kintsugi-piatto-bluIl kintsugi (金継ぎ)  letteralmente “riparare con l’oro”, è una pratica artistica giapponese che utilizza  oro o argento  invece dei  comuni collanti, per la riparazione di oggetti in ceramica, saldandone assieme i frammenti. La tecnica  permette di ottenere originali oggetti preziosi, dal diverso intreccio di linee dorate, uniche  per via della casualità della rottura. Evoca la preziosa capacità di ripristinare rapporti logorati, rivalutandoli col perdono.

PERDONARE PER VIVERE MEGLIO?

Non è facile da attuare, ma è l’unica strada che ci permette di ritrovare l’armonia interiore. Abbiamo sperimentato tutti, nei rapporti conflittuali, quanta sofferenza sentiamo assieme alla rabbia corrosiva che davvero riesce a torcere i nostri poveri visceri. Ma prima dobbiamo riuscire ad accettare e vincere la lotta con il nostro orgoglio che vuole dettare la correttezza dei nostri comportamenti.

Il perdono così spontaneo quando si è bambini, così difficile da adulti. Percepito da chi non lo usa come una umiliazione, un dichiararsi inferiore a chi ci ha offeso. E’ l’ego che dirige i nostri atteggiamenti, infarciti sempre di vanagloria. Invece basterebbe riflettere per capire che tra l’angosciosa rabbia che ci pervade quando siamo offesi, e la pace interiore nel sentirsi più buoni con riflessi soprattutto sulla nostra salute, conviene sempre utilizzare quest’ultima soluzione. Pensiamo solo agli effetti negativi di chi cova rancore: pressione che si alza, aritmie cardiache e infarti, insonnia e spesso ossessioni. Il perdono annulla tutti questi disturbi donando di nuovo energie benefiche.

Il perdono vero, non è compreso in quella frase che si sente spesso: io perdono, ma non dimentico. Infatti la prerogativa del vero perdono, è la dimenticanza dell’episodio e di chi ci ha ferito. Come se nulla fosse successo, come se il nostro feritore non fosse mai esistito. E ricordandolo si riesce a vederlo sotto un’altra luce, a capirne le ragioni, e ad avere compassione. Il perdono è da sempre una delle condizioni che portano verso il trascendente, come consigliato da tutte le più illuminate religioni, il cristianesimo con gli insegnamenti di Gesù in testa.

C’è anche chi lo ritiene non consigliabile, sottovalutando il suo effetto: F. Nietzsche lo riteneva una caratteristica delle persone deboli, Freud dannoso per l’autostima, Schopenhauer un disconoscimento di esperienze già fatte.

Per attuare il perdono c’è la condizione primaria di perdonare prima di tutto se stessi. Quando capiremo che come esseri umani siamo imperfetti, al di là di ogni nostra volontà, riusciremo anche a comprendere le ragioni altrui. Nel perdono, si cede qualcosa “per-dono” si dona la nostra compassione agli altri, ma prima lo dobbiamo a noi. A volte servono anni di elaborazione, ma quando giunge, allora si sperimenta la gioia di vivere.

Una delle tecniche per arrivare prima ad usarlo, è quello di scrivere la rabbia provata, in una lettera che non sarà mai spedita al nostro offensore, e di scriverci dal suo punto di vista la risposta che vorremmo sentire davvero. È così che si mette in moto una di quelle misteriose capacità della nostra esistenza. Si dice che pensare in positivo attivi il cervello a mandare onde che saranno percepite anche a distanza, da chi è coinvolto. Io credo sia vero. Ho constatato di persona il ribaltamento improvviso di situazioni senza soluzione.

Un’altra meno usata ma di una efficacia superiore è quella di appartarci nella nostra interiorità e di pregare il nostro Dio, qualunque sia la convinzione religiosa. Il suono ripetitivo della preghiera, calma e produce le onde theta, quelle del benessere interiore, del rilassamento mentale e della guarigione spontanea. Un’altra ancora, è quella di capire che il nostro Dio vuole dirci qualcosa attraverso il nemico, vuole mostrarci ciò che dobbiamo cambiare della nostra esistenza, in continuo divenire.

6/9/2012 R.G.