Racconto: Una verità tardiva, di Stefania Pellegrini

Quando il tempo confonderà tutto, allora cara mamma, solo allora, potrò pensare a te, senza sentirmi tradita.

Potrò guardare la tua foto con nostalgia e lasciare la camera del risentimento, perché avrò trovato la chiave del perdono. Per adesso, però, non riesco. Sono arrabbiata e ciò m’offusca il cuore e la mente.

Tu non ci sei più e io non potrò dirti in faccia, quello che provo. Trovo difficile girare tra queste stanze e non pensare che vi ho vissuto nella menzogna, perché ti è mancato il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi: “Senti cara Ada, le cose stanno in questo modo…” E la lettera, da quanto tempo era chiusa in quella scatola dove l’ho trovata?

Parli di dispiacere, di perdono, come se mi fosse facile comprendere, perdonare. Dimentichi il tuo silenzio… le bugie… i racconti che mi hai fatto credere veri:

tuo padre è morto prima che nascessi – incidente stradale… Ti desiderava tanto e non vedeva l’ora di tenerti in braccio…

Dopo di allora non ho voluto più sposarmi”

“L’ho fatto per il tuo bene”, mi diresti, ma come potevi conoscere il mio bene, più di me stessa?

Già, cara mamma, non hai mai pensato che anche, una scomoda verità mi avrebbe fatto meno male di tante belle bugie?

Un anno è passato dalla tua scomparsa, ma rileggo spesso la lettera, forse per trovare tra quelle righe una prova, che mi faccia stare un po’ meglio, di come sto. Ogni volta però, la ferita, profonda e dolorosa, riprende a sanguinare.

Ho rispettato le tue ultime volontà, ho fatto quello che mi chiedevi. Ma non capirò mai perché non l’abbia fatto tu. Potevano esserci tanti altri modi per non rimanere schiava della menzogna e passare a me il testimone.

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