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Mi trascinò verso gli scalini ma da sotto uscì Bonomi con Miguel e Vasco che si paralizzò appena mi vide. «Tu qui?» Esclamò preoccupato. «Speravate di liberarvi di me, vero? Ma Nino non conosceva le donne». Era troppo buio in quel punto ma ero certa di aver allarmato Nico.
«Voglio le statuine». disse Bonomi «So che tu e Nico siete d’accordo, e non mi contraddire se vuoi vivere!». Alzò la voce infuriato. Fernanda accorse per fare una scenata a Nico le diede subito un ceffone per zittirla.
Vasco mi guardava incazzato e sbigottito. «Non è come pensi… devi credermi. Io non c’entro niente» cercai di spiegarmi intimorita. Ma lui girò la faccia da un’altra parte, guardava Nico con rabbia, mi accorsi che teneva una pistola in mano ma l’altro fu più veloce e puntò l’arma improvvisamente, «Hai pestato mio padre, bastardo! Voglio vederti crepare!» Gli andai addosso per fargli mancare il bersaglio e vidi Vasco spostarsi all’indietro, riprendersi e sparargli prima che Nico mi centrasse alla testa. Mi rannicchiai a ridosso del muretto con le orecchie che mi fischiavano, Bonomi e Miguel si erano appiattiti alla parete, certi di salvarsi e sicuri che Vasco avrebbe coperto loro le spalle. Una volta rassicurati che Nico fosse innocuo, mi raggiunsero per intrappolarmi.
«Che nessuno la tocchi», sentì la voce da dietro, infilai la mano in borsa per afferrare la pistola. Nico gemette muovendo una mano e Miguel gli sparò due colpi, il corpo sussultò e scivolò di qualche gradino. Fernanda inginocchiata a terra con le mani sulle orecchie, iniziò a urlare e Miguel per zittirla le puntò la pistola alla testa. La vidi raccogliersi in silenzio come un sacco.
Vasco scavalcò il corpo di Nico e allontanò la sua pistola con un calcio, mi affiancò sollevandomi e indietreggiando verso le colonne, «se vuoi le statuine lasciala andare» intimò con il braccio ferito bloccato e la pistola nella mano sinistra. Non poteva fare di più e lo sapeva. Si sentì un nuovo sparo e Miguel rimbalzò in avanti per poi cadere all’indietro con un fiotto di sangue che usciva dalla bocca. Fernanda lo fissava tremante e incredula con la pistola in mano. Alzò lo sguardo e con la poca luce alle mie spalle vidi che mi studiava, la sua espressione mutò, non avevo mai visto nessuno guardarmi così. Era agghiacciante. «Da quando sei arrivata tu, maledetta…». Si spostò e Vasco indietreggiò ancora. «Sparagli e facciamola finita, a lei penso io», la incoraggiò Bonomi. Incitata spostò il bersaglio su di noi, Vasco cercò la mia mano e lentamente mi guidò per prendere la mira. «Sbrigati!!» urlò e lei gli puntò contro l’arma. Scosso e impaurito si coprì la faccia con le mani implorando pietà. Indecisa tentennò e Bonomi le fu addosso. Il rumore dello sparo fu smorzato dagli abiti vaporosi, e Fernanda spostò indietro la testa inarcando la schiena. Cadde tentando di restare aggrappata alla cravatta del suo assassino che giocando nell’effetto sorpresa si girò di scatto per colpire Vasco. «Spara» mi ordinò e per la seconda volta in quella notte feci fuoco, colpendo il Re di Roma in pieno petto.
Cercando di reggerlo, cademmo a terra. «Vasco… Vasco…». Cercai il suo viso nel buio e non sentì risposta. «Aiuto!». Urlai con tutta la forza che avevo in gola. «Aiutatemi… c’è un uomo ferito qui… è un poliziotto!!». Iniziai a piangere disperata.
«Scappa Marina, non farti vedere qui». Lo sentì mormorare affaticato «Io ce la faccio e adesso siamo pari. Poi mi spieghi come hai fatto a scoprirmi». Gli premetti la spalla ferita con il suo berretto e mi sollevai. «Sono un infiltrato ma resto sempre uno sbirro, se te pijo in giro a fare ancora magie, ti sbatto in cella».
«Per te andrei in capo al mondo Vasco, ma ora vado a incassare la mia ricompensa, tu non mi tradire un’altra volta. Mandare la polizia a prendermi alla radio è stato un colpo basso». Lui ripulì il calcio della pistola e la gettò per terra.
L’unico posto sicuro in quel momento era casa mia. Arrivai in piazza dei Quiriti ed entrai in garage dove non poteva vedermi nessuno. Trovai il figlio di Aldo ancora disteso sul divano «Com’è andata la festa ragazzino?» chiesi scegliendolo.
«Bene» bofonchiò, «Hanno creduto tutti che fossi tu».
«Vai a fare colazione adesso, che ho da fare» e gli sganciai una carta da cinquanta. Incredulo e felice svegliò la marmaglia di amici suoi sparsi per la casa. Li sentì andarsene che ero già in bagno con la mia busta di prodotti per i capelli comprati dalla cinesina all’Esquilino e non mi restava che procedere.

Michela Santini

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