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Ritirate strategiche, Dario Fornaro

Qui Alessandria ● Dario Fornaro

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Alessandria: A mezzo tra arti militari ed espedienti politici, le “ritirate strategiche” hanno spesso un destino pubblico strettamente legato alle arie che tirano nel sistema informativo. Nel senso che possono suscitare clamori, o scivolare inosservate, indipendentemente dal rilievo obiettivo del cammino a ritroso imboccato dagli “alti comandi” di turno per ragioni di sofferta necessità.

Un esempio fresco d’annata ce lo offrono le cronache locali con i contrasti sulla riapertura serale al traffico veicolare della  Piazza Santa Maria di Castello, da poco (2017) significativamente restaurata e “liberata”  dalle auto (accesso e parcheggio) in nome  della conclamata  restituzione ai cittadini di un area di pregio  storico e ambientale riservata ad uso pedonale.

Le addotte esigenze comunali di “rianimazione” pubblica della piazza e di  favore  alle attività  commerciali fortunosamente impiantate in un angolo della medesima, sono oggetto di  insolito quanto vivace dibattito. Del resto il repentino ritorno all’antico, per quanto parziale e sperimentale, non poteva passare indenne.

Del tutto inosservato e dormiente  – per quanto lo spunto sopra ricordato sia ben pertinente ad una prospettiva di più ampio e noto contesto – è il destino, ovvero lo stato di attuazione, del Progetto Borgo Rovereto che, nell’ultimo decennio  e in corrispondenza con le Operazioni PISU e Ponte Meier, ha rappresentato un vero cavallo di battaglia delle Amministrazioni, di colore cangiante, che si sono occupate e preoccupate dello sviluppo socio-economico, o almeno della“tenuta”,  della nostra città,  esposta (come tutte, come tutti) ai gelidi spifferi di una crisi che dispensava aspetti enigmatici e riluttava a passare.

Più che un progetto definito, a dire il vero, il Borgo Rovereto era un’ipotesi di brand turistico-commerciale votato  alla valorizzazione di un consistente polo, attrattivo  e popolare di “buon vivere”, posto al servizio della città e dintorni. Nella allegra promozione del marchio Rovereto ci si mise di tutto- a cominciare dalla rifatta e incongrua Via Dossena – fidando sugli “angoli di fascino” del quartiere, non esclusa la consolidata presenza multietnica.

La proposta, a lungo dilucidata e rilanciata sui media, aveva tuttavia come tacita quanto essenziale condizione, quella di autosostenersi e svilupparsi grazie alla qualità dell’idea e all’apprezzamento concreto degli interessati, presenti o presunti, incontrati per strada.

Il primo, sperato successo avrebbe richiamato altre iniziative gradite al pubblico itinerante. Non è andata  così ed oggi, a guardarsi attorno, il provvido meccanismo sembra essersi da subito inceppato senza aver lasciato tracce di continuità.

Altro che risalire la china grazie al richiamo “turistico”: il Borgo ha  subito una quota di degrado civico e commerciale corrispondente  agli avversi andamenti  di tutto il centro cittadino.

Riportare il discorso al Centro significa però, e inevitabilmente, riandare, per sommi capi, alla “madre” di tutte le ritirate strategiche, vissuta oltretutto in termini armistiziali ovvero di reciproche desistenze polemiche fra i tradizionali contendenti sul terreno urbanistico e commerciale.

Tornando indietro di qualche anno, diciamo tre o quattro, mentre ancora vigeva, indiscussa e praticata a ufo, la via politica degli “eventi & bancarelle” per tonificare (fioriere e verzure comprese) centro e commerci alessandrini, la percezione prima, e la dura   constatazione poi,  che  umori ed interessi reali del mondo della distribuzione e delle costruzioni premevano in  altre direzioni, hanno selezionato un’opzione categorica del tipo: battaglie perse? No grazie.

Ed ecco che, con la dovuta discrezione, si sono riprese e sviluppate le tracce di progetti già da tempo burocraticamente incardinati, ma in attesa  degli eventi e del propizio disco verde finale. Un bel giorno quindi si videro in campo, prima ad est e poi ad ovest della città, le ruspe che  preludevano chiaramente a due nuove aree  commerciali “esterne”, finalizzate alla medio-grande distribuzione e servizi complementari. Da poche settimane poi, le ruspe si muovono anche a sud, con analoga finalità, rimettendo in circolo il vasto sedime degli ex Magazzini  comunali.

Reazioni e polemiche per la “conversione ad U” intervenuta nella difesa, sempre proclamata, degli interessi  commerciali del Centro storico?   Praticamente irrisorie e l’informativa del caso: al minimo sindacale.

Eppure non sarebbe stato difficile presentare e discutere il “nuovo corso” impresso alla città sulla base di un soprassalto di duro realismo dei fatti e delle tendenze: piacevoli o meno ma riconoscibili da tutti. E quando si dice tutti, si intende un moto generalizzato di perplessità maturato via via a carico di  numerose città di taglia  alessandrina impegnate allo spasimo nella promozione, con esiti dubbi, del turismo commerciale (e culturale, ok) a scopo ristoratore dei connotati urbani minacciati di declino. Da oggi, inoltre, si potrà citare anche l’autorevole Carlin Petrini che su Repubblica  (20.01) lamenta: “Addio botteghe, è l’ora dei corrieri – Come salvare l’anima delle città.”

Paradossalmente, ma fino ad un certo punto, è proprio il recente (sei mesi, un anno?) erompere  di perplessità e allarmi sulle galoppanti trasformazioni dei sistemi distributivi, con relativi effetti sugli assetti  delle comunità urbane, a “giustificare”, e senza ombra di ragionamenti, certe plateali inversioni di rotta nelle politiche insediative dei comuni..

Come dire che arriva spesso, anche in politica, il momento, ad un tempo temuto e auspicato, del “quando ce vò, ce vò” e tutti a mettersi l’animo in pace.