assolutamente alloggiare sul carro funebre. Giunsero a un compromesso: Alfredo sarebbe stato sì portato dal carro funebre, ma seduto accanto all’autista.

Arrivati nel luogo preposto alla sepoltura, ascoltò con rinnovata commozione il discorso del prete e salutò con orgoglio l’ultima benedizione: era un funerale riuscito bene.

Si adagiò nella propria bara – ormai non se ne poteva proprio più fare a meno – e sorrise agli uomini che la chiudevano.

Fu calato nella fossa e, mentre veniva lentamente coperto di terra, socchiuse gli occhi.

I convenuti se ne andarono lentamente.