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Quel sabato alle sette Bastiaan salì sul fuoristrada di Lucio che l’attendeva davanti casa e insieme si diressero alle piste del Varmost. Il mattino presto era stato aiutato da Ernesto a indossare tuta, scarponcini, guanti, occhiali e tutto quello che gli serviva. Tranne gli sci che erano già sul tettuccio dell’auto di Lucio «alle cinque è prevista neve, anche intensa. Tu sarai a casa di sicuro, ma Marzio vuole che ti spieghi dove andare a ripararti nel caso ti sorprenda il maltempo» spiegò Alpino mentre candido come un bimbo sistemava l’allacciatura degli occhiali e il caschetto «te lo ha chiesto il gatto?» commentò tra l’ironico e l’incredulo «certo, noi due parliamo, lui è telepatico» precisò restando serio e proseguì «in fondo alla terza pista, quella alta, a destra, se ne apre una piana da sci nordico. È un anello che gira intorno al monte e si collega alla seggiovia. Dopo cinque cento metri raggiungi la Casera, una casetta del CAI, è aperta e dentro trovi tutto il necessario per mangiare e dormire. Entra e chiuditi lì, i miei vecchi compagni ti verranno a cercare, aspettali, sarai al sicuro.» «Tu no?» lo provocò Bastiaan, «Solo se me lo chiede Marzio» commentò senza il coraggio di guardarlo negli occhi.

 

Rimise in ordine la stanza che il bisnonno Giovanni aveva creato per l’attrezzatura. Era un vero appassionato. Finita la grande guerra aveva scalato il Monte Bianco, il Monte Rosa e per due volte il Cervino, dal versante italiano e svizzero. I monti friulani li aveva già scalati tutti con suo padre da ragazzo, aprendo nuove vie con corde e chiodi. Anche nonno Glauco aveva fatto delle imprese ma lui con il braccio ferito si era accontentato di scalare la Marmolada. Suo padre invece, aveva intrapreso le scalate delle Ande e dei monti dell’Himalaya ma la sua grande passione fu la speleologia che lo tradì quando il figlio era ancora un ragazzo.

 

Quel pomeriggio Alpino non aveva ancora avuto notizie di Bastiaan, si augurò fosse già a casa e preoccupato decise di chiudere l’ortofrutta prima. Con la tormenta in arrivo nessuno avrebbe messo la testa fuori per raggiungere il suo negozio. Salì sul suo pick up guidando fino a casa. Appena arrivato si sorprese che fosse immersa nel buio più totale. Non c’era nessuna luce accesa, neppure le lucine di Natale, neppure il lumino sopra il portone che Bastiaan aveva l’abitudine di accendere alle cinque del pomeriggio. Pensò fosse già a letto ma sentiva che qualcosa non andava. Squillò il cellulare e rispose a Oreste «pronto» e i suoi timori presero forma «Credo che li abbia sorpresi una bufera prima che rientrassero. — disse il suo compagno del soccorso, si passò una mano tra i capelli e soffiò via l’aria dai polmoni — Lucio non rispondeva prima e ora non prende più la linea. Spero non sia come nel Vaja altrimenti sono spacciati» Ernesto si diresse in casa deciso «vado a cercarlo, tu avverti qualcuno, da solo non posso farcela» L’altro attese alcuni secondi prima di fargli la fatidica domanda «non fai soccorso da otto anni, pensi di farcela?» Alpino voltò la testa verso il Varmost. Vedeva solo la cima su cui il maltempo si stava abbattendo e le previsioni erano in peggioramento «devo. Se mi ha ascoltato, si è rintanato alla Casera» e chiuse la telefonata.

 

Si diresse in fondo al corridoio. Le porte delle camere erano aperte. Pensò fosse strano, la regola era che dovessero rimanere chiuse e Bastiaan ci teneva quanto lui alla privacy. Controllò tutta l’attrezzatura da soccorso che non aveva mai buttato via, la teneva appesa sul lato della parete dietro alla porta. C’erano dei moschettoni fuori posto, eppure quel mattino non li aveva mossi. Era entrato qualcuno e questo fatto sommato al mancato rientro dell’amico, alla casa fantasma e all’invito di Lucio, non fece che aumentare la sua inquietudine. Riunì il necessario e lo caricò in macchina, andò in cucina per riempire le ciotole di Marzio che aveva miagolato tutto il tempo sfregandosi ai suoi piedi. «Il nostro amico è in pericolo. Dobbiamo trovarlo, giusto? — il gatto miagolò — esatto. Tu stai qui a proteggere il forte, io vado a prenderlo e lo riporto a casa». Sentì il rumore di ruote sul sentiero e guardò dalla finestra. Oreste, Romano e Mimmo lo aspettavano. C’erano tutti quelli della scuola di salvataggio del CAI del 92. Gli altri, quelli che mancavano all’appello, li avevano recuperati la mattina di Natale di otto anni prima e ora li stavano proteggendo dall’alto.

Michela Santini