Sono sincero, la commozione è ancora forte, e penso che non sarà mai sedata, e non potete immaginare quante e quante volte avrei voluto parlare di questo film ma la paura di dover sbagliare, la paura di dover quasi toccare con le parole una così altissima “opera d’arte” che più cinematografica oserei dire pittorica. La commozione ora diventa abissale, da poco è trascorso l’ennesimo tragico anniversario della morte di questo regista, questo poi è l’anno culturale della favolosa città di Matera, che solo lui poteva riscoprirla più di 50 anni fa.
Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini è una di quelle opere che vengono fatte una volta ogni non si sa quale sproposito di anni, e come tutte le grandiose cose anche questa è nata per caso e da un personaggio che con la fede cristiana aveva ben poco da spartire, anzi sempre sul filo delle scomuniche e delle grida all’eretico.
Pasolini in quel lontano 1962 si trovava ad Assisi per relazionare, ad un convegno sul cinema come forza spirituale esul suo film “ Accattone” ed era ospite presso un’associazione francescana. Era comunque già strano di per se che un personaggio come lui, anticlericale e marxista, ateo, si potesse ritrovare in quell’ambiente sacro e umile, ma l’intelligenza e l’apertura mentale di un genio non ha limiti e comprende e si affaccia comunque alle radici, che erano state, come tutti del resto, cristiane.
Ma il destino volle che i lavori per questa cosa fossero interrotti perchè un ben più importante personaggio, veniva improvvisamente in visita alla casa del Santo Francesco, ed era Papa Giovanni XXIII che si trovava in visita a Loreto e ebbe questo forte desiderio. Allora anche Pasolini fu invitato a rendere omaggio a Roncalli, ma lui rifiutò, forse per timidezza, inquietudine o diffidenza, comunque si ritirò nella sua cella del monastero e si distese sulla sua branda. Vicino a lui, come in tutte le celle, c’era deposto un vangelo. Per passare il tempo iniziò a leggerlo e fu subito colpito dal vangelo di San Matteo che ne ebbe subito ispirazione e gaudio.
La sera stessa confidò al massimo priore che avrebbe fatto un film sul Vangelo di Matteo ma che chiedeva assolutamente tutto l’aiuto possibile perchè lui era un grande ateo e profano.
Nel 1964 il film, girato a Matera, fu pronto per essere visionato alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo aver visitato, (aiutato da famosi illuminati di Chiesa, che riuscirono comunque ad ovviare la non buona fama cinematografica che il regista aveva e sorvolare su preconcetti borghesi del tempo quale la sua omosessualità), la Terra Santa. Il film aveva una dedica “ Alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII” e fu pure premiato con il Leone d’Argento.
Ritornando alla commozione, non si può rimanere freddi agli sguardi decisi, ai silenzi irrompenti, alle parole scandite, ai messaggi sofferti, a innocenti primi piani, a paesaggi infiniti, ad un Gesù che non ha niente di estatico e niente di terreno, ma che parla parla e ogni cosa che dice, è un messaggio vero, conciso profondo. E’ una pittura in bianco e nero piena di infinite sfumature che nessun colore pittorico e nessun riflesso di luci potrebbe eguagliare, le sfumature sono quelle interiori che il film fa pensare, ragionare, piangere e supplire. Una laica preghiera in un mondo cristiano.
Dall’inizio alla fine è un susseguirsi di forti emozioni, la giovane Maria con il volto struggente iniziale per poi ritrovarla invecchiata, straziata e pallida di dolore in un nero invadente della veste sotto la Croce. Una madre che cerca suo figlio crocifisso da una società e da un potere barbarico ….e come non pensare che questa scena sia quasi profetica, la madre Maria qui è rappresentata proprio dalla madre di Pasolini……

Roberto Busembai (errebi)

Immagini web: Locandina del film